L’argomento è greve, molto greve. Si può sintetizzare in una sola battuta: bisogna dare il c. e non in senso figurato. Attenzione! Non si tratta d’una scena registrata in una casa d’appuntamento per omosex o per amanti dei trans (visto il can can mediatico di questi giorni in séguito alla scoperta del giovane presidente della Regione Lazio, Marrazzo, già noto conduttore televisivo di RAI TRE, nella casa di un trans). No. La battuta sintetizza il leit-motiv della commedia boccaccesca Margarita e il gallo del 55enne Edoardo Erba, nato a Pavia, formatosi al Piccolo Teatro di Milano diretto da Giorgio Strehler,ma residente a Roma. Andata in scena per la prima volta nel 2006, con riscontri positivi da parte di pubblico e di critica, la commedia è stata messa in scena, per la prima volta in Sicilia, grazie alla “Compagnia delle Isole”, al teatro Brancati di Catania, mercoledì 2 dicembre, per la regìa di Angelo Tosto, che ha curato anche la scenografia.
Una commedia del genere, che affonda le radici negli antichi spettacoli dell’Atellana e dei Fescennini per risalire, attraverso Plauto fino a Machiavelli della Mandragola , non poteva che essere rappresentata a Catania in un teatro intitolato a quel Vitaliano Brancati autore di un romanzo sul gallismo, con latente omosessualità, qual è il Bell’Antonio, ambientato proprio nella città etnea. Il “Brancati” è un piccolo teatro, sorretto esclusivamente da finanziatori privati. ll suo direttore artistico è Tuccio Musumeci, popolarissimo (almeno nella Sicilia orientale) attore comico catanese, con una pluridecennale esperienza lavorativa allo Stabile di Catania, a fianco di Turi Ferro e di Pippo Pattavina, entrambi attori di grande appeal comico. Il motto programmatico di questo teatro dev’essere lo stesso di quello di Plauto: risum movère. Soprattutto in tempi di crisi, come quelli che stiamo attraversando, il pubblico va a teatro per ridere, come ai tempi plautini. E quando la comicità sgorga dalle situazioni di sesso, le risate sono più grasse. Il “Brancati” è alla seconda stagione teatrale. Ha bisogno di farsi conoscere come macchina da sicuro spettacolo comico. Gli spettatori saranno richiamati, si abboneranno e saranno fidelizzati dalla presenza fissa dei loro beniamini, come lo stesso Musumeci, Marcello Perracchio, Agostino Zumbo, Filippo Brazzaventre, Debora Bernardi.
Bernardi e Brazzaventre sono i protagonisti della pièce di Erba, ambientata in una favolistica Firenze del Cinquecento, al’interno di una magione signorile, su cui, però, incombe lo spettro della miseria. Il padrone di casa, Annibale, è uno stampatore che sta per essere travolto dai debiti. L’unica sua possibilità di risalire dalla china è quella di ricevere un lucroso incarico a corte. Per la bisogna, allora, si rivolge a un certo visconte Morello (attenzione al cognome: così viene chiamato il nobile cavallo dal bel mantello nero). Il visconte lo aiuterà, ma a una condizione: vuole” ingroppare” la moglie di Annibale, naturalmente dal…didietro. Non voglio continuare nell’esposizione. Posso dirvi soltanto che, alla fine, ci sarà un totale capovolgimento di ruoli, il colpo di scena finale, un matrimonio di redenzione, un outing di pulsioni inconfessate e un consequenziale compromesso per godere dell’amato bene. Le risate sono assicurate, anche quelle fragorosamente sonore, come quelle che, la sera della prima, salivano dalla platea, al cui centro, al posto d’onore, sedeva un compassato Pippo Pattavina. Grottesca l’interpretazione di Brazzaventre, che non sembrava Brazzaventre talmente deformato in viso, per il fine del risum movère, nella parte dell’indebitato Annibale, splendida la prova attorale di Debora Bernardi in quella di Margarita. Alessandra Cacialli, madre di Debora nella vita reale, è stata una dolce e nobile moglie di Annibale, Lino De Motta, un simpatico seppur ributtante frate “machiavellico”, pronto a far peccare una donna per soddisfare la propria vanità, Vittorio Bonaccorso, un gagliardo e bel Morello, che scopre il valore del sentimento dopo aver appagato il senso della lussuria. Si replica fino al 20 dicembre.
Giorgio Càsole