VERSO UNA NUOVA REPUBBLICA O UNA MONARCHIA CAMUFFATA?

 

INTERVISTA A FRANCO CORDERO

nuova repubblica.jpgProfessor Cordero, il Presidente della Repubblica ha criticato duramente deputati e senatori, che l’hanno applaudito. Si è scritto d’un masochismo parlamentare: che spettacolo abbiamo visto?
Ce ne sono di migliori: un vecchio signore apostrofa l’assemblea agitando la frusta, e l’applaudono ma siamo in Italia, dove melodramma, commedia, farsa appartengono al quotidiano; parole, mimiche, gesti vanno letti in varie chiavi. Il fondo è conformismo sogghignante, venato d’una cinica crudeltà. Capisce poco del fenomeno italiano chi prenda alla lettera maschere ed eloquio.  Chi ha vinto, alla fine?  “Ho vinto io”, dichiara ridendo B., nel cui quadro mentale vero e falso non differiscono, fluida essendo ogni verità, come nel buio 1984 che Orwell moribondo raccontava, e stavolta crediamogli: 18 mesi fa pareva sepolto, avendo condotto l’Italia a un passo dal tracollo, mentre lui s’arricchiva; ridisceso in campo, sfiora la vittoria elettorale; ed è partner dominante del futuro assetto. Quanto conti, lo dicono due gravi dibattimenti penali: mancava solo la sentenza; voleva impedirla e vi sta riuscendo ; tra i compiti del governo nascituro uno, capitale, è liberarlo dalle pendenze penali. Ma Berlusconi era completamente alle corde!

Era alle corde. Come ha vinto? Senza combattere, gli basta chinarsi e raccogliere. Nel tardo autunno 2011 barcollava stordito dai colpi: lo salva uno scacchiere politico ibernato sotto il governo tecnico, finché rompe l’accordo; e nello stallo postelettorale prendono corpo “larghe intese”, formula eufemistica dell’innaturale matrimonio Pd-Pdl, suicida rispetto al primo. Il candidato al Quirinale era scelto in tale funzione, ma soccombe al primo voto.  Chi ha aperto la via alle “larghe intese”?  Berlusconi bolle l’indomani quando il plenum Pd schiera Romano Prodi nel quarto turno: è temibile; l’aveva sconfitto due volte; liquiderebbe la linea omertosa, su cui lavora una componente riconducibile all’intrigo bicamerale 1997-98. Qui sopravviene il fattore causale negativo. Le Cinque Stelle votavano Stefano Rodotà, nome perfetto ma gl’influenti nel Pd non lo vogliono, e siccome l’arte politica opera sul fattibile, s’imponevano dei ripensamenti; è atto sterile vincere la partita morale sostenendo candidati perdenti , quando la convergenza su Prodi chiuderebbe le porte all’invasore. Lo dicono i numeri: acquattati nella cabina, i bicameralisti voltano la schiena al candidato ufficiale, e stupirebbe un voto leale, ma basta l’apporto esterno; non averne tenuto conto è errore strategico, determinante. Affossata la candidatura forte, il partito sarebbe ricaduto nel penchant suicida. Grillo definisce tale evento in lingua shakespeariana: vanno a nozze i due che copulavano da vent’anni; metafora perfetta ma chi ha mandato a monte l’alternativa pulita? Vengono da lì prevedibili sventure. L’allegro beneficiario eriga un monumento a quel voto. Non abbiamo mai avuto un Capo dello Stato così interventista. È luogo d’effetti singolari l’Italia: l’affarista corruttore, smisuratamente ricco, plagia le platee; e avevamo una Repubblica parlamentare ma il Presidente in carica governa, attuando quel che 106 anni fa chiedeva Sidney Sonnino, gentiluomo maniaco, funesto in buona fede (Nuova Antologia, 1 marzo 1897): lo Statuto Albertino forniva qualche appiglio in residui verbali d’ancien régime; l’attuale Carta, no. L’uomo era poco visibile nelle file Pci. Fortunosamente asceso al Colle, parla molto, in un registro d’ipertrofia del potere: vanta prerogative da monarca (nel giorno in cui, rieletto, apostrofa le Camere, vanno in fumo i nastri contenenti misteriosi dialoghi suoi con un ex ministro); nella fattispecie opera quale stratega politico. L’idea fissa è che in logica costituzionale Silvio Berlusconi non differisca da Marco Minghetti o Quintino Sella: quindi sia buon maestro d’orchestra; e i dissonanti dal coro meritino castighi. Aveva anche messo mano a una delle leggi invalide con cui il predetto schivava i processi. Incredibile dictu, non vede l’enorme anomalia d’uno Stato in mano al pirata: nella crisi post elettorale rilancia “larghe intese”, in secchi termini imperativi; spiega alle Camere che difetto culturale sia non convolare sotto l’ala d’Arcore; e mancando l’accordo, le scioglierebbe, prospettiva terrificante in casa Pd, mentre B. s’ingrassa.  Giornali entusiasti però. La stampa governativa gli canta ditirambi quali fiorivano negli anni Trenta: discorso “storico”, nel senso che apra un’epoca, ecc.; salpiamo verso la nuova Repubblica. Vero, e volendo trovare un nome mitologico al transito, chiamiamolo “Caronte”, con una variante: nel terzo capitolo dell’Inferno le “anime prave” non applaudono il vegliardo che le traghetta; nella commedia italiana succede. Si sono sprecate le definizioni: governo di scopo, di salute pubblica, del Presidente. Ma davvero sarà “temporaneo”?
L’entusiasta Olonese non sta nella pelle, era uscito dal sarcofago; ha vinto e siccome fortune simili abbagliano la platea, salirà ancora, mentre gli avversari affondano. Che sia lui a condurre il gioco, consta da come martedì mattina 23 aprile sbarra l’incarico al concorrente pericoloso. Non lo è il designato, vicesegretario Pd, mellifluo dialogante, nipote dell’onnipresente Gianni Letta plenipotenziario Pdl, caro al Quirinale: condannava l’antiberlusconismo e dal punto di vista d’Arcore va benissimo. Non sarà “governo ad ogni costo”, avverte (eufemismo democristiano vieux style), ma chi gli crede? Ormai esiste un padrone molto visibile: sceglie i ministri; fissa i legiferanda (salvacondotto penale, divieto d’intercettare, mano morbida contro corruttori e corrotti, guida politica delle procure, ecc.) e gli argomenti da non toccare (cominciando dal colossale conflitto d’interessi). Questo governo nascerà, durando finché gli convenga: ha in tasca il decreto che sbanda le Camere, e la pistola alla tempia assicura un Pd condiscendente, purché sia salva qualche forma a buon mercato. Mala tempora, né confortano analogie storiche: l’inesistente Luigi Facta lascia il posto a Mussolini; dopo Franz von Papen, cavallerizzo vanesio, e Kurt von Schleicher, generale intrigante, viene Hitler. L’Olonese se li divora i partner d’una partita impossibile.

 

  Silvia Trizzi