Ho preso spunto dal più recente , drammatico ed oltremodo eloquente evento – di G. Intravaia
. Tre decessi in un mese solo nel carcere di Viterbo ,costituiscono una media altissima che non solo deve preoccuparci molto , ma deve interrogarci , perché si tratta di eventi drammatici avvenuti nonostante l’impegno della direzione, degli agenti di polizia penitenziaria e delle altre professionalità che lavorano in quella struttura. Una storia che si espande a macchia d’olio su tutto il territorio del Paese .Ognuno di questi decessi è una storia diversa con, però, una matrice comune: quella di poter essere attribuito al sovraffollamento e alle drammatiche condizioni di vita negli istituti. Sovraffollamento, carenze di personale e penuria di risorse non consentono di garantire a quanti vivono il carcere, siano essi detenuti o agenti di polizia penitenziaria, adeguate condizioni di sicurezza. In qualsiasi altro contesto, un disagio psichico o fisico sarebbe adeguatamente curato per prevenire conseguenze gravi. Nelle carceri, invece ( da Nord a Sud, da Est a Ovest ) ogni situazione di disagio può nascondere una potenziale, drammatica, fine. Salgono a 67, dall’inizio dell’anno, i decessi conteggiati dal D.A.P. ( il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ) nelle carceri italiane: 24 i suicidi – gli altri decessi – sono attribuiti a “cause naturali”. In realtà , i decessi ,ammontano a molti di più: se un detenuto infatti muore dopo qualche giorno di agonia nel letto di un ospedale ( ove è stato trasferito )non viene conteggiato tra le morti in carcere. Allo scorso mese di Aprile i 208 Istituti Penitenziari italiani erano stipati di ben 67.510 detenuti, a fronte di 45.543 posti regolamentari. Una situazione che si traduce in un peggioramento delle condizioni igienico-sanitarie e in un incremento del numero di morti. Sempre nel 2011 sono stati 337 i tentati suicidi, mentre gli atti di autolesionismo sono arrivati a 1.858, e a questi vanno aggiunte le aggressioni che hanno portato a 1.389 ferimenti e a 508 colluttazioni. Dal 2000 a oggi sono morti 1.800 detenuti, di cui un terzo (650) per suicidio. E ancora: dal 1990 al 2010 sono stati 1.093 i detenuti che si sono tolti la vita in cella, mentre i tentati suicidi sono stati 15.974, con una frequenza media di 150 casi ogni 10mila detenuti. Il 2010 si è chiuso con 63 casi di suicidio. Nell’anno precedente , nel 2009 ,se ne contano 72. Una situazione di illegalità palese da parte dello Stato che- paradossalmente – viola in modo pervicace e continuativo la sua stessa legge. Questi sono i fatti. Queste sono le cifre da opporre a quanti reagiscono con un moto tra la stizza e il fastidio. Non molti, a dire il vero, dal momento che gli organi di informazione non hanno praticamente riferito nulla in merito. Le cifre , dicono che non si tratta di un’esagerazione : dovrebbe far riflettere il fatto che in undici anni si sono tolti la vita ben 87 Agenti di Polizia Penitenziaria. Non sappiamo i loro nomi, le loro storie. Ma sono certo che scavando nel loro vissuto emergerebbero cause strettamente connesse con le condizioni di lavoro in cui sono stati costretti ad operare , e che non sono affatto estranee alla decisione di farla finita. Voglio ricordare che nella nostra Costituzione è contenuta una norma che non viene mai richiamata: il comma 4 dell’articolo 13, nel quale è prevista la punizione della violenza commessa sulle persone che sono private della libertà. Ebbene, detenuti ammassati in meno di un metro e mezzo a testa – la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ne prevede tre, l’Ordinamento Penitenziario addirittura sette – chiusi in cella a far nulla per 20 o 22 ore al giorno, non sono forse oggetto di inequivocabili atti di violenza? Le carceri italiane sono divenute – ormai da tempo , da troppo tempo , in un assordante e colpevole silenzio globale – una enorme discarica sociale e umana resa tale anche da una situazione strutturale che è figlia di una legislazione schizofrenica, la quale non riesce a programmare l’intervento penale in maniera razionale, che pretende di dare risposte di tipo emotivo, simbolico a problemi di carattere sociale e quindi crea da un lato l’ingolfamento del sistema penale, dall’altro un affollamento del Sistema Penitenziario, e tuttavia non riesce davvero a richiamare l’attenzione di tutti sul gravissimo problema del Diritto e della Dignità della Persona Umana , costantemente violati e stravolti.
Avv. Giovanni Intravaia – presidente Osservatorio Cattolico “Pro Iure et Iustitia” (nella foto in alto)