Teatro in carcere / Tra i primi il penitenziario di Augusta, con uno spettacolo diretto da Giorgio Càsole

Sul tema del carcere a palazzo Vermexio convegno mercoledì 3 ottobre dalle 8,30alle 13,30, organizzato dal DIARIO

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AUGUSTA. Il carcere è il luogo della separazione e della segregazione, il luogo della perdita del senso dell’io, dell’annullamento della volontà. Il teatro è il luogo dell’incontro e della partecipazione, della libera estrinsecazione dell’io, il luogo dove la volontà è sempre presente a sé stessa. Appaiono due mondi sideralmente distanti fra loro, del tutto inconciliabili. Nell’uno si va per espiare una pena, nell’altro per provare un’emozione e per trasmetterla se si è sul palco, per riceverla se si è in platea. Nel teatro si guarda una rappresentazione di realtà o la si recita, con maggiore o minore adesione, nel carcere si vive una realtà, cui il recluso aderisce completamente, fatta di costrizioni e  di privazione della libertà, il bene primario e fondamentale per l’essere umano. Che cosa fa un animale privato del suo habitat, costretto a vivere in gabbia?  Soffre. L’uomo di più. Eppure il carcere diventa un male necessario. Un male necessario per impedire a taluni esseri umani d’essere o continuare a essere homo homini lupus. Il carcere, tuttavia, non è soltanto e non dev’essere  e non può essere soltanto  un luogo di detenzione e pena,  ma, per dettato costituzionale, un luogo di redenzione e di rieducazione.

carcere.jpgAnche da un punto di vista utilitaristico, la società non può spendere energie e denari per tenere un essere umano in catene senza consentire, almeno in linea teorica, che costui possa, debba, essere reinserito nel consorzio umano. Il teatro può svolgere questa funzione. Il teatro consente la strutturazione o la destrutturazione della personalità, attraverso un’attività poietica, cioè del fare, che si misura in un rapporto empatico e diretto con l’altro. Il teatro   mette in atto una funzione maieutica e acquista un valore sicuramente catartico,  qualità queste che sono di grande aiuto in chi è recluso, in chi si sente un numero più che una persona  e che ha necessità di riflettere sul passato per metabolizzarlo e liberarsene, per trasformarsi in uomo nuovo. Oggi può sembrare scontato parlare di teatro in carcere visto che in Italia sono state contate oltre sessanta compagnie di teatro in carcere, compagnie costituite, soprattutto, da attori amatoriali che interagiscono con i detenuti e che addirittura rappresentano testi propri o altrui fuori dalle anguste mura del penitenziario. Non era scontato più di vent’anni fa quando chi scrive  ebbe un abboccamento con l’allora giovane direttore del reclusorio di Augusta, Antonio Gelardi, per tentare un esperimento di teatro in carcere. Una rivoluzione? No. Certamente una forte innovazione. Qualche timido precedente s’era avuto in Italia nel 1982 a Rebibbia e uno più significativo nel 1988 a Volterra. Nel 1990 il direttore Gelardi approvò l’esperimento e nel 1991, nella grande sala del penitenziario mettemmo in scena un testo classico e canonico del teatro siciliano, I civitoti in pretura di Nino Martoglio, con comprensibile emozione e con grande successo, cui Il Diario diede ampia risonanza. Da allora non ho più rimesso piede nel carcere di massima sicurezza, che svela la sua imponenza, ma nasconde la sua complessità sulla provinciale per Brucoli. Quell’esperimento non è rimasto isolato. Altri hanno raccolto il testimone e, annualmente, in quella grande sala, dove si arriva dopo aver superato sbarramenti e lunghi corridoi,  i detenuti si trasformano in attori e, talvolta, mettono in scena le loro rappresentazioni all’esterno, con soddisfazione propria e del pubblico.

Sul tema del carcere a palazzo Vermezio convegno mercoledì 3 ottobre dalle 8,30 alle 13,30

 Giorgio Càsole