Per la Stagione del Teatro Stabile di Catania, dal 10 al 14 aprile va in scena alla sala Ambasciatori “Servo di scena” di Ronald Harwood, traduzione Masolino D’Amico, regia Franco Branciaroli; scene e costumi Margherita Palli, luci Gigi Saccomandi; con Franco Branciaroli, Tommaso Cardarelli e Lisa Galantini, Melania Giglio, Valentina Violo, Daniele Griggio, Giorgio Lanza; una produzione Teatro Stabile di Brescia, Teatro de Gli Incamminati
Giocato infinitamente sul discorso metateatrale, “Servo di scena” è ritagliato ad hoc sulla figura di un attore di carisma, com’è il multiforme Branciaroli,che impersona l’istrionico capocomico Sir. La commedia, però, non è costruita per una voce solista. In coppia c’è il bravissimo Cardarelli, il dresser Norman, infinita risorsa di pazienza e humour. Il termine inglese equivarrebbe più precisamente al nostro “vestiarista”, ma l’autore della traduzione, Masolino D’Amico, ha giustamente optato per un vocabolo meno esatto ma più suggestivo. Entrambi mattatori efficacissimi, dunque, su sponde opposte, nel loro essere diversamente protagonisti: Branciaroli, giunto ad una straordinaria maturità espressiva, anche nei suoi silenzi, e Cardarelli che interpreta tutto sul filo di una sotterranea, angosciante isteria. Londra è in guerra, ma continua imperterrita a vivere, nonostante tutto: i teatri sono pieni e Shakespeare viene rappresentato incessantemente, come modello di un popolo che non perde la sua dignità. Ad incarnare lo spirito scespiriano è il nostro vecchio primo attore, un indeterminato Sir, impresario di se stesso e della compagnia che guida tra mille difficoltà. Stasera tocca a Re Lear, ma il mattatore è fuori fase: sbaglia perfino costume e si trucca da Otello, non ricorda le battutte. Ha addirittura un collasso e lo spettacolo verrebbe sospeso se non fosse per le infinite cure del suo fedele “servo di scena”. Norman lo rincuora, gli ridà la sicurezza perduta, oltre ad aiutarlo, come di consueto, a truccarsi e vestirsi. Ed è dunque per merito di Norman che la tragedia vain scena per la 227esima volta e che Sir vi ottiene, recitando in modo più toccante del solito, un particolare successo. Ma, quando il sipario si chiude, non ci saranno, per il “servo di scena”, né riconoscimenti né gratitudine. Sir e Norman sono, dunque, animali da palcoscenico, che solo sul palcoscenico vivono, al punto di faticare a distinguere tra recita e vita quotidiana, ma della scena conoscono tutte le leggi e meccanismi. Si scambiano incessantemente il ruolo di comico e spalla, in una commedia che porta sul palcoscenico “la morte del cigno”: amara metafora del teatro come prigione, specchio dell’esistenza umana, dove forse l’unica possibilità di salvezza risiede esclusivamente nella morte. Ma in realtà è, soprattutto, un inno al teatro, alla sua capacità di resistere in tempi difficili, alla sua insostituibilità. Se Sir resiste fino a chiusura di sipario, incarnando in ciò anche il cinico imperativo dello “Show must go on”, nella figura del servo Norman trapela la forza stessa del teatro. Invincibile, perché non ha padroni, non cerca ricompense. Invulnerabile, perché la ragione profonda della sua esistenza sta nella sua gratuità. Perciò il “dresser” sa pronunciare le parole più importanti e profonde con ironia e senza perdere il sorriso. Monumentale la scenografia della Palli: l’impianto è, già in sé, un orgoglio di artigianato, una materia drammaturgica comunicativa. In basso, in un sottopalco labirintico, c’è il camerino del primattore, con tutte le dovizie dei capricci di scena, e attraverso una scala a chiocciola s’arriva a un piano superiore, il retro della ribalta, con accesso al luogo dove si recita, schermato per noi, che distinguiamo solo le ombre della rappresentazione. Un dietro le quinte che racchiude, doppiamente, in sé una sublime metafora della vita, una duplice forma di conoscenza che ci regala il teatro di ogni tempo.
Caterina Andò