11 SETTEMBRE 2001
Compianto per i morti di New York
di Giorgio Càsole
Si fermò di botto il tempo quel giorno
quando volò bassa una nube oscura
quando al rombo nero seguì la paura
quando il cielo si coperse di odio
e Manhattan fu come Hiroshima:
da quel giorno non fu mai come prima.
Si fermarono tutti gli orologi
alle nove e dieci di quel mattino
dell’undici settembre duemilauno
e si fermò lo sguardo di ciascuno
nel seguire l’impresa inaudita
e scoppiarono gli occhi della gente
quando la morte scoppiò tra le dita
a quelli ormai senza più la mente.
Si fermarono tutti gli orologi
e un bambino lanciò alto un grido
acuto come freccia sibilante
poi muto s’arrestò di fronte al nido
e quindi volò giù come un aliante
come un aliante senza l’alettone
che il suo volo finisce in un burrone.
E come lui anche madri e papà
da quel titanic di ferro e cemento
per sfuggire all’inutile tormento
delle fiamme assassine in libertà.
Si fermarono tutti gli orologi
e le torri, titanici uncini
per graffiare le olimpiche vette
nuove babeli d’acciaio corrette
per sfidare gli altissimi confini,
le torri, cuore possente d’America
le torri, ricche di pieni destini,
fatali sirene di pietra, tragica
vissero una sorte giammai prevista:
colpite afflosciate implose annientate
con quelle genti nel fango mischiate:
rapida agonia che più rattrista.
Si fermarono tutti gli orologi
in quell’istante di rabbia e dolore
tutti gli orologi di tutto il mondo
inorriditi per il gesto immondo
o infiammati d’odio e di rancore.
Un’altra nube densa si levò
di carne e di fango, di sangue e di pianto,
sull’isola tutta luttuoso manto,
lento un lamento lieve s’innalzò.
Tacquero gli urli dell’ambulanza
tacquero le grida dei poliziotti
tacquero i balli in lontananza
e tacque il fremito dei giovanotti.
Si fermarono tutti gli orologi
nel cratere immane, a ground zero:
solo del silenzio s’ode ora il canto
dei morti si sente ancora il respiro.
Il vento spazzò via le illusioni
fervono però ora quelle azioni
perché non rimanga solo un compianto.
Si fermarono tutti gli orologi
alle nove e dieci di quel mattino
dell’undici settembre duemilauno
e si posò lo sguardo di ciascuno.