Lello Arena evidenzia la “necessaria” funzione civile: «Raccontare a tutti come l’arte sia elemento indispensabile per aiutarci a recuperare quell’energia vitale, quell’unicità preziosa del nostro passaggio nel mondo, è missione imprescindibile nell’attuale momento. Capitan Fracassa ben sa quanto sia necessario, se non obbligatorio, rinunciare alla tentazione di tirare i remi in barca, di anestetizzarsi ad ogni sentimento ed emozione, seppellirsi da vivo, rendersi indisponibile per l’amore e la passione, che sono addirittura origine prima della propria stessa nascita». Le prime trenta pagine del libro di Gautier, non poche, rapiscono il gusto descrittivo dell’autore, “costringendolo” a soffermarsi con tratto scrupoloso sulla solitudine che immiserisce l’umore del barone di Sigognac. Ma ecco che un’opportunità salvifica si annuncia con tre colpi violenti battuti alle porte del suo castello e, dietro i colpi, il volto burlesco di un commediante di provincia; a seguirlo, altri attori di strada in cerca di una dimora momentanea. Il teatro si propone, provvidenziale e casuale, a Sigognac per riconvertire il suo silenzio indolente in azione e gli sottopone una grammatica di segni comici che ne risvegliano gli umori “insani”, riconcedendogli una vita, riassegnandogli un’identità: Capitan Fracassa. Si innesta qui con coerenza la peculiare lettura che Di Palma ha costruito su Arena. Al nostro Fracassa, ormai maturo, il teatro si presenta con la forza seduttiva di un’adolescente inconsciamente adescatrice, che lo porta a vivere con pienezza un’epopea vitalissima e smodata da “Illusion comique”. E per la chiusura del sipario, per il ritiro dalle scene cosa scegliere? Il finale favolistico, edulcorato e pacificante suggerito/imposto a Gautier da familiari ed editore, oppure seguire la prima intuizione dello scrittore che riduceva Sigognac “seduto sull’orlo di un sepolcro ad attendere che la morte venisse col suo dito ossuto a spingerlo nella buia cavità”? La seconda ipotesi – oltre ad evidenziare la naturale destinazione al silenzio cui il teatro induce al momento della fine – suggerisce con forza un rimando suggestivo alla modalità con la quale Sigognac aveva scelto di seguire gli attori: spinto, quasi inerme, dalla passione (morte) nella nuda scatola teatrale (buia cavità). Quello della “pietra verdastra e sgretolata della tomba”, dunque, sembrerebbe lo sfondo ideale dello scenario conclusivo, ma … finirà proprio così?
Caterina Rita Andò