La meritocrazia fra pubblico e privato
La meritocrazia è un valido strumento che, applicato in assoluta buona fede, riconosce il giusto merito a tutti coloro che operano nel mondo del lavoro, dall’operaio al ricercatore scientifico. L’azienda che persegue questa logica è destinata a prosperare, ad espandersi, ad essere presa a modello dagli altri. Creare una giusta, sana e leale competizione tra chi opera, a distanza di tempo non può che avere risvolti positivi. Nell’azienda in cui si applica questo principio emergeranno i più bravi e i più volenterosi saranno gratificati in termini di emolumenti e di carriera; soprattutto si eviterà che il mediocre, figlio del tizio o amico del caio, abbia la carriera spianata dalle solite e odiose scorciatoie, con l’irreversibile danno non solo ai colleghi, ma soprattutto all’azienda stessa. Nel nostro paese sono presenti diverse tipologie di lavoro, ma fondamentalmente sono imperniate su due categorie: il Pubblico e il Privato; senza rammarico diciamo che se la strada che porta alla meritocrazia nel privato è relativamente facile, nel pubblico è irta di mille difficoltà. Nel primo caso, infatti, il dirigente responsabile ha tutto l’interesse affinchè l’azienda produca, cresca e aumenti il proprio fatturato, con risultati bivalenti: per l’azienda che vedrà crescere il fatturato e per i dipendenti che godranno di una vita lavorativa più tranquilla senza lo spauracchio della mobilità o del licenziamento, anzi con la consapevolezza che il loro impegno produrrà qualche beneficio. Nel Pubblico Impiego la cosa è ben diversa perché ad eccezione di qualche realtà dove il riconoscimento del merito può trovare una “certa plausibilità”, ci sono tantissimi settori dove lo stesso Pindaro si sarebbe arreso. Tanti, troppi uffici della P.A. ci hanno provato, con risultati a dir poco deludenti. Nel comparto Ministeri le cose non vanno meglio, anzi vanno decisamente peggio: in quello della Salute, appena si discute di salario accessorio spuntano i bisturi sul tavolo della contrattazione. Al Ministero dell’ Istruzione è sorta quasi un’ insurrezione generale da parte dei docenti, i quali hanno posto un netto rifiuto a questo genere di confronto. E via discorrendo.. . Particolare attenzione merita invece il nostro Ministero Difesa per la sua atipicità (l’unico, dove ancora troviamo operai dello Stato). Consapevoli di arrecare un profondo dispiacere ai Ministri – Don Chisciotte e ai tanti giuslavoristi – sapienti, crediamo di potere affermare, fino a prova contraria, che applicare il concetto di meritocrazia nel nostro Ministero, allo stato attuale è pressoché impossibile perché reduci da oltre un decennio da fallimenti in materia; nel frattempo sono cambiati Ammiragli, Generali, Dirigenti e Sindacalisti senza aver mai raggiunto risultati concreti. La meritocrazia è strettamente legata ad un altro termine altrettanto suadente: produttività. Ma produttività di che? Di cosa? Se costruissimo pentole.. sarebbe facile applicare un conteggio ma noi produciamo essenzialmente servizi; noi conosciamo i miracoli a cui sono chiamati (tra sciatiche e colpi della strega, tra un macchinario fuori norma ed un altro pure) quei quattro lavoratori anzianotti rimasti alle lavorazioni. Per non parlare dell’ insostituibile figura del sottoufficiale che nello stesso ufficio esegue lo stesso lavoro ad un trattamento economico decisamente diverso. E nelle officine? Chi lo stabilisce che un lavoro vale più di un altro? No signori, il dirigente responsabile il più delle volte è una figura effimera nominata quasi per caso il cui obiettivo spesso è quello di tornare al più presto da dove è venuto, mentre i suoi sott’ordini, avulsi dal contesto in cui si trovano, ignorano la materia del settore dato a loro in affidamento. Sono questi i personaggi chiamati a pronunciarsi sulla meritocrazia. Dio ci salvi dal dirigente che ha le idee chiare, che ha trovato la formula magica della meritocrazia, che ti parla di aumentare la produttività là dove in molti casi non si produce un bel nulla, che rivendica il criterio di valutare il “numero delle pentole”, che in fase di contrattazione sarà bene non contraddire (diversamente, la rissa della riunione condominiale, a confronto, potremmo paragonarla a una piacevole conversazione tra amici).
Cari dirigenti statali e cari giuslavoristi che spendete parte del vostro prezioso tempo a spiegarci il moto rivoluzionario della terra, provate a riflettere se vale realmente la pena di spacciare ipocritamente un interesse e un’ambizione personale per un bene collettivo.
Il Segretario FP CGIL Difesa Provinciale
Sebastiano TRIGILIO