LA MEMORABILE IMPRESA DI ALESSANDRIA, QUELLA IN CUI GLI ITALIANI DIEDERO SCACCO AGLI INGLESI

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som2.jpgAUGUSTA. La nostra storia inizia in piena Seconda Guerra Mondiale. Le due fazioni contrapposte, l’Asse e gli Alleati, dopo aver combattuto in Polonia e Francia, si fronteggiano sul suolo desertico della Libia. Ma una battaglia parallela avviene in mare: qui l’Italia può vantarsi della sua Marina Militare, all’epoca Regia Marina, che consente agli Italiani un teorico controllo del Mare Nostrum, il Mar Mediterraneo. E, per ora, le nostre navi trasporto riforniscono la Libia senza grosse difficoltà. La Royal Navy è alle corde, e si rintana nel porto di Alessandria d’Egitto per rifornirsi e tenere lontani i grossi calibri delle nostre Corazzate. E’ in questo contesto che si inserisce l’Impresa di Alessandria, uno dei (pochi) capolavori tattici della nostra Marina che tuttora viene preso come esempio sui manuali della US Navy. Alla fine del 1941, la strategia marittima inglese consiste nell’essere una fleet-in-being, ossia rimanere  in porto e utilizzare la propria forza navale a scopo deterrente verso gli attacchi nemici. Dentro il porto della città egiziana si trovano due navi da battaglia inglesi, la HMS Queen Elizabeth e la HMS Valiant con le relative unità di scorta. Tali forze non sono adeguate a fronteggiare gli Italiani, quindi si ha uno stallo: la Regia Marina non ha abbastanza potenza per forzare il porto di Alessandria e la Royal Navy per contrastarla sul mare. Per sbloccare questa situazione, il capitano di fregata Junio Valerio BORGHESE propose un arditissimo piano: usare il sommergibile Scirè per avvicinare al porto di Alessandria tre SLC (Siluri a Lenta Corsa, detti anche maiali), ognuno guidato da due <<operatori>>, oltrepassare le barriere del porto e colpire al cuore le navi ormeggiate con le impressionanti testate esplosive da 230 kg degli SLC. Per quanto possa apparire semplice, il porto di Alessandria era pressoché inaccessibile alle navi nemiche e ben protetto da reti antisommergibile e mine, i peggiori avversari dei sottomarini. Ciononostante, la missione fu autorizzata e iniziarono i preparativi. I membri prescelti per l’impresa furono il tenente di Vascello Luigi Durand de la Penne, il 2° capo palombaro Emilio Bianchi, il tenente (Armi Navali) Vincenzo Martellotta, il 2° capo sommozzatore Mario Marino, il capitano del Genio Navale Antonio Marceglia e infine il 2° capo palombaro Spartaco Schergat. Il 3 dicembre 1941 il sommergibile Scirè lasciò il porto di La Spezia per dirigersi verso la costa egiziana e, dopo numerosi giorni di viaggio, la notte del 18 dicembre gli incursori si ritrovarono di fronte al porto. Sfruttando l’arrivo di tre cacciatorpediniere inglesi (che, entrando nel porto, avrebbero aperto un varco nelle difese), gli SLC si introdussero nel porto e, nonostante varie vicissitudini, resero inutilizzabili per tutto l’arco della guerra le due corazzate inglesi (le su citate Queen Elizabeth e Valiant), lasciando la Royal Navy in balia delle intenzioni italiane. Purtroppo, le navi non affondarono,  ma si incagliarono nel basso fondale e rimasero a galla, ingannando i nostri aerei ricognitori. Ciò permise agli Inglesi di rinforzare la loro squadra navale con navi come l’HMS Eagle (portaerei), che molte rogne darà alla Regia Marina. Queste le parole del Primo Ministro inglese Winston Churchill subito dopo la disfatta subìta: « …sei Italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell’Asse. » Eppure, nonostante la risonanza mondiale dell’evento e le conseguenze che ebbe non ho mai sentito parlare in Augusta di quest’impresa. Mai. Nonostante che ad Augusta ci sia una parte del sommergibile Scirè, sul monumento ai caduti in mare vicino la Porta Spagnola. Forse agli Augustani non interessa la storia, o magari è <<troppo interessante>> e non si vuole correre il rischio di attrarre una manciata di turisti in più.

       Joseph Insirello –    Nel tondo, il Capitano di Fregata Junio Valerio BORGHESE