L’analisi dell’augustano Fabrizio Vaccaro, ex studente del liceo “Mègara”
La ragione, infatti, ci dice almeno tre elementi:I n Iraq, in Siria e in Libia è stato proprio l’intervento armato occidentale a far precipitare la situazione in peggio. In Iraq perché all’impiccagione di Saddam Hussein è seguito un governo, a orientamento sciita, che ha ghettizzato la metà sunnita un tempo legata al rais. Interi ranghi dell’esercito del dittatore emarginati e vessati, che oggi costituiscono l’ossatura dello burocrazia di Mosul, la capitale irachena dello Stato Islamico. In Siria, assetati di disfarci di un attore scomodo, Bashar al-Assad, si è fatto di tutto per sostenere i cosiddetti “ribelli”, di cui una parte si batteva sicuramente per la libertà e la democrazia ma, un’abbondante altra parte, lottava per imporre la shari’a. E il discorso è analogo per la Libia. E’ presumibile che realtà politiche fondamentaliste abbiano soffiato sul fuoco delle primavere arabe. In Libia, ucciso il dittatore Mu’ammar Gheddafi sotto i bombardamenti occidentali, il quadro emerso è forse il più inquietante con, al momento, il paese scisso in almeno tre porzioni: quella dell’ISIS, quella del governo di Tobruk, quella del governo di Tripoli. E ognuna con il proprio esercito! L’intervento armato richiede una strategia precisa ed efficace. Una strategia ponderata e magari migliore di quelle che hanno ispirato le precedenti azioni militari. Ma c’è anche un altro punto che induce a cautela. Ed è quello della credibilità– Lo Stato Islamico è una minaccia globale. E questo nonostante il tentativo, da parte dello stesso Daesh, di limitare la questione a uno scontro di civiltà tra Islam e Occidente crociato. Se truppe occidentali posassero piede da sole in Medio Oriente, un’altra volta e senza il sostegno degli altri Paesi arabi, il rischio di prestare il fianco al topos dello scontro di civiltà sarebbe enorme. Per questo le diplomazie occidentali sono al lavoro. Non tanto per trovare accordi e intese con lo Stato Islamico, la qualcosa sembra peraltro impossibile, ma per trovare un’alleanza sicura, scevra da ambiguità ed univoca con gli altri Paesi arabi della regione, sotto l’egida delle Nazioni Unite-L’ltalia, per motivi storici e geografici, è toccata molto da vicino dalla questione libica. Sarebbe infatti il primo Paese occidentale a rischio per contiguità territoriale. Anche qui le diplomazie sono al lavoro, per cercare una sintesi tra i governi di Tripoli e Tobruk, in funzione anti-ISIS. Ma per il momento i fondamentalisti islamici hanno, dalla loro, alcune armi che possono infondere preoccupazione tra le autorità italiane. Una in particolare: i migranti. Masse di disperati che arrivano dall’Africa sub-sahariana, dall’Egitto, dalla Siria o dal corno d’Africa che potrebbero essere usati come effetto massa, moltiplicando gli sbarchi per destabilizzare i nostri sistemi di accoglienza, o come copertura di militanti infiltrati, pronti a creare cellule terroristiche sul nostro territorio. Questa seconda ipotesi sembrerebbe però, dai lavori del convegno, la meno attuabile e la più difficile da realizzare. Più pericolosa, probabilmente, la presenza entro i nostri confini di fasce di popolazione emarginate, magari di origini arabe o africane. Tra queste vittime dell’ingiustizia sociale una riscossa nel nome dell’Islam, per punire l’Occidente infedele, potrebbe avere un fascino maggiore. E la cosa è stata dimostrata a Parigi, come anche a Copenaghen, dove gli attentatori erano cittadini europei .La situazione, insomma, è alquanto complessa. La minaccia solo potenziale, e non ancora effettiva, dello Stato Islamico nei territori occidentali consente di ponderare bene i rischi e i benefici di un’eventuale azione militare, e di cercare con impegno un’alleanza forte con gli Stati arabi estranei all’ISIS, prima di intervenire vigorosamente. Certo è che lo status quo non può rimanere ad libitum. E il peso delle popolazioni governate oggi dall’ISIS e dai suoi fanatici, dalle loro leggi, pene, proibizioni ed esecuzioni continue è altissimo, non solo per i cristiani. Una risposta internazionale unita è auspicabile e, presto o tardi, probabilmente necessaria. Il tutto, però, evitando l’insano errore che i guerriglieri ISIS vorrebbero che commettessimo: ridurre la questione ISIS a uno scontro di civiltà, la musulmana contro la cristiana. Se così fosse, un terzo conflitto mondiale sarebbe un concreto rischio, non più una temuta possibilità.