L’UGUAGLIANZA DEI CITTADINI NELLA COSTITUZIONE ITALIANA – di Cecilia Càsole

Celilia CàsoleLa Costituzione della Repubblica Italiana è stata emanata dall’ Assemblea Costituente il 22 dicembre del 1947 ed è entrata in vigore il 1°  gennaio del 1948. Per comprendere l’inserimento di un principio come quello delle pari opportunità all’interno del territorio nazionale non si può prescindere dalla considerazione dell’importanza in questo settore delle entità locali che compongono il nostro Paese. I padri  costituenti hanno ripartito la Repubblica in “ regioni, province e comuni” ( art.114  Cost.). Le regioni nell’art. 115 sono definite “ enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione”; l’articolo128 Cost. indica Province e Comuni  come “enti autonomi nell’ambito dei princìpi fissati da leggi generali della Repubblica”. In origine, caratteristica della competenza legislativa delle regioni ordinarie fu essere solo concorrente e limitata a un numero ridotto di materie elencate nell’articolo 117 Cost.  Cioè, in tutta una serie di materie le regioni avrebbero potuto legiferare  mantenendosi all’interno le leggi dello Stato , cui spettava il compito di stabilire i princìpi fondamentali della materia. Quanto a Comuni e Province, la Costituzione impose che fossero disciplinati non da leggi regionali ma come disposto dall’articolo 128 dall’ordinamento della Repubblica. Per conoscere l’ordinamento regionale è necessario consultare il testo del titolo V Cost. riformato prima dalla l. Cost. 1/1999 e poi dalla l. Cost. 3/2001. Al dì là della ripartizione di materie di materie tra Stato e Regioni, stabilita dall’art. 117 della Costituzione, ci sono materie di competenza concorrente, e sono quelle nelle quali la potestà legislativa regionale deve esercitarsi all’interno delle c.d. leggi cornice o desunte dall’ordinamento vigente. Il comma 4 dell’art. 117 Cost. attribuisce la potestà legislativa alle regioni “ in riferimento a ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”, quindi vi è una competenza residuale delle regioni.

Tuttavia, la prassi giurisprudenziale ha dimostrato che la clausola della residualità non trova diretta applicazione. La sentenza 370 del 2003 ha confermato “ l’impossibilità di ricondurre un  determinato oggetto di disciplina normativa all’ambito di applicazione affidato alla legislazione residuale delle regioni … per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell’articolo 117”. In tali casi, ancora prima del criterio della residualità per l’attribuzione alla competenza regionale, si dovrà preferire il criterio della prevalenza secondo il quale le materie espressamente nominate prima di essere riconosciute alle regioni devono superare una verifica diretta ad accertare se esse non possano essere comunque ricondotte nell’ambito delle materie espressamente previste. La riforma del 2001 ha inoltre specificato le funzioni spettanti agli enti locali. L’art. 118 comma 2 prevede che “ i comuni, le province e le città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. Il medesimo articolo disciplina le funzioni amministrative di comuni, province, regioni e Stato. Trattare anticipatamente la disciplina delle regioni e degli enti locali ci permette di comprendere a livello normativo come sono distribuiti i loro poteri regolamentari e gli spazi di autonomia in diverse materie. La materia che a noi interessa collegare nella potestà regolamentare dello Stato, delle regioni e degli enti locali è inerente al principio delle pari opportunità di genere, partendo prima dall’individuazione di princìpi fondamentali e generali contenuti nella prima parte della Carta costituzionale, per poi passare a un livello  più ristretto e specifico. Il terzo articolo della Costituzione, enuncia un criterio di “pari dignità sociale” e “ eguaglianza dinnanzi alla legge”  di tutti i cittadini  “  senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali ”.  Il secondo comma dell’art. 3  Cost. segna il passaggio da uno  Stato di diritto a uno  Stato sociale,   prescrivendo la rimozione da parte della Repubblica degli ostacoli di “ ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini ,impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. L’art. 3 può essere definito il cuore della nostra Costituzione, perché esprime un principio che influenza l’intero ordinamento giuridico. Soffermarci su questa norma è essenziale per comprendere il significato di “pari dignità sociale” che lo Stato deve garantire a tutti i cittadini. Innanzitutto, con questa espressione, si è inteso porre l’accento sul fatto che non esistono più distinzioni in base allo status sociale, al titolo nobiliare, alla razza, al sesso, alla religione e così via. Tutti gli individui devono essere messi in condizione di parità cosicché l’unico metro di giudizio sia rinvenibile nello svolgimento di un’attività o di una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Affermare che tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge significa anche che sono tali tutti i membri della collettività,  compresi coloro che creano le norme, anche i legislatori  devono rispettare la legge, devono fare un buon uso del loro potere legislativo.  All’interno di quest’articolo è possibile estrapolare un principio di uguaglianza formale, che garantisce pari dignità di tutti i cittadini di fronte alla legge, e un obbligo d’ intervento da parte dello Stato per  assicurare  le condizioni che consentano il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale.E’ opportuno ricordare che nel  titolo III della Costituzione,  relativo ai rapporti economici,   l’articolo37,  in maniera esplicita,  statuisce  i diritti della donna  all’accesso al lavoro e  alla retribuzione e  impone un obbligo di tutela nei confronti della donna che le consenta di  poter contemperare il diritto a un lavoro e il ruolo di mamma lavoratrice:  “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione spirituale della società. Affermare che tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge significa anche che sono tali tutti i membri della collettività,  compresi coloro che creano le norme, anche i legislatori  devono rispettare la legge, devono fare un buon uso del loro potere legislativo.  All’interno di quest’articolo è possibile estrapolare un principio di uguaglianza formale, che garantisce pari dignità di tutti i cittadini di fronte alla legge, e un obbligo d’ intervento da parte dello Stato per  assicurare  le condizioni che consentano il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale. E’ opportuno ricordare che nel  titolo III della Costituzione,  relativo ai rapporti economici, l’articolo37,  in maniera esplicita,  statuisce  i diritti della donna  all’accesso al lavoro e  alla retribuzione e  impone un obbligo di tutela nei confronti della donna che le consenta di  poter contemperare il diritto a un lavoro e il ruolo di mamma lavoratrice:  “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e , a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione.” Originariamente,  le condizioni di lavoro dei minori e delle donne – considerati “categorie deboli”- erano poste sullo stesso piano e avevano il medesimo trattamento. Dopo l’entrata in vigore della Costituzione e la conseguente legislazione sulla donna lavoratrice è stato smontato il modello basato sull’idea che esistessero categorie deboli e si affermato il diritto fondamentale della donna di ricevere un trattamento giuridico e retributivo pari a quello degli uomini. A questo scopo le leggi hanno sancito il divieto di licenziamento della donna a causa del matrimonio e durante il periodo di gravidanza e l’attribuzione di una serie di diritti come aspettativa, riposo, assenze retribuite. All’interno del titolo IV, sui rapporti politici, troviamo l’articolo 51 Cost. chela l. 30 del 2003 n . 1 ha riformato al c. 1  secondo cui “ tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini.”  L’articolo 51 garantisce, dunque, una competizione elettorale in condizione di uguaglianza tra i candidati e assicura l’autenticità del voto, sancisce il diritto alla parità d’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive tra gli uomini e le donne, in armonia con il principio di uguaglianza affermato nell’articolo 3, alle donne è assicurato il diritto non solo di rivestire gli stessi incarichi degli uomini e alle stesse condizioni, ma anche il diritto a svolgere eguali mansioni, con parità di retribuzione e di assistenza e previdenza. Per “uffici pubblici” si intende il complesso del personale, dei servizi e delle relative attrezzature di cui si avvalgano gli organi della pubblica amministrazione per espletare le loro attività e per realizzare concretamente i loro fini istituzionali, mentre le “cariche elettive” riguardano gli uffici ricoperti da soggetti eletti dai cittadini e, perciò,  definiti rappresentativi, cioè portatori delle necessità e dei bisogni degli elettori che li hanno votati. Con la legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001 è stata riesaminata la parte della Costituzione riguardante il sistema delle autonomie locali e del rapporti con lo Stato. Il nuovo articolo 117 al c. 7 dispone che “ Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra uomini  e donne nelle cariche elettive”. La riforma ha comportato, inoltre, la revisione di numerosi articoli (del titolo V relativo alle Regioni, Province e Comuni)  tra cui gli artt. 114, 116, 118,119, 120, 127e l’abrogazione di altri : 115, 124, 128, 128,130. Tutto ciò ha, in parte, modificato la struttura dell’ordinamento istituzionale della Repubblica: ripartizione della potestà legislativa e amministrativa, regole sul finanziamento e rapporti finanziari fra enti, abrogazione di controlli preventivi sugli atti delle regioni. Con la legge n. 3 del 2001, la legislazione costituzionale,  ha inteso realizzare un altro salto verso forme di decentramento amministrativo, sebbene già la riforma introdotta con la l. Cost. n. 1 del 1999 avesse dato avvio a un processo in senso autonomistico.  È proprio la rilevanza del contesto locale nel disegnare i termini in cui le donne rappresentano una risorsa per lo sviluppo a suggerire che la dimensione locale rappresenta il nucleo per le garanzie alle pari opportunità, laddove imprese, parti sociali, istituzioni locali, partiti rappresentano gli “attori rilevanti” all’interno del territorio, coloro che hanno il ruolo più incisivo per dare slancio alle politiche a favore delle donne.

Cecilia Càsole         

L’UGUAGLIANZA DEI CITTADINI NELLA COSTITUZIONE ITALIANA – di Cecilia Càsoleultima modifica: 2014-11-28T09:27:37+01:00da leodar1
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