Roberto Andò: il cinema come pensiero e come memoria

VIVA-L~1.JPGCATANIA«Mi interessa la memoria quando diventa la perfetta geometria di un destino. Mi interessa la misteriosa confluenza, in chi racconta, tra ciò che si svela e ciò che si omette». È sostanzialmente una dichiarazione di poetica quella maturata nel tempo da Roberto Andò, autore a tutto tondo, regista, sceneggiatore, scrittore, ai vertici del panorama teatrale, letterario, cinematografico. E appunto il Cinema come memoria e come pensiero, interprete della realtàs’intitola l’ approfondimento che venerdì 31 maggio, alle ore 21, vedrà l’artista palermitano alla sala Musco, per lappuntamento che chiude la terza edizione di Filminscena – Conversazioni di Cinema in Teatro. Il ciclo s’ inserisce tra le iniziative varate dal direttore del Teatro Stabile di Catania, Giuseppe Dipasquale, per valorizzare l’attività culturale dell’ente, aprendo il sipario non solo sulla prosa ma sui diversi linguaggi dell’arte.  

La conversazione con Andò, che sarà condotta da Ornella Sgroi con l’ausilio di materiali video, darà agli appassionati l’occasione di incontrare un cineasta geniale, dallo sguardo lucido e profetico. Lo dimostra la surreale satira del recentissimo Viva la libertà, accolto con favore dal pubblico e dalla critica, e subito balzato al centro di uno stimolante dibattito civile e politico. Merito di una personalità versatile, capace anche di illuminanti incursioni nel mondo letterario, che ne ha riconosciuto il valore conferendogli il Premio Campiello Opera Prima per Il trono vuoto. Questo romanzo demistificatore, in cui viene esplorato il rapporto sottilissimo tra politica e follia, è diventato sceneggiatura proprio perViva la libertà, pellicola candidata in atto a ben dodici David di Donatello, con Toni Servillo doppiamente straordinario nelle vesti di due antitetici gemelli, e le eccellenti prove di Michela Cescon, Valeria Bruni Tedeschi, Valerio Mastandrea. Ritorna qui la ricerca della memoria degli altri, peculiarità di Roberto Andò sin dal primo lungometraggio, Diario senza date (1995), dedicato alla sua Palermo, a cui segue. Il manoscritto del principe(2000), con Michel Bouquet e Jeanne Moreau, sullultima parte della vita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa e la stesura del Gattopardo. Reminiscenze s’intrecciano ancora al recupero dei luoghi d’origine in Viaggio segreto(2006), con Donatella Finocchiaro e Alessio Boni. E ritorna l’idea, sempre sottesa ai diversi lavori, secondo cui l’universo cinematografico sia in realtà un itinerario nei labirinti della mente e dei ricordi, una sorta di percorso odeporico alla ricerca di una verità o di sé stessi, contro l’oblio o tra le ambiguità del doppio. Molto attinge Andò anche dal teatro, esordendo da regista nel 1986 con La foresta-radice-labirinto, da un testo inedito affidatogli da Calvino. Tra le tante messinscene di rilievo si distinguono quelle dedicate all’opera di Pinter. Con il premio Nobel stringe anzi una profonda amicizia, alla base del film Ritratto di Harold Pinter, presentato nel 1998 alla Mostra del Cinema di Venezia. Proprio dirigendo la commedia pinteriana Vecchi tempi, interpretata da Umberto Orsini e Greta Scacchi, inizia nel 2003 la collaborazione del regista con lo Stabile etneo, rafforzata nelle ultime stagioni da un altro successo, Leonilde, monologo di Perroni sulla figura di Nilde Iotti, ancora con Michela Cescon. L’edizione 2013 di Filminscena è stata promossa dal Teatro Stabile di Catania con il sostegno del Dipartimento di Scienze Umanistiche dellUniversità, diretto dallo storico Carmelo Crimi, in collaborazione con le cattedre di Cinema, Fotografia e Televisione e Storia e Critica del Cinema, tenute rispettivamente da Rosario Castelli e Alessandro De Filippo, e con il patrocinio del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici, presieduto da Laura Delli Colli.

   C. R. A.

IL MATTATORE LELLO ARENA OSPITE DI “DOPPIA SCENA”, PER LA RASSEGNA PROMOSSA DAL TEATROSTABILE DI CATANIA E DALLA LIBRERIA MONDADORI DIANA

1620838595.jpgCATANIA – Face to face con Lello Arena, ospite di “DoppiaScena”, il ciclo di incontri promosso in sinergia dal Teatro Stabile di Catania e dalla Libreria Mondadori Diana, che giovedì 9 maggio, alle 17.30,ospiterà l’evento nella sede di via Umberto I. Il popolare comico è in queste settimane a Catania, applauditissimo “Capitan Fracassa” all’Ambasciatori fino al 19 maggio. La commedia, frutto di interessante contaminazione tra il romanzo d’appendice di Théophile Gautier e i canovacci di Francesco Andreini, è stata riadattata dal regista Claudio Di Palma, che sigla un allestimento di punta realizzato dal Teatro Stabile di Catania in coproduzione con Bon Voyage e il XLVI Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Approdato nella città etnea dopo una tournèe nazionale di successo, l’artista sarà protagonista anche a “Doppia scena”. Come di consueto interverrà il direttore del Teatro, Giuseppe Dipasquale, con il coordinamento della giornalista Caterina Andò. Giunta al quinto rendez-vous della stagione 2012/2013, il ciclo di approfondimenti si riconferma imperdibile appuntamento, affollato dal pubblico che accorre ad incontrare i suoi beniamini: si tratta di un viaggio nei meandri della mise en scene e del suo backstage, raccontati in prima persona da chi il palcoscenico lo vive e ne respira la polvere.

Caterina Rita Andò

Lello Arena è Capitan Fracassa, tra romanticismo e commedia dell’arte

arena.jpgTRECASTAGNI – «Un inno alla seduzione del teatro e dell’arte, alla bellezza dell’amore e della passione, valori potenti che rendono l’uomo migliore e lo fanno sentire veramente vivo». Così Lello Arena esalta la scelta di portare in scena “Capitan Fracassa”, nuova coproduzione di grande successo realizzata dal Teatro Stabile di Catania e Bon Voyage con collaborazione del XLVI Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Nel ruolo del titolo, il popolarissimo attore partenopeo dà l’ennesima prova del suo straordinario talento comico, nutrito di una vigile coscienza che lo spinge da sempre ad evidenziare il risvolto sociale del messaggio artistico. Da mesi in tournée nazionale, “Capitan Fracassa” approda nel week end al Teatro Comunale di Trecastagni, dove cresce l’attesa per il penultimo titolo del cartellone allestito dallo Stabile catanese in sinergia con il Comune pedemontano. Due le rappresentazioni: sabato 4 maggio alle 21 e domenica 5 alle 18.  Lo spettacolo sarà poi in scena dal 7 al 19 maggio al Teatro Ambasciatori di Catania: anche il capoluogo etneo è pronto ad accogliere un protagonista e un titolo che s’inseriscono a perfezione nella stagione dello Stabile, dedicata dal direttore Giuseppe Dipasquale ad un tema – “L’arte della commedia” – che vede in “Capitan Fracassa” uno degli appuntamenti più significativi. Regia e adattamento sono firmati da Claudio Di Palma che – procedendo ad un’interessante contaminazione – si è rifatto al romanzo romantico e picaresco di Théophile Gautier nonché ai canovacci di Francesco Andreini, maestro della commedia dell’arte e autore del celebre “Capitan Spaventa”.

Lello Arena evidenzia la “necessaria” funzione civile: «Raccontare a tutti come l’arte sia elemento indispensabile per aiutarci a recuperare quell’energia vitale, quell’unicità preziosa del nostro passaggio nel mondo, è missione imprescindibile nell’attuale momento. Capitan Fracassa ben sa quanto sia necessario, se non obbligatorio, rinunciare alla tentazione di tirare i remi in barca, di anestetizzarsi ad ogni sentimento ed emozione, seppellirsi da vivo, rendersi indisponibile per l’amore e la passione, che sono addirittura origine prima della propria stessa nascita». Le prime trenta pagine del libro di Gautier, non poche, rapiscono il gusto descrittivo dell’autore, “costringendolo” a soffermarsi con tratto scrupoloso sulla solitudine che immiserisce l’umore del barone di Sigognac. Ma ecco che un’opportunità salvifica si annuncia con tre colpi violenti battuti alle porte del suo castello e, dietro i colpi, il volto burlesco di un commediante di provincia; a seguirlo, altri attori di strada in cerca di una dimora momentanea. Il teatro si propone, provvidenziale e casuale, a Sigognac per riconvertire il suo silenzio indolente in azione e gli sottopone una grammatica di segni comici che ne risvegliano gli umori “insani”, riconcedendogli una vita, riassegnandogli un’identità: Capitan Fracassa. Si innesta qui con coerenza la peculiare lettura che Di Palma ha costruito su Arena. Al nostro Fracassa, ormai maturo, il teatro si presenta con la forza seduttiva di un’adolescente inconsciamente adescatrice, che lo porta a vivere con pienezza un’epopea vitalissima e smodata da “Illusion comique”. E per la chiusura del sipario, per il ritiro dalle scene cosa scegliere? Il finale favolistico, edulcorato e pacificante suggerito/imposto a Gautier da familiari ed editore, oppure seguire la prima intuizione dello scrittore che riduceva Sigognac “seduto sull’orlo di un sepolcro ad attendere che la morte venisse col suo dito ossuto a spingerlo nella buia cavità”? La seconda ipotesi – oltre ad evidenziare la naturale destinazione al silenzio cui il teatro induce al momento della fine – suggerisce con forza un rimando suggestivo alla modalità con la quale Sigognac aveva scelto di seguire gli attori: spinto, quasi inerme, dalla passione (morte) nella nuda scatola teatrale (buia cavità). Quello della “pietra verdastra e sgretolata della tomba”, dunque, sembrerebbe lo sfondo ideale dello scenario conclusivo, ma … finirà proprio così?

Caterina Rita Andò    

IL TEATRO STABILE DI CATANIA OSPITA LA MODERNA ANTIGONE DI VALERIA PARRELLA

con la regia di Luca De Fusco e Gaia Aprea nel ruolo della protagonista

L’eutanasia è un diritto. Parola di Antigone

 

ANTIOGA.jpgCATANIA – Forte del successo riscosso a Napoli, Bologna, Genova, Salerno, Torino, Roma, approda dal 23 aprile al 5 maggio al Teatro Ambasciatori l’atto unico Antigone di Valeria Parrella con la regia di Luca De Fusco.Interpreti dello spettacolo, ospite del cartellone del Teatro Stabile di Catania, sono Gaia Aprea, nel ruolo del titolo, Anita Bartolucci in quello di Tiresia, Fabrizio Nevola per Emone, Giacinto Palmarini, il Corifeo, Alfonso Postiglione, il Guardiano, Nunzia Schiano, la Detenuta, Paolo Serra, il Legislatore, Dalal Suleiman, la Corifea.Le scene sono firmate da Maurizio Balò, i costumi da Zaira de Vincentiis, il disegno luci è di Gigi Saccomandi, le musiche originali sono di Ran Bagno. Lo spettacolo è una produzione del Teatro Stabile di Napoli e Fondazione Campania dei Festival.L’autrice di Lo spazio bianco e Lettera di dimissioni, rilegge la tragedia di Sofocle consegnando alla figura mitologica nuove “ragioni del cuore” per cui battersi al cospetto delle leggi degli uomini. L’amore per Polinice, che da tredici anni giace inerme “fuori le mura della vita”, vede Antigone rivendicare la liceità del gesto interdetto dalla legge e foriero di condanna: “liberare” le spoglie fraterne dai lacci di un destino crudele per consegnarle al degno riposo.  “Questa – dichiara Luca De Fusco – è un’Antigone che ho sentito subito necessaria; un testo che rilegge il mito con gli occhi di oggi spostando l’oggetto del conflitto su un versante contemporaneo ma riaffermando la questione centrale posta da Sofocle: la contrapposizione tra legge naturale e legge degli uomini.”Nel solco delle rivisitazioni del mito sofocleo – tra le quali a teatro si ricordano quelle storiche di Jean Anouilh del 1942 e di Bertolt Brecht del 1947, la quale ispirerà a sua volta quella del Living Theatre del 1967 – l’Antigone di Valeria Parrella attualizza le ragioni del conflitto innervando lo scontro fra legge e coscienza sul tema dell’eutanasia e del libero arbitrio. Mantenendo intatta la struttura dell’opera, con linguaggio alto e poetico la scrittrice napoletana affida al personaggio tragico un intenso discorso sulla vita, sul coraggio, su cosa significa essere partecipi del Diritto, oggi.Antigone di Valeria Parrella è pubblicato da Einaudi.Il 27, 28 e 29 novembre 2013 lo spettacolo debutterà a Parigi, al Théâtre National De Chaillot.

Caterina Andò

PER LA STAGIONE DEL TEATRO STABILE DI CATANIA, DAL 12 APRILE ALL’11 MAGGIO VA IN SCENA ALLA SALA MUSCO “LA BANDA DEGLI ONESTI”

di Age & Scarpelli, regia Federico Magnano San Lio; scene Angela Gallaro,costumi Giovanna Giorgianni,musiche Aldo Giordano, luci Franco Buzzanca; con Mimmo Mignemi, Angelo Tosto, Fulvio D’Angelo, Nellina Laganà, Giampaolo Romania, Giada Colonna, Alessandro Idonea; produzione Teatro Stabile di Catania.

 

imagesCA92SFWX.jpgCATANIA– Chi non ricorda Totò e Peppino impegnati nella truffa del secolo, inesorabilmente destinata a fallire per “eccesso d’onestà”? Il Teatro Stabile di Catania, grazie all’intelligente regia di Federico Magnano San Lio, rende omaggio ai due mostri sacri della commedia all’italiana, scegliendo per il pubblico etneo “La banda degli onesti”, versione teatrale del famoso film di culto, girato da Camillo Mastrocinque nel 1956, con la sceneggiatura scritta a quattro mani dal mitico tandem Age & Scarpelli. Si tratta di un testo dalla verve comica assoluta, che s’inserisce a perfezione nel cartellone etneo, intitolato dal direttore Giuseppe Dipasquale all’“Arte della commedia”.Saranno Mimmo Mignemi e Angelo Tosto ad interpretare, rispettivamente, il portiere Antonio Bonocore e il tipografo Giuseppe Lo Turco: la collaudata coppia, carissima anche al pubblico oltre lo Stretto, darà vita ad una serie di trovate esilaranti che, nel ricordare i sommi napoletani, farà rivivere qualità e goffaggini degli italiani in un’atmosfera di altri tempi. Ad affiancarli ci sono Fulvio D’Angelo (virtuosisticamente impegnato in diversi ruoli: il ragioniere Casoria, il maresciallo Denti, ma anche postino, tabaccaio, guardia notturna), Nellina Laganà (Maria Bonocore, moglie di Antonio), Giampaolo Romania (nelle doppie vesti dell’incisore “cavaliere” Andrea e del pittore Tommaso Cardoni). E ancora Giada Colonna (la signorina Willoughby) e Alessandro Idonea (Michele Bonocore, figlio di Antonio). Le scene sono di Angela Gallaro, i costumi di Giovanna Giorgianni.

Spigliata, briosa, dotata di un dialogo vivace, la storia corre diritta all’onesto scopo di suscitare risate. Tutto ha inizio quando un anziano in punto di morte, assistito dal suo portiere Antonio Bonocore, gli rivela di possedere alcuni cliché originali e la carta filigranata della Zecca dello Stato, ricevuta daun ex dipendente in punto di morte. Il portiere chiede ad un tipografo e ad un pittore, indebitati come lui, di dar vita a una banda di falsari. Ma il progetto naufraga quando Bonocore scopre che il figlio finanziere è sulla pista di una partita di banconote false… L’allestimento di Magnano San Lio propone una versione teatrale della “Banda degli onesti” arricchita da invenzioni nuove, sviluppate sulla linea dei personaggi originali. Nonostante si mantenga, dunque, la sceneggiatura di Age & Scarpelli,maestri di satira e umorismo popolaresco, si cercherà di mantenere un’autonomia espressiva, che consenta l’uso di forme e immagini più dinamiche e moderne.Nelle inesauribili gag tipiche del repertorio italiano, c’è tutta l’umanità “minore” che si coalizza in una velleitaria rivincita verso i ricchi e potenti, adottando i metodi scorretti dei suoi persecutori. Ma la commedia è molto più che la simpatica storia di tre improbabili falsari. «In realtà il tema affrontato risulta tremendamente attuale- puntualizza il regista- È la povera e faticosa onestà contrapposta al comodo benessere generato da un illecito. E colpisce il pudore che i tre personaggi mostrano quando confessano di non avere spacciato i soldi falsi e di aver, invece, fatto credere il contrario agli altri, per paura di essere giudicati fessi». Al divertimento s’intreccia, dunque, una garbata polemica sociale, l’ansia di un nuovo benessere negli anni che precedono il boom. A prevalere è comunque una sorta di «pudore dell’onestà- sottolinea ancora il regista- che può essere percepita come difetto e che in una parte dell’immaginario collettivo è, evidentemente, indizio di incapacità. A noi, però, interessa ritrarre l’amabile leggerezza di quei personaggi alle prese con cose più grandi di loro e per questo molto simpatici. Simpatia probabilmente generata dai modi e i tempi di quella felicissima tradizione comica che affonda le radici nei personaggi improvvisati della commedia dell’arte, per giungere fino a noi nelle gag da avanspettacolo». Un esempio di comicità che ritrae un universo umano colto nei momenti di incertezza e confusione. Una lente che permetta di vedere i nostri pregi e difetti e che provi a raccontare, con molte risate, la lotta quotidiana per la sopravvivenza.

Caterina Andò

Il grande Franco Branciaroli, interprete e regista di “Servo di scena” alla sala Ambasciatori di Catania

Per la Stagione del Teatro Stabile di Catania, dal 10 al 14 aprile va in scena alla sala Ambasciatori “Servo di scena” di Ronald Harwood, traduzione Masolino D’Amico, regia Franco Branciaroli; scene e costumi Margherita Palli, luci Gigi Saccomandi; con Franco Branciaroli, Tommaso Cardarelli e Lisa Galantini, Melania Giglio, Valentina Violo, Daniele Griggio, Giorgio Lanza; una produzione Teatro Stabile di Brescia, Teatro de Gli Incamminati

 

flyer_684627062.jpgCATANIA – Cosa accade dietro le quinte di una compagnia shakespeariana nella Londra degli anni ’40 bombardata dai nazisti? E dove risiede l’essenza più intima del Teatro? Ce lo svela “Servo di scena”, uno dei più celebri testi del drammaturgo inglese Ronald Harwood, che ha curato pure l’adattamento cinematografico dell’omonimo film di culto, girato da Peter Yates nel 1983. Il Teatro Stabile di Catania ospita ora il nuovo allestimento italiano portato con vivo successo in tournée nazionale dal grande Franco Branciaroli, che firma anche la regia e ha scelto come formidabile antagonista l’attore Tommaso Cardarelli. Prodotto dal Teatro Stabile di Brescia e dal Teatro de Gli Incamminati, lo spettacolo va ad arricchire il cartellone etneo, intitolato dal direttore Giuseppe Dipasquale all’«Arte della commedia». L’appuntamento è dal 10 al 14 aprile alla Sala Ambasciatori. Scene e costumi sono di Margherita Palli, le luci di Gigi Saccomandi. Insieme ai due interpreti principali, sul palcoscenico agiscono anche Lisa Galantini (Milady/ Cordelia, la primattrice), Melania Giglio (Madge, la direttrice di scena), Valentina Violo (Irenina, la ragazza giovane), Daniele Griggio e Giorgio Lanza (due vecchi attori).

Giocato infinitamente sul discorso metateatrale, “Servo di scena” è ritagliato ad hoc sulla figura di un attore di carisma, com’è il multiforme Branciaroli,che impersona l’istrionico capocomico Sir. La commedia, però, non è costruita per una voce solista. In coppia c’è il bravissimo Cardarelli, il dresser Norman, infinita risorsa di pazienza e humour. Il termine inglese equivarrebbe più precisamente al nostro “vestiarista”, ma l’autore della traduzione, Masolino D’Amico, ha giustamente optato per un vocabolo meno esatto ma più suggestivo. Entrambi mattatori efficacissimi, dunque, su sponde opposte, nel loro essere diversamente protagonisti: Branciaroli, giunto ad una straordinaria maturità espressiva, anche nei suoi silenzi, e Cardarelli che interpreta tutto sul filo di una sotterranea, angosciante isteria. Londra è in guerra, ma continua imperterrita a vivere, nonostante tutto: i teatri sono pieni e Shakespeare viene rappresentato incessantemente, come modello di un popolo che non perde la sua dignità. Ad incarnare lo spirito scespiriano è il nostro vecchio primo attore, un indeterminato Sir, impresario di se stesso e della compagnia che guida tra mille difficoltà. Stasera tocca a Re Lear, ma il mattatore è fuori fase: sbaglia perfino costume e si trucca da Otello, non ricorda le battutte. Ha addirittura un collasso e lo spettacolo verrebbe sospeso se non fosse per le infinite cure del suo fedele “servo di scena”. Norman lo rincuora, gli ridà la sicurezza perduta, oltre ad aiutarlo, come di consueto, a truccarsi e vestirsi. Ed è dunque per merito di Norman che la tragedia vain scena per la 227esima volta e che Sir vi ottiene, recitando in modo più toccante del solito, un particolare successo. Ma, quando il sipario si chiude, non ci saranno, per il “servo di scena”, né riconoscimenti né gratitudine. Sir e Norman sono, dunque, animali da palcoscenico, che solo sul palcoscenico vivono, al punto di faticare a distinguere tra recita e vita quotidiana, ma della scena conoscono tutte le leggi e meccanismi. Si scambiano incessantemente il ruolo di comico e spalla, in una commedia che porta sul palcoscenico “la morte del cigno”: amara metafora del teatro come prigione, specchio dell’esistenza umana, dove forse l’unica possibilità di salvezza risiede esclusivamente nella morte. Ma in realtà è, soprattutto, un inno al teatro, alla sua capacità di resistere in tempi difficili, alla sua insostituibilità. Se Sir resiste fino a chiusura di sipario, incarnando in ciò anche il cinico imperativo dello “Show must go on”, nella figura del servo Norman trapela la forza stessa del teatro. Invincibile, perché non ha padroni, non cerca ricompense. Invulnerabile, perché la ragione profonda della sua esistenza sta nella sua gratuità. Perciò il “dresser” sa pronunciare le parole più importanti e profonde con ironia e senza perdere il sorriso. Monumentale la scenografia della Palli: l’impianto è, già in sé, un orgoglio di artigianato, una materia drammaturgica comunicativa. In basso, in un sottopalco labirintico, c’è il camerino del primattore, con tutte le dovizie dei capricci di scena, e attraverso una scala a chiocciola s’arriva a un piano superiore, il retro della ribalta, con accesso al luogo dove si recita, schermato per noi, che distinguiamo solo le ombre della rappresentazione. Un dietro le quinte che racchiude, doppiamente, in sé una sublime metafora della vita, una duplice forma di conoscenza che ci regala il teatro di ogni tempo.

Caterina Andò

Un grande Eros Pagni per “La scuola delle mogli” di Molière

Il Teatro Stabile di Catania ospita lo spettacolo alla sala Verga dal 5 al 17 marzo

 

teatro.jpg

 

CATANIA – Cresce l’attesa per il ritorno sulla scena etnea del grande Eros Pagni, ancora una volta ospite del Teatro Stabile di Catania. Diretto magistralmente dal regista Marco Sciaccaluga, l’attore ligure è protagonista di un classico dalla trascinante vis comica come “La scuola della mogli”, in cui dà vita a uno straordinario Arnolfo, ruolo che Molière aveva scritto per sé. Il celeberrimo titolo, proposto nella versione italiana di Giovanni Raboni, arricchisce la stagione dello Stabile catanese, intitolata dal direttore Giuseppe Dipasquale alla proteiforme “Arte della commedia”. In tre mesi di tournée nazionale, la nuova produzione ha raccolto ottimi consensi, a conferma della qualità che contraddistingue gli allestimenti dello Stabile di Genova, di cui Sciaccaluga è condirettore: una lunga serie di successi, in gran parte firmati dallo stesso Sciaccaluga e affidati al versatile estro di Pagni, autentica colonna del prestigioso ente teatrale. Nel cast spiccano altresì Alice Arcuri (Agnese) insieme a Roberto Serpi (Orazio), Roberto Alinghieri (Alain), Mariangeles Torres (Giorgina), Federico Vanni (Crisaldo), Marco Avogadro (Enrico), Massimo Cagnina (Oronte) e Pier Luigi Pasino (un notaio). La scena è ideata da Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl (autrice anche dei costumi), musiche di Andrea Nicolini, luci di Sandro Sussi. La scuola delle mogli” è un capolavoro di analisi psicologica e comportamentale. È sì la storia dell’amore impossibile di un uomo anziano per una ragazza che ha educato con il progetto di farne la moglie ideale. Ma è anche un inno alla libertà individuale, che mal sopporta i vincoli imposti dall’autoritarismo ideologico: lo stesso di cui si alimentano i vaneggiamenti pedagogici e matrimoniali di Arnolfo, il quale – spinto da radicale sfiducia nelle donne – è convinto sia meglio una moglie poco attraente e sciocca piuttosto che bella e intelligente.

 

 Rappresentata per la prima volta nel 1662, “L’école des femmes” si rivelò subito di forte impatto. Tutta Parigi, con Luigi XIV e la famiglia reale in testa, accorse a vedere e applaudire uno spettacolo che, impostosi per la magistrale drammaturgia e l’incalzante comicità, suscitò  però scandalo e furiose polemiche. I bempensanti accusarono l’autore di essere volgare e immorale, specie con riferimento all’ambiguo dialogo tra Arnolfo e Agnese al second’atto, e ancor più per le “Massime del matrimonio”, assimilate a una presa in giro delle “prediche” o a parodia dei Comandamenti. La querelle, mitigata solo in parte dal favore del re, investì pesantemente anche la vita privata del commediografo, per i facili riferimenti al tormentato rapporto che lo legava alla giovane moglie Armande. «Certo” – sottolinea Sciaccaluga – “la commedia parla di corna e contrasto generazionale, e innumerevoli sono le occasioni per ridere, ma in Molière la risata è la chiave per scoprire tante verità. La trama può essere raccontata come il contrasto tra il sogno totalitario di Arnolfo e la libertà individuale che si concretizza, a loro insaputa, nell’amore che nasce “naturalmente” tra Agnese e Orazio». Sciaccaluga sposta l’ambientazione dal Seicento al primo Novecento. «Molière propone una piccola storia privata di provincia, attraverso la quale però sa far nascere l’immagine di un’umanità e di una società senza tempo, dove si alimenta l’illusione che catechismi, regolamenti, ideologie possano piegare la natura al loro programmatico volere. Ci è sembrato di leggere in ciò il rinvio a una realtà piccolo borghese. Con gli scenografi abbiamo fatto diversi tentativi, guardando agli ultimi due secoli prima di fissarci in quell’epoca specifica, non per precise ragioni critiche ma per una serie di suggestioni culturali, che in me hanno riguardato soprattutto certo cinema francese, in primo piano Chabrol, che forse meglio di ogni altro ha saputo dare spessore universale all’evocazione di un affresco provinciale». Una scelta che esalta la forza deflagrante del testo. «Ciò che veramente mi interessava “ conclude Sciaccaluga – “è raccontare quella storia che Molière confina in un microcosmo avendo però la capacità di farlo esplodere, in modo da investire la realtà contemporanea, come spero possa accadere alla nostra scatola scenica, che rinvia a un universo in cui si sente il profumo di baguette e il suono della fisarmonica, ma anche a piccole cose di cattivo gusto, a segreti nascosti, a orchi in agguato, che cercano invano di condizionare lo sbocciare della natura».

 

Caterina Rita Andò

 

 

 

Prosegue il ciclo promosso dal Teatro Stabile di Catania e dal Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università

Enrico IV e la follia secondo Pirandello: appuntamento con Vincenzo Pirrotta e i “Dialoghi con il personaggio”

teatro_Stabile_Catania.jpgCATANIA – Come accade alla maggior parte degli antieroi pirandelliani, il protagonista di Enrico IV accetta – o meglio sceglie – di indossare una maschera. In questo caso la maschera della follia: soluzione meditata dopo aver conosciuto un mondo cinico e meschino, che lo ha psicologicamente scisso e disorientato. Al ruolo del titolo è dedicato il sesto appuntamento con Vincenzo Pirrotta e il ciclo Dialoghi con il personaggio, promosso dal Teatro Stabile di Catania e dal Dipartimento di Scienze umanistiche dell’’Università. L’incontro si svolgerà lunedì 4 marzo alle ore 21 (l’’ingresso è libero) al Teatro Musco, che torna a ospitare i “Dialoghi” ideati da Giuseppe Dipasquale, direttore dello Stabile, e dallo storico Enrico Iachello, docente nel Dipartimento.  Il progetto – che prevede la partecipazione degli allievi della Scuola d’arte drammatica dello Stabile – punta sulla matura riflessione di Pirrotta, sul suo magistero artistico di interprete-regista-drammaturgo, sulla potenza espressiva che innerva queste sue colluttazioni”con ruoli che da sempre l’artista desidera portare in scena e ancora in embrione dentro di lui. Tra questi non poteva mancare il pirandelliano Enrico IV, scritto dall’’autore nel 1921 per Ruggero Ruggeri. L’’azione si svolge vent’’anni dopo la tragica cavalcata in costume e il trauma in seguito al quale il protagonista – che Pirandello lascia senza nome – si è“fissato” nel personaggio dell’’imperatore di Sassonia, da lui scelto per potersi inginocchiare davanti alla donna amata, che si chiama Matilde, come la gran contessa di Canossa. La vecchia fiamma viene ora a visitarlo insieme a Belcredi, il rivale in amore che l’ha sposata, e alla loro figlia, fidanzata con il nipote dello stesso Enrico. Non sanno che l’’uomo, per lungo tempo realmente pazzo, da otto anni è guarito e continua a fingersi folle per dolorosa necessità. I venti anni perduti gli sembrano azzerarsi d’’un colpo quando sta per abbracciare la figlia di Matilde, così simile a lei da giovane, ma è un’illusione crudele: dopo aver ucciso Belcredi, a Enrico non resta che arroccarsi di nuovo nella pazzia, acuendo e reprimendo il rimpianto per una vita non vissuta. In ciò Enrico IV è metafora dell’uomo novecentesco – alienato, emarginato, contraddittorio e della nevrosi decadente. Rientra così nel catalogo dei personaggi che si ritirano e rifugiano in dimensioni altre rispetto alla realtà sensibile, eppure coscienti della loro condizione, come il Des Esseintes di Huysmans. Antieroi che demoliscono ipocrisie e verità fittizie, ma al contempo simboli di repressione volontaria, senso della rinuncia.

 

TORNA “IL PARANINFO” DI CAPUANA, GRANDE CLASSICO DEL TEATRO COMICO SICILIANO

paraninfo.jpg

CATANIA Nel nuovo cartellone dello Stabile etneo – intitolato dal direttore Giuseppe Dipasquale “L’arte della commedia” in dialettica correlazione al tempo della crisi – non poteva mancare un classico del teatro comico siciliano. La scelta è caduta su un testo di culto: “Il paraninfo” di Luigi Capuana, pietra miliare della drammaturgia in vernacolo. L’appuntamento è al teatro Musco dall’11 gennaio al 10 febbraio. La produzione dello Stabile riprende e rinnova quella realizzata nel febbraio 2003 puntando sulla qualità di allestitori e interpreti. Regia e adattamento sono di Francesco Randazzo, che posticipa l’azione dalla Sicilia postunitaria a quella dell’ultimo dopoguerra. Dora Argento firma scenee costumi, Silvana Lo Giudice i movimenti coreografici, Nino Lombardo le musiche, Franco Buzzanca le luci.Nel ruolo del titolo un beniamino del pubblico come Angelo Tosto, qui affiancato da un folto cast che annovera Vitalba Andrea, Alessandra Barbagallo, Filippo Brazzaventre, Cosimo Coltraro, Egle Doria, Camillo Mascolino, Margherita Mignemi, Rosario Minardi, Sergio Seminara, Olivia Spigarelli, Riccardo Maria Tarci, Aldo Toscano, Luana Toscano. Al pianoforte lo stesso Nino Lombardo.  Situazioni esilaranti innervano un capolavoro ricco di risvolti umani e sociali, com’era nelle corde del grande scrittore verista, nativo di Mineo. In un’epoca in cui il matrimonio combinato era assai diffuso, l’autore rivendica la priorità del sentimento. Convinto altresì dell’importanza del teatro dialettale, redige il copione in siciliano ricavandolo da una sua novella in lingua. Non a caso la pièce si colloca agli albori di quel “secolo breve” che tanto fecondo si sarebbe rivelato per la narrativa e la drammaturgia isolane. “Dodici aprile 1915. Questa data non si cancellerà mai dalla mia mente, dovessi campare mille anni!”.

Angelo Musco ricorda così nell’autobiografia la prima rappresentazione milanese, che lo avrebbe consacrato come il più grande comico dei suoi giorni.Capuana tratteggia da par suo uno spaccato di fine ‘800, per raccontare la vicenda di un ex maresciallo della Guardia di Finanza, il cui scopo nella vita è portare al fidanzamento giovani e meno giovani, borghesi e campagnole di buona famiglia. Per Don Pasquale Minnedda fare sposare il prossimo è una “missione”, ma gli procura più guai che gratitudine, visto che le sue coppie improbabili si sciolgono in men che non si dica. Parlantina da avvocato mancato, Pasquale è appunto un paraninfo, ovvero un combinatore di matrimoni per professione, quale ormai non si trova più neppure nei piccoli paesi della provincia. Ma il fascino del testo resta inalterato. Osserva il regista Francesco Randazzo: “Questa mia versione scenica ritorna al Teatro Musco, in tempi di crisi, quale piccolo antidoto che, attraverso la comicità, auspica quel senso di positivo umore collettivo che lo spettacolo suggerisce. In un contesto di libertà creativa, anarchica e popolare, come i teatranti che mi hanno preceduto, ho esaltato il guizzo e lo spirito frizzante, in modo fruibile e divertente per il pubblico attuale, composto da generazioni differenti: le più vecchie amano riconoscersi in ciò che vedono, le più giovani sorprendersi e scoprire ciò che sta prima di loro, con ritmi e codici propri. Quindi modernizzare, rivitalizzare, rendere riconoscibile un genere ed allo stesso tempo dargli un respiro più vicino a noi. Da qui lo spostamento temporale dell’azione, che ho collocato in un immaginifico secondo dopoguerra, momento di rinascita, apertura ad influssi culturali ed artistici, entusiasmi e novità”. La scommessa è fare convivere tradizione e innovazione. “Partendo dal copione originario – prosegue Randazzo – ho ripreso alcuni giochi attoriali ancora vivi, scartandone molti. Ed ho chiesto agli attori di reinventarli insieme, tradurre con codici e ritmi diversi le ricchezze della tradizione. Un passaggio verso il genere di commedia in senso più largo, nutrita di commedia dell’arte ma anche di cinema muto, commedia e comicità surreale d’oltreoceano e nostrane; ma soprattutto di musica e di canzoni, genere che quell’epoca rinnovava attraverso guizzi musicali, dal jazz alle frizzanti canzonette della radio e della rivista. Ne risulta una comicità di situazioni più leggera, ironica fino al surreale, in cui Don Pasquale è il sognante animatore, ostinato e ingenuo, di un villaggio popolato di gente allegra e scombinata. Perché ciò che conta, il motore della pur esile vicenda, è l’ottimismo, la volontà di affrontare il mondo e le sue difficoltà, reali o inventate. Così tutti, teatranti e pubblico, abbiamo la fugace possibilità di seppellire la tristezza con una risata. Che non risolve, ma ricarica i nostri spiriti stanchi in questi tempi duri”.

    Caterina Rita Andò

Al teatro stabile di Catania

stabile.jpg

 

“Cenerentolaut” e l’emergenza autismo: una fiaba per grandi accompagnati da piccoli

CATANIA –Il Teatro Stabile di Catania ospita lo spettacolo “Cenerentolaut”, fiaba scenica scritta per sensibilizzare la società civile sull’emergenza autismo, sempre più acuta nel mondo occidentale. Ma l’autrice e regista Olivia Spigarelli preferisce definire la sua creazione una“fiaba per grandi accompagnati da piccoli”. Il testo tratta – con toni leggeri ma profonda umanità – una problematica che lo Stabile etneo ha già affrontato il 3 dicembre con la testimonianza e il fattivo esempio di Franco Antonello, fondatore dell’associazione “I bambini delle fate”. L’impegno del teatro catanese continua con la programmazione di questa pièce, già premiata da grande successo di pubblico e critica, che approderà al Teatro Musco il 23 dicembre, alle ore 17,30, a condizioni particolarmente vantaggiose (costo biglietto € 5 per i bambini, € 8 per gli adulti).

L’allestimento è una produzione Associazione Città Teatro, che si avvale e dei costumi di Franca Anzalone. La scenografia è stata fornita dal Teatro Brancati, mentre le coreografie sono state curate dalla stessa Compagnia. “Cenerentolaut” presenta, come vedremo, strategiche varianti nella struttura narrativa e nella distribuzioni dei personaggi. Nel ruolo del Re c’è Salvo Disca, in quello della Regina Carmela Silvia Sanfilippo. Le principesse Vladimira, Costanza e Ginevra hanno i volti rispettivamente di Ester Anzalone, Giorgia Boscarino e Alessandra Barbagallo. I principi Nasone, Gorgonzola e Trombetta, al pari del principe di Parkinson, sono affidati tutti e quattro a Plinio Milazzo, che vedremo anche nei travesti nelle sembianze della Fata Smemoranda, mentre il ruolo dell’araldo Aldo toccherà ad Amalia Contarini. Direttore di scena e fonico è Roberta Mazzaglia, la voce registrata è di Enzo Di Stefano e i disegni sono di Giordana Ferro. Necessaria premessa è che questo progetto nasce dal desiderio di porre l’attenzione, in maniera semplice e ironica, su un tema come la diversità e l’autismo in particolare. Che cos’è l’autismo? Perché lui è così diverso? Perché fa così? Come possiamo giocare e rapportarci con lui? Quali difficoltà hanno i bambini, gli adolescenti, con autismo?. Lo spettacolo offre delle risposte semplici a domande difficili, sia ai bambini che lo chiedono, sia agli adulti, che se lo chiedono, ma non lo dicono. «Il teatro – evidenzia Olivia Spigarelli – aiuterà a capire meglio i soggetti autistici, ad approcciarsi a loro in maniera semplice e giocosa. Le diversità che porteremo in scena sono numerose e svariate. Si porrà l’attenzione sul concetto che in fondo tutti siamo diversi ed è proprio questo che ci rende unici e speciali. La difficoltà di esprimersi e di comunicare per gli autistici, è una costante della vita, questo è un progetto che ha proprio come obiettivo la consapevolezza delle difficoltà reali che esistono tra un soggetto autistico e i suoi coetanei e il modo per potersi sentire più vicini a lui».“Cenerentolaut”narra di una semplice famiglia. Ma visto che si è scelta la fiaba come espressione teatrale, la famiglia in questione è composta da un vecchio re, una dolce regina e tre figlie, Vladimira, Costanza e Ginevra, principesse un po’cattivelle e monelline, le quali non riescono ad accettare la sorella Cenerentola, che tutti chiamano “Cene”, trovata casualmente dentro una cesta sulle sponde del lago che costeggia l’isola di Arrabal. Cene è definita “aut”dalle sorelle, per via dei suoi comportamenti “strani “ e bizzarri: muove le mani, urla, ride senza motivo e così via. Il re, ormai troppo anziano per continuare a regnare, decide di abdicare a favore delle sue tre, anzi quattro figlie. Aiutato dall’Araldo Aldo, organizza quindi un ballo reale allo scopo di trovare un marito per le principessine. In caso contrario lascerà tutte le sue terre e i suoi averi al figlio del re di Parkinson, suo amico da sempre e vicino di regno.Al ballo si presenteranno gli attesi pretendenti, tutti principi con delle caratteristiche particolari. Si avvicenderanno in scena il Principe Nasone, Il Principe Gorgonzola, il principe Trombetta e infine il principe di Parkinson. All’inizio il ballo sarà un fiasco, ma tutte e quattro le principessine, compresa Cene, troveranno un principe degno di loro. Sarà proprio la fatina Smemoranda che rivelerà che anche Cene ha scelto il suo principe azzurro. «La fiaba – conclude l’autrice e regista – finirà con un “… E vissero tutti felici e contenti”, mi auguro solo che la vita reale non si discosti poi tanto da quella fiabesca, ricordando, come mi piace sottolineare, che tutti siamo unici e speciali».

_________________________________

 

 

Giuseppe Dipasquale, direttore del Teatro Stabile di Catania, è il coordinatore  del Comitato di azione costituito da P.L.A.Tea, la fondazione che riunisce i Teatri Stabili

  Caterina Rita Andò