SI RIDE DALL’INIZIO ALLA FINE CON “MISERIA E NOBILTA’” DI EDUARDO SCARPETTA AL BRANCATI DI CATANIA, DIRETTO DA TUCCIO MUSUMECI

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Catania –  Apertura di stagione con il botto al teatro Brancati di Catania, grazie all’esilarante messa in scena della classica commedia Miseria e nobiltà di Eduardo Scarpetta, commediografo napoletano di fine Ottocento, prolifico di commedie e di figli:  Miseria e nobiltà  è la più famosa e rappresentata commedia, tra i figli illegittimi, memorabili i tre De Filippo,  Eduardo, Tina e Peppino, che presero il nome della madre. Nel 1954 la commedia fu portata sullo schermo da un irresistibile Totò, allora in auge come grande maschera napoletana, nei panni di Felice Sciosciammocca, personaggio topico dei lavori scarpettiani,  circondato da un cast di tutto rispetto, tra cui una giovanissima Sophia Loren, maggiorata fisica, agl’inizi della carriera, nei panni improbabili, data l’esuberanza pettorale, di una ballerina classica, Gemma, interpretata a Catania da una pimpante Giorgia Migliore (nomen omen?) , sul cui seno aggettante adagia il capo  il fortunato Tuccio Musumeci, nella parte recitata da Totò. Il film con Totò e la Loren viene periodicamente trasmesso   dai canali televisivi, tanto da essere diventato un film da culto del genere comico italiano. Il confronto, dunque, poteva essere rischioso e far pendere la bilancia a favore del film diretto da Mario Mattoli, regista che sapeva  “servire” Totò, attore creativo che non si atteneva sempre al copione, inventando di suo.  Nessun rischio.  Né Tuccio Musumeci né Nicasio Anzelmo, il regista della rappresentazione catanese, si sono fatti schiacciare dal confronto e ne sono usciti vincitori. Sì, possiamo dirlo con certezza, non solo perché alla prima di giovedì 27 ottobre, il pubblico rideva e applaudiva a più riprese, ma perché la traduzione in siciliano e l’adattamento alla realtà catanese, con l’inserimento di ironiche battute, hanno conferito sapidità alla rappresentazione tanto da riuscire più comica della rappresentazione filmica. Come sempre, Tuccio Musumeci è sé stesso, caratterizzato, naturaliter, da  una forza, che deriva dalla sua mimica facciale, dalla sua tipica inflessione catanese, grazie alla quale, come abbiamo osservato in altre occasioni,  egli stesso potrebbe essere considerato una maschera del teatro popolare siciliano: la maschera di Tuccio Musumeci , che s’impone sulla scena più con la tecnica del levare, come quella utilizzata  dal grande Eduardo (ci riferiamo a De Filippo, che negli ultimi anni firmava le sue regie con il solo nome di battesimo), cui bastava  soltanto sollevare un sopracciglio per esprimere un’emozione. Eduardo era attore e drammaturgo essenzialmente drammatico.

Tuccio Musumeci è attore essenzialmente comico, ma siamo convinti che potrebbe benissimo interpretare parti drammatiche, come ebbe modo di fare, specie in Amarcord di Fellini,  il compianto nostro conterraneo Ciccio Ingrassia, palermitano, che spopolò al cinema negli anni Sessanta-Settanta del Novecento con quell’altra maschera comica marionettistico-funambolica che era Franco Franchi, palermitano  come Ciccio.  Il pubblico catanese,  e non solo,  ama il Tucciomusumeci comico popolare, che fa ridere per il solo piacere di ridere,che poi era lo stesso principio programmatico delle commedie plautine: risum movère. Non a caso citiamo Plauto, il grande attore e commediografo della Roma antica. Plauto è citato, infatti,  nella nota di regia di Nicasio Anselmo, laddove riferisce che “fin dai tempi di Plauto, per i comici, la fame ha costituito il carburante che innesca la risata ed è qui trattata da Scarpetta  con una dignità fino a oggi sconosciuta: è una brezza leggera, rivestita di dignità  seppur disgraziata.” La fame, appunto, la fame  vera, atavica, la fame dei miserabili, di chi è costretto a impegnarsi persino il cappotto pur di mettere qualcosa in pancia, la fame,  che fa scatenare le  rivolte popolari, scatena gl’istinti aggressivi di due donne nel primo atto: una è Luisella, interpretata da una scatenata Margherita Mignemi, convivente dello scrivano  Felice Sciosciammocca, l’altra è Concetta, interpretata da una convincentissima Barbara Gallo, moglie dello squattrinato fotografo Pasquale,interpretato da un divertente Massimo Leggio,  amico di Felice, in stretto rapporto d’interdipendenza: condividono l’appartamento, la miseria e, quindi, la fame. Con la fame temporaneamente calmata si chiude il primo atto, la cui seconda parte ricalca fedelmente il film con Totò, con la differenza che nel film l’apoteosi finale è rappresentata da Totò che conserva in tasca gli spaghetti fumanti intinti nel sugo, mentre sulla scena catanese si vedono sì gli spaghetti,  ma senza sugo e senza nessuna personale appropriazione. Alla fame si contrappone il benessere, alla miseria la nobiltà, non dell’animo, ma del casato, la nobiltà del censo, che porta all’ostentazione della ricchezza, del lusso, soprattutto quando si tratta di nuovi ricchi, cioè di parvenu, che vorrebbero avere, oltre  ai soldi, lo stemma gentilizio.  Ed ecco che la commedia diventa la commedia di una commedia o, meglio, di una farsa: la commedia farsesca dei miserabili Felice e Pasquale che, nobili per finta, vogliono pigliare a gabbo un parvenu, l’ex cuoco Semmolone,  interpretato da Marcello Perracchio in stato di grazia, che aspira a diventare nobile per il tramite della figlia Gemma, fidanzata a un marchesino, Plinio Milazzo sulla scena,  che vuole sposarla, ma non ha il consenso del padre, ragion per cui chiede a Pasquale e a Felice di recitare la parte del proprio padre e del proprio zio  recandosi da Semmolone per dare l’assenso alle nozze.  Pasquale si fa accompagnare da Concetta e dalla loro figlia Pupella, impersonata da Egle Doria, che, sostanzialmente, recita in tre ruoli: in quello della giovane, ossuta mortadifame, in quello della caricatura di nobile contessina e in quello di allegra fidanzata  di Luigino , figlio di Semmolone, il cui unico scopo nella vita è quello di sciupare i soldi del padre.  Claudio Musumeci, figlio di Tuccio, che, nelle movenze e nella voce, ricorda il padre, indossa i panni vistosi di Luigino,  tanto più vistosi nel primo atto in quanto contrastano con i miseri panni spenti  degli abitanti del tugurio condiviso, con l’affitto arretrato di ben “cinque mesate”.  Nel secondo atto, che racchiude il II e il III della pièce scarpettiana, una vera folla di personaggi appare sulla scena colorata e funzionale,  con pochi elementi scenici: riappare come Vicienzo, servo di Semmolone,  il simpaticissimo Salvo Scuderi, che avevamo visto già nel ruolo del padrone di casa e del frigorifero, rigorosamente vuoto, e con lui Valentina Ferrante, spiritosa nei panni d’una fasulla istitutrice di origine inglese, semplice ” serva” nel testo di  Scarpetta, Aldo Toscano, che, con garbo e ironia, sa vestire i panni dell’attempato marchese, abituale frequentatore di casa Semmolone perché desidera ricevere  le grazie della giunonica Gemma senza convolare a nozze, Rossana Bonafede, davvero efficace nelle vesti della pepatissima servetta di Gemma, moglie separata di Felice e madre di Peppeniello, bambino di cinque anni,  felicemente interpretato dal  giovanissimo Giuseppe Testa, già ammirato nel primo atto, protagonista del tormentone “Vincenzo, m’è padre a me” nel film trasformato in” Vicienzo, m’è padre a mia!”, e tutti gli altri in una spassosa  girandola di gag e di situazioni – memorabile il “duello” fra Bettina e Luisella, moglie e amante di Felice – girandola che fa venirei mente le pochade francesi. La commedia  nella commedia ha termine quando Luisella, travestita da principessa di  Casador, piomba inattesa, fingendosi malata, nella villa di Semmolone e svela l’imbroglio.  La commedia termina con l’immancabile happy end.  Peccato non andarla a vedere. Si replica fino al 13 novembre,  al teatro Brancati di Catania , in Via Sabotino,  4 , non lontano dalla sala “Musco” di Via Umberto.

Giorgio Càsole    Nella foto di Giuseppe Messina: il cast al completo

VISITIAMO LA CAVOUR: 4 NAVI IN UNA – L’AMMIRAGLIA DELLA M.M. ITALIANA IN SOSTA AL MOLO NATO DI AUGUSTA – di Giorgio Càsole

 

AUGUSTA.   Al comando di Marisicilia arriva la notizia che la portaerei Cavour, ammiraglia  e  vanto della Marina Militare italiana, il 28 ottobre deve compiere una sosta operativa di dodici ore al molo Nato . La Cavour , nello scorso febbraio, è  transitata  dalle nostre parti, ma non ha mai sostato. Niente di meglio – avrà pensato il comandante di Marisicilia, l’ammiraglio di div. Salvatore Ruzittu, che il 9 novembre lascerà il comando, dopo poco più di un anno – niente di meglio che organizzare una visita completa della portaerei,  per rappresentanti istituzionali e della stampa,  la mattina dello stesso venerdì 28. Ed ecco che, come d’incanto, ci troviamo nell’enorme pancia della Cavour, l’hangar,  un antro ciclopico che può ospitare tir, carri armati, elicotteri (per un massimo di dodici), aerei a decollo/atterraggio verticale (per un massimo di otto). Nell’hangar è montato un grande schermo sul quale sono proiettati filmati riguardanti l’unità navale e gli aerei. Uno di questi aerei, un McDonnellDouglas, del tipo di quelli in dotazione alla Marina americana, visti nei film della serie Top gun, lo vediamo solo sullo schermo mentre plana sul ponte, lentamente, tanto che,  in un momento di grande suggestione, appare come sospeso nell’aria, come un uccello dalle ali spiegate. L’appontaggio riesce in pieno. Solo sullo schermo, però. Non vediamo né aerei né elicotteri né all’interno dell’hangar né sul ponte di volo. Gli aerei hanno la loro base a Grottaglie, vicino Taranto: ecco perché “nave Cavour è basata a Taranto”, informa il  comandante della Cavour, Aurelio De Carolis, capitano di vascello di origine catanese, che, dopo quattordici mesi di comando  (lo ha assunto il 12 ottobre 2010),  il 23 dicembre andrà a far parte dello staff del presidente della repubblica. L’ammiraglio Ruzittu si mostra orgoglioso nell’annunciare il nuovo incarico di De Carolis, che, in anni passati,   è stato sotto il comando dello stesso Rizuttu.  Gli ospiti vengono divisi in cinque gruppi per un’agevole visita della Cavour con il cicerone al seguito.

                                                                                                                                                                

De Carolis, ovviamente, segue il gruppo numero 1, quello costituito dai rappresentanti istituzionali, ma si fa vivo anche in altri gruppi per illustrare di persona le caratteristiche di questa Cavour, la terza della nostra marina che ricorda il conte Camillo Benso di Cavour, primo ministro del regno di Piemonte-Sardegna, che gettò le basi perché il suo sovrano, Vittorio Emauele II di Savoia, divenisse re d’Italia.  La prima fu una nave da trasporto di 1^ classe, attiva dal 1885 al 1894; la seconda una corazzata,  varata nel 1911, che subì varie traversie (fu pure affondata dagli Inglesi a Taranto nel 1940) per essere infine demolita nel 1947. L’attuale Cavour, costruita interamente in Italia, è un nave all’avanguardia, non solo per l’altissima tecnologia applicata che consente un equipaggio limitato a 530 persone (di cui 39 ufficiali), ma può ospitare comodamente  fino a 1.210 persone, perché non è soltanto una portaerei –la prima italiana classificata come tale – ma è una nave ospedale con circa cento posti letto, dodici posti di terapia intensiva,  due sale operatorie, un gabinetto dentistico e una TAC; l’attuale Cavour “ha il ruolo naturale di nave ammiraglia della squadra navale e lo scopo di nave-piattaforma idonea per operazioni marittime interforze e internazionali: insomma, quattro navi in una”, sottolinea compiaciuto De Carolis che, ancora più compiaciuto, ricorda la prima utilizzazione della Cavour, quale nave soccorso nel febbraio 2010 in occasione del terremoto nell’isola di Haiti , quando la nave ha trasportato non solo uomini, mezzi, cibo, medicine, indumenti per i terremotati, ma ha anche fornito energia elettrica. La Cavour, infatti, ha una tale capacità autonoma di produrre energia che potrebbe illuminare una cittadina di oltre seimila abitanti. Il comandante De Carolis, nel congedarsi  con un calice in mano,  mette in luce le meraviglie della Cavour (“solo cinque nazioni al mondo posseggono attualmente portaerei  altrettanto  all’avanguardia”) e afferma che da “quest’unità e dalle sue utilizzazioni viene una ricaduta d’immagine preziosa  per tutta l’Italia”. Infine, una corsa veloce nell’area di ristoro dei marinai: al banco tre simpatiche ragazze in divisa da lavoro vendono i “ricordini”, tra cui un cappello con visiera e i fregi da ammiraglio per dieci euro, mentre un cappello senza fregi costa  meno dellametà. Potenza del fregio!

Giorgio Càsole

Nelle foto (Collezione Antonello Forestiere): momenti della visita

Risultato di prestigio nella Fraternita Laica Domenicana di Augusta – di Gaetano Gulino

 

La prof.ssa Angela Gigli Amato rieletta Presidente della Fraternite Laiche di San Domenico della  Provincia San Tommaso D’Aquino in Italia

  Presso la Casa del Pellegrino di dell’Arco (NA) si è svolta nei giorni 28-29 e 30 ottobre c.a. l’Assemblea Provinciale  Elettiva delle Fraternite Laiche Domenicane e si è conclusa con l’elezione a Presidente della Provincia di San Tommaso D’Aquino della nostra concittadina Angela Gigli Amato. Si è trattato di un autentico successo, data l’importanza della carica in una Provincia che comprende ben 44 Fraternite distribuite nelle  5 regioni dell’Italia meridionale. La Gigli, forte del suo carisma e del suo qualificato curriculum ha infatti riscosso  il massimo dei voti nonostante la concorrenza di veri esperti e validi personaggi famosi nel settore. Il primo riconoscimento pubblico le è stato conferito nel pomeriggio della stessa giornata a Pompei, durante la solenne Cerimonia Liturgica del 26° Pellegrinaggio Domenicano del Rosario

Nella Chiesa, superaffollata di fedeli provenienti da ogni parte d’Italia, le è stato reso pubblicamente omaggio per il risultato ottenuto e il Priore Provinciale fr. Francesco La vecchia OP ha invitato l’ assemblea a  pregare per sostenerla nel difficile ed importante compito affidatole nel prossimo quadriennio. Altro brillante risultato è stato ottenuto dall’avv. Giovanni Amato, marito della Gigli, che sempre in mattinata era stato l’unico eletto a primo scrutinio come membro del nuovo Consiglio Provinciale a cui poi hanno avuto accesso altri due componenti della Campania, due della Puglia ed uno rispettivamente della Calabria e della Sicilia. La Gigli ha presentato a Madonna dell’Arco una corposa relazione sul suo operato a favore delle Fraternite nel precedente incarico che l’ha visto visitare e supportare tutte le fraternite e soprattutto l’ha vista impegnata in prima persona nei vari incontri sia regionali che nazionali e internazionali dove ha partecipato attivamente  apportando il suo qualificato contributo. Ricordiamo che dal 18 marzo al 11 aprile 2011 ha incontrato, insieme con il Promotore Mondiale, fr. David Kammler  OP in visita  Italia, le varie Fraternite e ha partecipato, quale delegata a Caleruega (Spagna), alla 8^ Assemblea Europea del Laicato Domenicano. La rieletta Presidente Provinciale ha evidenziato che i numerosi giovani che aderiscono al Laicato  privilegiano lo studio e la formazione, si impegnano nella collaborazione con Frati e Suore in tante iniziative di carattere spirituale e culturale, portano all’interno della Fraternita le loro esperienze di vita e di lavoro, creando interesse per i problemi sociali e , quindi forme di apostolato e, non ultimo offrono la loro competenza nel campo della comunicazione e dell’informatica. La prof.ssa Gigli inoltre ha tenuto a motivare e stimolare le Fraternite al fine di utilizzare gli incontri non solo come momenti di preghiera comunitaria ma anche di studio con particolare attenzione alla” lectio divina, alla diffusione del Rosario, alla realizzazione di attività di apostolato a favore di immigrati, di famiglie in difficoltà, di ragazzi e bambini che vivono in ambienti difficili e degradati, di ammalati, anziani e carcerati”. Per questo, infatti,” la Fraternita– ha precisato-“ deve diventare una scuola della Parola, la sede privilegiata per coltivare la propria vocazione e non un rifugio,una ricerca di realizzazione personale, viceversa deve diventare una cellula missionaria ed una scuola di speranza per sé e per gli altri”.

Grande soddisfazione è stata espressa da tutti i componenti della Fraternita Laica di San Domenico di Augusta  presieduta in atto dal Sig. Domenico Scatà.

            Gaetano Gulino

 

4 Novembre, festa delle forze armate e dell’Unità Nazionale.

 forze armate,augusta

 

Venerdì 4 novembre, ad Augusta e Siracusa, le celebrazioni della Festa delle Forze Armate e dell’Unità Nazionale, con  il Comandante Militare Marittimo Autonomo in Sicilia, Ammiraglio di Divisione Salvatore Ruzittu, e le massime Autorità militari, civili e religiose locali.

Programma nella città di Augusta:

Ore 08.45 – Monumento ai Caduti in Piazza Castello, deposizione di una corona d’alloro da parte del Sindaco di Augusta,. Massimo Carrubba e del Comandante Militare Marittimo Autonomo in Sicilia, Ammiraglio di Divisione Salvatore Ruzittu.

 

Programma nella città di Siracusa:

Ore 10.55 – Foro Italico

·          Arrivo del Vicario Prefetto di Siracusa, Giuseppa Scaduto,  e del Comandante Militare Marittimo Autonomo in Sicilia, Ammiraglio Salvatore Ruzittu;

·          Alzabandiera;

·          Preghiera per i Caduti;

·          Lettura dei messaggi pervenuti;

·          Allocuzioni dell’Ammiraglio Ruzittu, del Presidente della Provincia Regionale e del Sindaco di Siracusa.

Presenti alla cerimonia, oltre alle Autorità militari, civili e religiose locali, le rappresentanze delle Forze Armate e dei Corpi Armati dello Stato, le Associazioni d’Arma e Combattentistiche e le rappresentanze degli Istituti scolastici di Siracusa e provincia.

U.S.