LA TELA DEL SABATO SANTO

File0001.jpgEsisteva l’usanza, in alcuni paesi di Sicilia, di coprire durante il periodo quaresimale il presbiterio delle chiese, così come ancora oggi avviene per statue, croci e immagini sacre in genere. Ad Augusta erano tre le chiese interessate a questo genere di rito, chiesa madre, chiesa Madonna del Carmine e chiesa del Soccorso, dove venivano issate delle enormi tele il giorno di sabato che precedeva la quaresima, per essere poi deposte,“calate”, il sabato santo; la più grande e importante era ovviamente quella che interessava la chiesa Madre.

Ai riti della settimana santa partecipavano tutte le confraternite e le categorie dei lavoratori presenti nella città e ad ognuna di queste veniva affidato un compito:

i “massari”  si occupavano di allestire e vegliare il sepolcro della chiesa madre vestiti da “babbalucchi”, flagellandosi con catene durante la notte;

 i “fuluari” o marinari, riunendosi nella chiesa della S.S. Annunziata, raccoglievano la tela in dodici, quanti gli apostoli, vestiti come i cadetti dell’Accademia Navale in abito spezzato composto da pantaloni bianchi e corpetto azzurro, a differenza dei capi e degli aiutanti che indossavano abiti interamente scuri;

i mastri muratori davano l’idea dei trapezisti  partecipando alla calata in manovre e in posizioni dove bisognava certamente non soffrire il senso delle vertigini;

i “vastasi” o facchini ricevevano la tela arrotolata dai marinari per uscire dalla chiesa, fare di corsa un giro attorno alla piazza e spiegarla al suo centro.

Il rito iniziava con il “ gloria del mezzogiorno”, cioè con il  festoso scampanellio delle campane accompagnato dal rumore delle sedie energicamente sbattute sul pavimento della chiesa per ricordare il terremoto che precedette la Resurrezione di Cristo, mentre il capomastro dava l’ordine di mollare le cime che avevano sorretto per quaranta giorni la tela.

Arrivò però il giorno in cui Mons. Arcivescovo La Vecchia ne diede il divieto assoluto, sfidando le ire e le maledizioni dei cittadini, perché “Giammai potremo concepire che, anche per pochi istanti, il Tempio, riservato esclusivamente al culto di Dio, offra spettacoli ginnici tanto in contrasto con la dignità e l’austerità dell’ambiente sacro”.

La tela, a quel punto, scomparve misteriosamente per poi essere ritrovata in parte, il 7 gennaio 1972, in un angolo dietro l’altare maggiore.

BUONA  PASQUA  A TUTTI

     Giuseppe  Tringali

La caccia alla volpe

La caccia alla volpe, un’attività diffusa tra i nobili per il piacere di sottomettere con forza spropositata l’indifesa bestiola, era anche uno sport che vedeva impegnati in  campo aperto cani ammaestrati e  un cospicuo numero di uomini a cavallo armati fino ai denti contro quell’ animale, diversamente ritenuto pericolosissimo, infido e malvagio.

4759_a9661.jpgLo sport trae origine da una leggenda che narra un desiderio di vendetta di un un lord inglese, deciso a vendicarsi di una “volpe” perchè, così gli avevano raccontato, intrufolatasi nel suo podere, aveva ucciso le sue galline, rubato i suoi soldi e violentato moglie e figlie. Egli vaga per mesi e mesi nella foresta a caccia dell’animale, non sapendo che nel frattempo l’astuta volpe aveva preso possesso della sua Contea costringendo i nobili dei dintorni a consegnargli i loro averi e le loro donne. Il povero Lord, venutolo a sapere, morì  di crepacuore e il suo cadavere venne divorato da voraci lombrichi.  Passarono gli anni e la volpe continuava a darci dentro con tutte le nobildonne della Contea impedendo ai nobiluomini di avere rapporti eterosessuali. Nel frattempo questi, schifati dal pensiero di intraprendere rapporti con donna plebea, pare fossero quasi tutti diventati omosessuali e pedofili, finchè un giorno, quelli che avevano conosciuto figure di donna, decisero di porre fine a questo regno di inaudita tirannia, si unirono e insieme riuscirono a catturare la volpe: la ammazzarono, la impagliarono e ne fecero un utilissimo fermaporta.

volpe.jpgFortunatamente per noi e per la volpe, la caccia di oggi si limita a scoprire l’ abilità del cavallo ed il coraggio del cavaliere nell’ affrontare le difficoltà improvvise che si parano davanti ad una sostenuta galoppata, l’ oltrepassare ostacoli naturali, magari subito dopo una stretta girata e nella resistenza psicofisica ad arrivare fino alla fine. Quindi non sono più volpi da catturare ma……definiamole semplicemente “splendide emozioni”.

All’evento partecipano molte persone sia a cavallo che appiedate, ognuna contraddistinta da un abito particolare a seconda del ruolo svolto, nonché una muta da cani che seguono le tracce della volpe o di un tampone (chiamato “coda”) impregnato dell’ urina di volpe ( ? ) trasportato da un uomo appiedato lungo un percorso.

 

          Giuseppe Tringali