Un barbone augustano, il figlio del fornaio.

senzatetto.jpgMa si che lo conosco, e’ lui! Anche se non  ricordo  il suo nome…  conoscevo la sua famiglia, il padre panettiere, un grande lavoratore dalla magrezza quasi ossea e tanta vitalità. Ricordo anzi che il padre la notte iniziava a lavorare verso le due o tre del mattino e poi, dopo aver sfornato il pane, curava  personalmente la consegna a domicilio o stava  in giro per continuare la vendita,  per andare a  rilassarsi a fine lavoro nel bar di fronte il suo forno, a bere la sua meritata birra; peccato che,  alcolizzato com’ era,  appena iniziava a bere perdeva la testa e diveniva  lo spasso dei suoi soliti avventori, ritrovandosi poi a offrire da bere a tutti gli altri,  magari utilizzando gli stessi spiccioli che nella mattinata aveva intascato dalla vendita del pane,  fino a quando la moglie  non si affacciava dal balcone a chiamarlo per il pranzo, per farlo rientrare. Solo allora si alzava, se pur mal volentieri , un po’ barcollante, e comunque farfugliando  qualcosa contro quella povera donna, per poi decidere di rientrare finalmente a casa. Cosi si svolgevano le mattinate del fornaio, anche se al bar lui sapeva di  tornarci nuovamente sul far della sera, per riprendere l’attività lasciata di giorno.  Ed io ancora oggi non ho capito come questi riuscisse ad essere immancabilmente  pronto anche per il lavoro del giorno dopo, dove trovasse tanta vitalita’, specie quando i suoi soliti amici erano costretti a doverlo accompagnare a casa di peso.  Succede però che un giorno la sua povera donna decide altrettanto di abbandonarlo poiché, si raccontava,  la storia andava sempre più degenerando sotto i fumi dell’alcol, portando questo disgraziato uomo alla perdizione; abbruttito dal bere e dal lavoro, infatti, continuava a trovare sempre più nella bottiglia la sua ragione di vita. Della moglie, le malelingue raccontavano che la povera crista, una donna semplice e minuta dai capelli lunghi e bianchi, invecchiata precocemente dalla fatica e dal duro lavoro, trovava  occasione di svago nel recarsi nella bottega di alimentari sotto casa, per fare la spesa,  portare il pane e per parlare un po’ con il padrone,  un  vedovo  senza figli avanti negli anni, sempre cortese e gentile con tutti:  fu però proprio l’ indole del vecchio a indurre la donna a scappare con lui di casa per non tornarci mai piu’. Lasciava così al fornaio cinque o sei figli, compreso il barbone di oggi che, essendo il piu’ piccolo dei figli, all’epoca dovette certamente subire  il trauma maggiore. Gli altri figli  di lì a poco cominciarono a defilarsela, mentre con il padre ci rimase solo questo, il più piccolo. Così, soffrendo molto l’abbandono della madre e dei fratelli, si attaccò  morbosamente a questo padre,  del quale dopo non ne seppi più nulla.   Francamente, avevo dimenticato la storia della famiglia del fornaio, così come si dimenticano tante storie nel corso della vita, fino ad oggi, giorno in cui incontro proprio questo poveretto  sdraiato sul marciapiede, dall’ aspetto che lascia trasparire molto  più dei suoi effettivi anni,  con l’alluce gonfio e nero come la pece, che spunta dalla calza sbucata,  le scarpe buttate di  lato, quasi a volersi dare un po’ di sollievo, con una giacca smunta e un paio di pantaloni attaccati alla vita con dello spago. Ha un corpo grasso, una faccia enorme, gli occhi incavati nel color olivastro della pelle,  la barba non  molto lunga, segno che forse non  gli cresce neppure, e indossa quei cenci laceri e sporchi, con a lato una busta di plastica piena di pezze e cose inutili. Le sue mani, piccole e gonfie, le stende alcune volte  ai  passanti con gesti automatici,  dando l’ impressione di regolarsi o con le ombre o con il rumore dei loro passi.  E’  lì davanti a me  il figlio piccolo del fornaio, seduto in pieno centro al lato di un marciapiede accanto al gradino di un portone, con le gambe addossate a muro, quasi a non voler recare disturbo ai passanti, quasi a essere lui a scusarsi del disturbo che la sua persona potrebbe arrecare agli altri. Ed ha ragione, visto che chi transita da quelle parti accentua frettolosamente il passo senza neppure accorgersi della sua umana presenza. Nessuno vede, nessuno sente, se no qualcosa avrebbero pur donato. Ah.. se avessero saputo!

Si passa svelti da quel marciapiede dove sta’ il barbone, si vede che hanno tutti  qualcosa da fare. In particolare ho notato che i piu’ giovani, chissà perché, passando proprio di lì hanno tutti da telefonare, come se venissero ispirati da qualcosa di misterioso; peccato che nell’  oltrepassare “la siepe”,  non trovano campo…

 

  Emidio  Giardina