Quali prospettive per il “più bel posto di Sicilia”, come definito da Tomasi di Lampedusa? – di Miriam Carani

Tomasi_di_lampedusa.jpgE’ l’autunno del 1916: il giovane Tomasi di Lampedusa, giovane caporale d’artiglieria venne trasferito ad Augusta. Il soggiorno sarà breve: solamente tre mesi, sufficienti comunque a fargli vedere e conoscere un paradiso, lontanissimo ricordo durante gli stenti, le sofferenze, i dolori della guerra e della prigionia, prima e dopo la disfatta di Caporetto. I giorni trascorsi nella cittadina marittima furono lieti e piacevoli: le ore andavano e venivano tra numerose conversazioni letterarie, estasiate contemplazioni della natura e lunghe passeggiate in barca con l’amico, il tenente Enrico Cardile. Un posto in particolare, il tratto di mare tra il “Faro” e punta Izzo, affascinò il nobile palermitano che scrisse:<< Un luogo, un golfetto interno più su di punta Izzo, dietro la collina che sovrasta le saline; […] è il più bel posto della Sicilia. La costa è selvaggia, completamente deserta, non si vede neppure una casa; il mare è del colore dei pavoni: e proprio di fronte, al di là di queste onde cangianti, sale l’Etna; da nessun altro posto è bello come da lì, calmo, possente, davvero divino. E’ uno di quei luoghi nei quali si vede un aspetto eterno di quell’isola che tanto scioccamente ha volto le spalle alla sua vocazione che era quella di servir da pascolo per gli armenti del sole>>.

Le parole dello scrittore cui, almeno per gratitudine, non è stata dedicata né una stradetta di campagna né un piccolo ronco, disegnano in maniera pittorica i colori vivi e i contorni quasi bucolici di un paesaggio inserito all’epoca simbioticamente in un territorio che sapeva vivere, rispettare e utilizzare.

Lo scenario mutò radicalmente nel secondo dopoguerra, a partire dal 1948, quando Angelo Moratti, astro nascente dell’industria lombarda, decise di installare nell’area limitrofa alla cittadina tanto cara all’autore de “il Gattopardo” un’industria per la raffinazione degli oli minerali.

tomasi_di_lampedusa.gifLa scelta non fu casuale: Augusta occupava una posizione strategica nella rotta dei maggiori traffici petroliferi provenienti da Nord (Russia) e da Sud (Medio Oriente). Disponeva addirittura di un’importante porto,  ombelico nel Mediterraneo, di facili fonti per un illimitato approvvigionamento idrico e aveva la fortuna di trovarsi in una zona pianeggiante. Dunque, il caparbio imprenditore acquistò gli impianti di una vecchia fabbrica dismessa in Texas, li trasportò via oceano e li rimontò nel siracusano. Il dado era tratto. Il boom industriale stava decollando: migliaia di uomini avrebbero potuto aumentare il proprio reddito senza alimentare quel fenomeno dell’emigrazione che soprattutto in quegli anni caratterizzava il povero profondo Sud.

Non si dovette aspettare molto per comprendere la portata ambientale e culturale determinata dalla diffusione di tutti quegli insediamenti petrolchimici che, nel frattempo, si erano estesi intorno ai vicini centri di Priolo e Melilli: le saline, peculiare simbolo di una città marinara scomparivano, i tradizionali mestieri (pesca e agricoltura) si continuavano a praticare appena in poche famiglie, e parte dei siti conosciuti del complesso archeologico di Megara Hyblaea vennero distrutti. Volutamente si è detto “conosciuti” perché non era da escludere, infatti, la possibilità di recuperare altri reperti dalla polis di Epicarmo, il nostro antenato commediografo elogiato persino da Platone in uno dei suoi dialoghi. Per fare spazio a sempre nuovi stabilimenti, si preferì tagliare i ponti con la storia, la cultura e le tradizioni. Che importanza avevano quattro pietre quando si poteva e si voleva fare soldi in maniera facile e veloce? Dimostrazione di questa non nuova logica dell’interesse fu lo scoppio dello scandalo Isab, nel 1973, per la scoperta del solito giro di tangenti, indispensabile all’aggiramento delle pratiche che rallentavano le autorizzazioni necessarie per la costruzione di un’ennesima raffineria.

Negli anni ottanta, l’inquinamento era ormai una questione tangibile che si manifestava in tutta la sua repellenza condannando a morte il territorio: sversamenti continui di sostanze  tossiche nel mare, esplosioni disastrose, devastamento della falda acquifera, spaventose morie di pesce, tetre nubi, continue irrespirabilità dell’aria erano spettacoli cui la popolazione era impietosamente costretta ad assistere.

Sta di fatto che il polo petrolchimico siracusano da speranza di benessere si trasformò in un triangolo omicida per l’elevato tasso di tumori e di nascite di bambini malformati.

La situazione, spaventosa di per sé, diventa ancora più tragica se si aggiunge la presenza di una base Nato con possibili armi atomiche e nucleari orientate verso il Medio Oriente e, se si considera che la zona degli Iblei ha una sismicità di primo grado in quanto situata a cavallo tra la placca africana e quella euroasiatica. Per far esplodere una vera e propria bomba ecologica ad orologeria e per realizzare un sublime suicidio di massa manca solamente un rigassificatore; l’installazione di quest’altro mostro, che dovrebbe soddisfare il fabbisogno energetico della penisola, potrebbe non tardare dal momento che è in progetto da parecchi anni: nel siracusano sono già sorti svariati movimenti che vogliono lottare per dare un taglio a questo processo distruttivo, insensato e inammissibile.

Portavoce di “una legittima difesa contro una pazzia criminale”, come lui stesso la definisce, è don Palmiro Prisutto che da anni si batte  (come tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta fece Antonino Condorelli, allora pretore di Augusta) per impedire il rischio catastrofico che ci si prospetta, ben consapevole che un futuro diverso e ecosostenibile è possibile.

Sognare, però, lo smantellamento totale e a breve termine delle industrie è utopia. Facendo un esempio che possa rendere l’idea della lunghezza delle opere di bonifica, in Inghilterra, il termine delle operazioni per smontare la centrale nucleare di Calder Hall è previsto nel 2115. Nonostante i periodi varino da zona a zona, si deve tenere anche in considerazione che i lavori richiederebbero investimenti superiori a quelli previsti per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Come procedere nell’immediato?  Investendo nel turismo e riabilitando il porto commerciale.

Il settore terziario ha mostrato di essere una fonte redditizia per molte regioni italiane; nonostante il mercato vacanziero sia impostato anch’esso sulle logiche della globalizzazione, per quanto concerne il modo di offrire e di organizzare la vendita del prodotto, riesce sempre a trarre profitto grazie alla valorizzazione delle peculiarità locali. Risulta quindi evidente che occorre iniziare al più presto opere di risanamento e di potenziamento delle risorse in possesso: la costa e i richiami storico-culturali.

Affinché si possa sperare di costituire un solido modello di crescita, facendo leva sul richiamo di un possibile turismo balneare di massa, è utile ricordare il caso della costa Smeralda che, da località prevalentemente disabitata fino alla prima metà del ‘900, ha saputo trasformarsi nel ritrovo prediletto dal jet set internazionale; nel corso della formazione del miracolo sardo si attinsero i fondi dalla cassa per lo sviluppo del Mezzogiorno e si crearono delle leggi che potessero salvaguardare l’ambiente dai capricci dettati dall’incontrollata espansione edilizia. Queste attività furono agevolate dalla creazione di un consorzio nato nel 1962 e patrocinato da un ricco principe arabo. Certo, ad ora parole di tale genere appaiono belle speranze a cui, però, l’intelligenza di una seria amministrazione potrebbe dare una certa fondatezza stanziando mezzi o cercando dei mirati aiuti da alcuni finanziatori. La prima mossa da attuare pensando al possibile benessere economico che il mare è in grado di regalarci è la depurazione delle acque reflue attraverso cui si otterrebbe perfino l’abbattimento dell’ammoniaca, dello zolfo e di numerosi fosfati.

Rilanciare Augusta sotto questo aspetto rappresenterebbe un valido motivo per destarla da quel clima di apatia e abbandono che attualmente la contrassegna. Oltre a festività di tipo religioso, non vengono organizzate importanti manifestazioni che polarizzino l’interesse e l’attenzione della cittadinanza, costretta ad evadere dal nucleo urbano per avere l’opportunità di cogliere un respiro culturale di ampio rilievo.

Oggi gli augustani risentono della mancanza dell’identità e del senso di appartenenza a un passato e a un destino comune; il logoramento e lo svilimento del patrimonio architettonico-naturale non ne favoriscono la riuscita e sotto quest’ottica si richiedono interventi di rilancio dei simboli comunali. Da quanto tempo una struttura delle dimensioni e della levatura storica del Castello Svevo è inaccessibile? Da quanto i giardini pubblici, antico e grazioso angolo di ritrovo per decine di generazioni, versano in condizioni desolanti e sconcertanti? Da quanto l’hangar, opera avveniristica nel periodo successivo al primo conflitto mondiale e, è agonizzante? A questi ed altri interrogativi il cittadino non è capace di trovare risposte giustificabili: l’assenza di denaro pubblico è ritenuta un pretesto che soltanto i fatti riusciranno a contraddire.

Ma veniamo al porto. Nel 2006 è risultato il quinto in Italia per flusso di merci; nel 2007 ha registrato un ulteriore aumento e a tutt’oggi vanta di diritto il titolo di principale scalo petrolifero italiano.  E’ indispensabile raggiungere altri traguardi per dare una risposta significativa sia all’emigrazione che alla disoccupazione che dal 2001 sono in costante crescita; in questo senso, attraverso controllate iniziative  potrebbe  ulteriormente aumentare il circolo dei carichi trasportati da ogni mercantile. All’interno di un Sistema Portuale tutto ciò è fattibile. Dal momento che Augusta ha la necessità di dare seguito alle dinamiche portuali, individuare un “retroterra” capace di svolgere la funzione di scambio e di coordinamento dei servizi aiuterebbe a creare posti di lavoro per operai di disparate imprese (di trasporto, di riparazione elettrica, di riparazione dei container), ma anche per poliziotti di frontiera, vigili del fuoco, piloti del porto. Un cambiamento così complesso sarebbe possibile anche riducendo l’impatto ambientale dei viavai navali mediante un modello di gestione compatibile, basato da un lato sul monitoraggio dei consumi di energia all’interno del porto e dall’altro sull’inserimento di un impianto fotovoltaico nella Darsena.

Garantire un futuro ecosostenibile e un nuovo periodo di splendore alla città cara a  Tomasi di Lampedusa è ragionevole; le alternative al disastro naturale ci sono: sta agli elettori e agli eletti metterle in pratica.

Per cambiare non è mai troppo tardi!

   Miriam   Carani