AUGUSTA, CAPITALISMO, MAFIE E GOVERNI. L’ALTERNATIVA COMUNISTA PER SPEZZARE IL SISTEMA E USCIRE DALLA CRISI

spezza-le-catene-L-1.jpgAUGUSTA – Domenica 14 aprile, alle ore 16.30, le sezioni siciliane del Partito di Alternativa Comunista, sezione italiana della Lega internazionale dei lavoratori – Quarta internazionale, terranno un’assemblea pubblica nell’auditorium “Don Paolo Liggeri” del civico  palazzo San Biagio dal titolo “Capitalismo, mafie e governi. L’alternativa Comunista per spezzare il sistema e uscire dalla crisi”. Un incontro aperto alla comunità megarese, per esporre le linee programmatiche, le prospettive e le posizioni politiche del PdAC, autenticamente rivoluzionarie e alternative ai programmi avanzati dagli schieramenti di centro, centrodestra, centrosinistra e della sinistra governista. Nella consapevolezza che il cambiamento non passa certo dalle urne, ma dal raccordo internazionale delle lotte verso una reale alternativa socialista ad un sistema economico e sociale basato sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Partendo da un’analisi delle questioni locali del Siracusano e nello specifico delle problematiche che investono la città di Augusta, culminate nello scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose, si allargherà il discorso all’esame generale della crisi sistemica del capitalismo che, specie nei periodi di decadenza, fa emergere – a tutti i livelli – le sue intrinseche contraddizioni e i perversi intrecci affaristici tra poteri mafiosi, imprenditoria e governi. L’assemblea di palazzo San Biagio si inserisce in una quattro giorni che il Partito di Alternativa Comunista ha programmato per aprile in tutta la Sicilia, da Augusta ad Agrigento, da Palermo a Messina. Una serie di incontri che vogliamo dedicare alla compagna Carolina Garzòn, militante della sezione colombiana della Lit, il Pst, nonché attivista del movimento studentesco, scomparsa lo scorso anno in Ecuador senza lasciare traccia e in circostanze ancora da chiarire. All’assemblea interverranno Gianmarco Catalano e Conny Fasciana per il coordinamento regionale del PdAC Sicilia, Mauro Buccheri del Consiglio nazionale del PdAC e  Michele Rizzi del Comitato centrale del PdAC;

GM.  C.

Nel ricordo del giudice Borsellino e della sua scorta, a vent’anni dalla morte – di Valter Vecellio

borsell.jpgAppena qualche giorno fa, il nuovo “governatore” siciliano, Crocetta, ha nominati assessori il musicista catanese Battiato e la palermitana Borsellino, figlia dl giudice ucciso , con un’autobomba, nel luglio di vent’anni fa, in Via D’Amelio, a Palermo, mentre saliva a casa della madre. Dopo vent’anni, appunto, sono ancora fitti i misteri intorno alla strage, come  ci fa capire questa riflessione di Valter Vecellio, che segue. “L’aspirazione di ognuno di noi sarebbe quella di avere la verità totale. La verità totale significa che non rimanga nessun buco nero nell’accertamento di quei drammatici fatti. A questo punto non si può negare che qualche buco nero è rimasto“, dice il procuratore di Caltanissetta, Sergio Lari, titolare della nuova inchiesta sulla strage di via D’Amelio in cui furono uccisi Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta. “Mi riferisco per esempio – prosegue Lari – alla scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino la cui sparizione è sicuramente legata alle trame della trattativa. Mi riferisco al possibile ruolo di concorrenti esterni con Cosa Nostra che possono essere conducibili, per ipotesi, ad organizzazioni estremistiche, terroristiche, politiche, servizi deviati o quant’altro. Però c’è da considerare questo: l’ipotesi dei concorrenti esterni è un’ipotesi investigativa a cui fino adesso nessuna Procura, né quella di Caltanissetta, né quella di Palermo, né di Firenze o di altre città d’Italia è riuscita a dare un nome e un volto. Abbiamo solo elementi indiziari. Quindi qualche buco nero è rimasto“.

Riguardo più specificamente alla presunta trattativa Stato-mafia, secondo Lari “rimane il fatto che certamente delle richieste furono avanzate da Cosa nostra e che il mancato accoglimento determinò l’accelerazione del progetto omicidiario nei confronti di Paolo Borsellino che comunque era già stato deliberato da Cosa nostra nella riunione della commissione regionale del settembre-ottobre ’91 e che fu seguita da una riunione deliberativa in occasione degli auguri di Natale“. Questo anche se “…non abbiamo potuto appurare se Borsellino sia stato indicato da Riina come ostacolo da rimuove o da superare come ha detto Brusca in quanto essendo venuto a conoscenza della trattativa si era opposto, o piuttosto essendo giunta la trattativa ad un binario morto, perché le richieste di Riina erano oggettivamente inaccoglibili da parte dello Stato, Riina abbia pensato di eseguire il progetto di morte – fra l’altro già deliberato – con l’intento di rivitalizzare la trattativa e costringere lo Stato a scendere a patti. Queste sono delle ipotesi rispetto alle quali una risposta certa oggi non è possibile darla. Soltanto Riina, Provenzano, Bagarella o forse i Graviano sanno qual è la verità ammesso che Riina abbia confidato agli altri da cosa sia dipesa la decisione di accelerare il progetto omicidiario e potrebbe anche darsi che in questa decisione di Riina siano intervenuti dei fattori esterni“. Infine, con la Procura di Palermo, “non c’è nessun contrasto perché vengono seguiti ambiti diversi. Se ci fosse la prova che la morte di Borsellino fosse stata provocata dalla trattativa Stato-mafia potremmo intervenire noi. Non c’è la prova che siano intervenuti soggetti esterni a Cosa Nostra“. Come si vede, una quantità di condizionali, di ipotesi e congetture; la sola certezza pare essere che, dopo vent’anni dalla strage di via D’Amelio, sono rimasti “buchi neri”. E allora di questi conviene parlare.

Borsellino viene ucciso cinquantasette giorni dopo la strage di Capaci dove rimasero uccisi Giovanni Falcone, la moglie e la scorta. Sono le 16.58 di un’afosa domenica, quando una 126 Fiat color amaranto, esplode. Per Borsellino e la scorta non c’è scampo. Per quella strage, grazie soprattutto alle dichiarazioni di un “pentito”, Vincenzo Scarantino, nel 2002 sono condannati all’ergastolo Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Gaetano Murana, Salvatore Profeta, Gaetano Scotto, Giuseppe Urso, Cosimo Vernengo, oltre allo stesso Scarantino. Condanne che reggono il vaglio di ben 14 sedi processuali, Cassazione compresa. Poi, il colpo di scena: il 27 ottobre scorso sulla base delle dichiarazioni di un altro pentito, Gaspare Spatuzza il teorema crolla. A vent’anni dalla strage, sono ancora tanti gli interrogativi. Borsellino quel giorno è in vacanza al mare. Sono le 16,40 quando viene comunicata alla scorta la decisione di andare a via D’Amelio dove abita la madre del giudice. Chi era a conoscenza degli spostamenti di Borsellino? Quel pomeriggio a via D’Amelio dei ragazzini giocano per strada, non danno fastidio a nessuno, ma un condomino li manda via. Perché? Chi è quel condomino? Si chiama Salvatore Vitale, è un mafioso, abita in quella strada, è il proprietario del maneggio dove andava Giuseppe Di Matteo il figlio di un pentito, che viene rapito e strangolato, il corpo sciolto nell’acido. Che ruolo ha avuto Vitale? Perché nessuno indaga su di lui? Chi ha portato, a via D’Amelio, almeno il giorno prima, l’automobile rubata dieci giorni prima, e imbottita di tritolo? Giuseppe Ayala, amico e collega di Falcone e Borsellino, è tra i primi ad accorrere, si trova tra le mani la borsa del suo amico. Dentro c’è l’inseparabile agenda, documenti, un costume da bagno. Ayala affida la borsa a un carabiniere. Che fine ha poi fatto quella borsa? Perché Scarantino accusa falsamente sette persone e se stesso? Torna utile, a questo punto, rileggere una lunga intervista rilasciata dall’avvocato Rosalba Di Gregorio, e pubblicata su “Panorama”, titolo: “Quel pasticciaccio orribile di via D’Amelio”, curatore Andrea Marcenaro. Il sommario spiega che Di Gregorio “ha difeso quattro dei sette condannato all’ergastolo per la strage mafiosa, tutti scarcerati grazie a nuove indagini. Ma non è contenta. Perché ha vissuto ingiustizie terribili. Anche sulla sua pelle”.  Dovevano essere scarcerati 17 anni fa”, dice lapidaria Di Gregorio. Si dirà: dichiarazione ovvia, dato che difende quattro degli imputati. Però il racconto fa sobbalzare: “Estate 1995: fase istruttoria del processo Borsellino-bis. Il pentito Scarantino telefona a un giornalista di Mediaset, che registra la conversazione, e gli dice di voler ritrattare le accuse: ho detto fesserie, sono tutte balle, voglio ritrattare tutto”. L’avvocato Di Gregorio sostiene che il testo di questa conversazione non le è mai stato dato, “perché i pubblici ministeri lo sequestrarono”. L’avvocato presenta istanza per fissare i termini di un incidente probatorio: “Non venni degnata di risposta, fecero finta di nulla. A tutt’oggi la difesa non è in possesso del nastro”, e accusa esplicitamente la pubblica accusa di aver nascosto e sequestrato gli elementi a favore degli imputati. Si converrà che non è cosa da poco. Piacerebbe sapere se le cose sono andate come Di Gregorio le racconta, o se si tratta di forzatura e “invenzione”… Dice altro, l’avvocato Di Gregorio: “Fra centinaia di migliaia di pagine, era mi pare il 1995, scopriamo quasi per caso una lettera del procuratore aggiunto di Caltanissetta al suo omologo di Palermo: ti trasmetto i confronti tra Scarantino e i tre pentiti Cancemi, Di Matteo e La Barbera…Se sono stati messi a confronto, ho dedotto io, vuol dire che ci sono tre pentiti che, in tutto o in parte, contestano le dichiarazioni di Scarantino. Non si procede a un confronto, se no. Per cui chiedo di avere il testo dei tre confronti”. La risposta è che i confronti non ci sono. Di Gregorio insiste: “E arriva una seconda risposta: gli atti non vi riguardano, perché non parlano degli imputati in questo processo”. Il fatto è che invece ne parlavano. Lo spiega la stessa Di Gregorio: “Quando nel 1997 verranno spiccati i mandati di cattura per il Borsellino ter, tra gli indagati c’è anche Cancemi. Abbiamo scoperto allora la bugia che il confronto non avesse riguardato gli imputati di cui sopra. Altrochè se li aveva riguardati. E qui viene il bello. Eravamo in udienza a Torino e i PM ribadirono in aula la loro affermazione. A quel punto chiedemmo l’invio degli atti a Torino per denunciare i PM stessi per false dichiarazioni in atto pubblico. I PM chiesero a loro volta la trasmissione degli atti a Torino per procedere contro di noi per calunnia. Conclusione: la procura di Torino ha archiviato tutto. Come ha fatto? O noi calunniavamo loro, o loro falsavano. In mezzo non c’era niente. Non poteva esserci niente. Eppure la Procura di Torino ha archiviato per tutti. Lì ho capito che Scarantino era sacro”. A questo punto occorre chiedersi che cosa sta scritto nel verbale del confronto tra Scarantino e Cancemi; e conviene lasciare sempre la parola a Di Gregorio: “Cancemi aveva detto a Scarantino: ma che dici? Che ne sai tu? Chi ti ha raccontato tutte queste balle su via D’Amelio?…”. Buchi neri, appunto.

   Valter Vecellio

Agguato mafioso ad Augusta??

AUGUSTA. E’ stata eseguita, nell’obitorio del  civico ospedale “Muscatello”.  la sera di martedì  scorso, 15 settembre, agg.jpgl’autopsia sul cadavere di Mario Mauceri, il 44enne assassinato, durante un agguato di stampo mafioso,  mentre era solo a bordo della sua auto,  domenica 13,prima della mezzanotte,  intorno alle 23,30,  nei pressi di un ristorante-pizzeria  di Agnone Bagni, la località balneare che fa parte del territorio del Comune di Augusta, ma che è frequentata soprattutto da lentinesi e carlentinesi, che   in Agnone Bagni hanno il loro sbocco a mare.  Nulla è trapelato  da parte del medico legale Francesco Coco, che ha eseguito l’autopsia, giacché dalla procura distrettuale antimafia di Catania, che coordina le indagini, gli è stato imposto il riserbo più rigoroso. I risultati ufficiali si apprenderanno fra quattro mesi circa, anche se risulta evidente la causa della morte, visto che i colpi di pistola, non più di cinque,  hanno  raggiunto pienamente l’obiettivo, centrando la testa di Mauceri, il quale non è morto sul colpo, come si era presunto in un primo momento, ma durante  i primi soccorsi prestati invano da un medico che si trovava all’interno del locale: Mauceri è spirato fra le braccia del medico, senza la forza di pronunciare una sillaba. In un primo momento, il medico e gli altri avventori hanno ipotizzato che si fosse trattato di un incidente stradale , tanto che il medico, di primo acchito, aveva pensato che la gravissima ferita alla testa fosse dovuta all’impatto contro il vetro anteriore, anziché ai proiettili , il cui calibro dovrebbe essere di diametro comune a quello  di proiettili in dotazione a diversi tipi d’arma, come ha riferito il neo comandante della compagnia carabinieri di Augusta, capitano  Giiuseppe Musto , cui sono state affidate le indagini sul campo.

                    Cecilia Càsole