AVOLA. Quarant’anni fa erano in vigore le cosiddette gabbie salariali, misure protezionistiche che, però, causavano ingiuste discrepanze fra i lavoratori di uno stesso settore. Nella provincia di Siracusa, per esempio, i braccianti di Avola e dintorni percepivano 300 lire meno di altri braccianti che svolgevano lo stesso lavoro in altre campagne. Poiché gli agrari, cioè i proprietari delle terre, di Avola e dintorni, ivi compresa la marchesa di Cassibile, non volevano colmare la differenza, i braccianti esasperati decisero, il 24 novembre del ’68, di bloccare la statale 115, nella speranza che si potesse trovare l’accordo, grazie all’intervento del prefetto aretuseo. Ma gli agrari facevano orecchi da mercante, pur di non cedere sulle 300 lire che , però, gli stessi davano ad altri braccianti in altre aree della stessa provincia. Il blocco statale resistette fino alle 14 del 2 dicembre. A quell’ora di quel giorno fatale il sangue dei lavoratori bagnò l’asfalto. Colpiti dai proiettili dei poliziotti, morirono Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia e furono feriti altri quarantotto braccianti, di cui cinque gravemente. La spiegazione ufficiale della polizia fu la seguente. Un reparto celere, fatto venire apposta da Catania, aveva lanciato petardi lacrimogeni per vincere la resistenza dei braccianti. I quali reagirono lanciando sassi verso i poliziotti, mentre il fumo causato dai lacrimogeni, a causa del vento contrario investiva gli stessi poliziotti. Per tutta risposta, i celerini, imbracciate le armi, spararono contro la folla dei braccianti pallottole vere, non a salve – come avevano pensato in un primo momento i lavoratori. Alla fine della sparatoria, furono raccolti tre chili di bossoli. L’unico a pagare per i morti di Avola fu l’allora questore di Siracusa, Politi, immediatamente rimosso dal ministero dell’Interno, Restivo, mentre il prefetto fu addirittura promosso. Eppure aveva maggiori responsabilità di Politi. Politi, che era stato commissario ad Augusta, non aveva dato l’ordine di sparare ed è morto con quest’onta del suo nome. Dopo i morti e i feriti, gli agrari si affrettarono a firmare l’accordo per concedere le sospirate trecento lire. Stava per concludersi il 1968, l’anno delle rivolte studentesche, l’anno in cui si rivendicò “la fantasia al potere”, l’anno delle grandi speranze giovanili, delle illusioni di un mondo più giusto. A parte la destituzione del questore Politi, non ci fu altro provvedimento. Nessuno ha pagato per i morti e per i feriti di Avola, morti e feriti per appena trecento lire. La giustizia ufficiale di questo Paese non ha ritenuto di perseguire nessuno. Nemmeno la grande stampa, la stampa del nord, per intenderci, ha memoria di questi che da noi sono ricordati come “I fatti di Avola”. Abbiamo cercato invano un riscontro nelle pubblicazioni che , a iosa quasi, sono usciti negli anni scorsi per ricordare il Novecento o gli anni della cosiddetta Prima repubblica italiana. Anche la stampa isolana, eccezion fatta per il quotidiano catanese La Sicilia, non ha dedicato grande spazio al quarantesimo anniversario di quei fatti di cui le giovani generazioni sanno pochissimo o nulla. Per quest’ultima ragione, meriterebbe d’essere visto dal maggior numero di studenti della nostra provincia, lo spettacolo intitolato proprio “I fatti di Avola”, cucito con consumata abilità dal catanese Filippo Arriva, anche sulla scorta di una pubblicazione dell’avolese Sebastiano Burgaretta, diretto con rigore dal messinese Walter Manfrè ( uno dei primissimi allievi dello Stabile di Catania) e interpretato con maestria dal siracusano Carlo Muratori, noto più come sensibile esecutore di canzoni siciliane, affiancato da Stefania Bongiovanni e da Doriana Li Fauci, che hanno dato voce alla cronaca e fatto vibrare lo spirito dolente dei lavoratori. Muratori, padrone della scena dall’inizio alla fine, è stato accompagnato da Maria Teresa Arturia alla fisarmonica, da Marco Carnemolla alla chitarra e, soprattutto, Francesco Bazzano alle percussioni, anch’essi sempre sulla scena. Lo spettacolo è stato dato sotto l’egida della Provincia regionale, rappresentata dal presidente, l’avolese Nicola Bono, nel bellissimo cine-teatro Odeon di Avola, aperto a tutti. All’ingresso non c’era la ressa che ci saremmo aspettati. Sono trascorsi quarantacinque minuti perché la platea si riempisse lentamente. Forse la gente di Avola non ha ancora “metabolizzato” quei morti e quei feriti. Comunque, i giovani erano assenti. Sarebbe stato più opportuno un maggiore e più capillare coinvolgimento. Per esempio, visto che sulla scena si è fatto uso di un televisore per far vedere immagini dell’epoca, sarebbe stato interessante, certamente più toccante, trasmettere immagini di repertorio proprio dei Fatti di Avola e anche far sentire qualche testimonianza di sopravvissuti o attraverso lo schermo o, addirittura, sul palco. Per la sua interpretazione Carlo Muratori è stato candidato a ricevere il premio Rubens, ideato da Vittorio Ribaudo, in occasione della 27° edizione che sarà celebrata il 20 dicembre al teatro della banchina torpediniere nella base militare di Augusta.
Giorgio Càsole