Entri nel centro operativo di combattimento e ti trovi non in fortilizio presidiato da personale armato fino ai denti , ma in un’angusta sala climatizzata, dove vedi personale in tuta blu, con le cuffie all’orecchio, davanti a un computer con un duplice grande schermo. Sembra d’essere nel centro d’ascolto di qualche centrale telefonica. Gli addetti parlano sommessamente al microfono incorporato nella cuffia. Sono disinvolti, per nulla esitanti al nostro arrivo: continuano tranquillamente a parlare, a sprofondare piacevolmente nell’ampia poltrona girevole dal lungo schienale e a… masticare gomma. La mia attenzione è attratta da un addetto giovanissimo, dal viso quasi di monello , che mastica mentre gioca magari fare l’hacker, cioè il pirata informatico. A un tratto il “monello” si gira verso un suo collega e scorgo meglio le sue fattezze: è una donna, con i capelli a maschietto, che ricorda vagamente la scrittrice Susanna Tamaro, ma senza occhiali. E’ uno dei centotrè sottufficiali a bordo del nuovissimo cacciatorpediniere Andrea Doria, la modernissima nave ipertecnologica che la Marina Militare ha varato il 22 dicembre 2007 e che, per la prima volta, è stata ospite nella rada di Augusta, per una settimana, a partire da venerdì 16 gennaio. “Andrea Doria”? L’interrogativo può sorgere spontaneo in chi ha un minimo di memoria storica, militare e no. L’unità militare, che ha gettato l’ancora nei pressi del pontile NATO, è la quarta nave della nostra Marina Militare che porta il nome del famoso ammiraglio genovese: la prima fu una corazzata, in servizio dal 1885 al 1911, la seconda una nave da battaglia, in mare dal 1913 al 1937, la terza un incrociatore lanciamissili, con quasi trent’anni di vita(1963-1992) e ben 557 miglia di percorrenza. Al nobile ammiraglio fu intitolata anche uno splendido transatlantico della compagnia statale Italia, che faceva rotta Italia-Stati Uniti, negli anni Cinquanta del secolo scorso, all’epoca in cui era di là da venire il boom del voli transoceanici e delle navi da crociera. L’”Andrea Doria” era considerato il piroscafo più lussuoso del tempo, autentico gioiello della flotta del Gruppo Finmare e conobbe un miserevole epilogo, meno tragico di quello del Titanic, che colò a picco nel 1912, trascinando nel fondo egli abissi circa 1500 persone. Anche l’”Andrea Doria” affondò mentre era diretta a New York, nei pressi della costa di Nantucket, speronata dalla nave rompighiaccio Stockolm. Era il 26 luglio del 1956. Non esiste certezza assoluta sul numero dei morti.: 46 o 55, tra quanti in quel momento si trovavano nelle cabine squarciate in sèguito allo speronamento. Anche l’attuale unità militare, che perpetua il nome del navigatore e condottiero , è considerata un gioiello dalla M.M., tanto che il comandante di Marisicilia, l’ammiraglio Andrea Toscano, ha colto l’occasione al volo presentata dalla presenza della nave nel porto di Augusta per farla visitare da giornalisti e da rappresentanti delle istituzioni. Gli onori di casa sono stati fatti, ovviamente, dal comandante della nave, il vigoroso quarantaseienne capitano di vascello Giuseppe Berutti Bergotto, che ha risposto di buon grado alle domande che gli abbiamo posto dopo la presentazione ufficiale e durante la visita dell’unità , che si è conclusa con un pranzo offerto nel quadrato ufficiali. Il comandante Berutti Bergotto ha vantato le qualità della nave che viene definita multiruolo, giacché può far fronte a pericoli provenienti dal cielo, dalla superficie e dagli abissi. E’ una nave che può addirittura risultare invisibile ai radar e che dispone di un equipaggio ridoto quasi della metà rispetto a quello che era necessario anni fa in unità simili e questo grazie alle sofisticate apparecchiature di cui la nave dispone; 24 sono gli ufficiali, 103 i sottufficiali, 62 i marinai e fra tutti non poche donne che fanno vita comune con gli altri e come gli altri, ma hanno una zona loro riservata. Tutti alloggiano in cabine, vere e proprie cabine come quelle delle navi da crociera, dotate di ogni conforto, compresa la doccia, l’acqua calda e l’asciugacapelli. Quasi una pacchia, insomma, se non fosse una nave da guerra.
Giorgio Càsole