“LA NAVE PIU BELLA DEL MONDO” in un “ritratto” appassionato dell’augustano Ugo Passanisi

amerigo vLa “Cristoforo Colombo” dovette essere ceduta all’Unione Sovietica in conto riparazioni danni di guerra insieme a numerose altre navi da guerra. Sorvegliata a vista per il timore, non infondato, che potesse essere sabotata e autoaffondata dal suo equipaggio, partì da Taranto il 9 febbraio del 1949 e raggiunse il giorno 12 il porto di Augusta dove venne ufficialmente disarmata e radiata dai ruoli, ammainando la bandiera della Marina Militare e issando quella della Marina Mercantile. Infine, con la sigla Z18, salpò alla volta di Odessa dove il tricolore venne ammainato per l’ultima volta.

AUGUSTA. Recentemente, la “Palinuro”, nave scuola per gli allievi sottufficiali della Marina Militare italiana, è approdata a Catania per un giro di promozione. La “Palinuro” è omologa dell’Amerigo Vespucci”, nave più famosa che ogni allievo ufficiale deve conoscere e su cui deve navigare. Abbiamo chiesto al  nostro collaboratore Ugo Passsanisi , storico per passione, di tracciarci un profilo delle navi-scuola, vanto della nostra M.M.

Verso la fine degli anni ’20 del secolo scorso, la Regia Marina Italiana avvertì la necessità di sostituire le due vecchie navi-scuola della classe “Flavio Gioia”  e di costruire due nuove unità da destinare all’addestramento degli allievi ufficiali dell’Accademia Navale di Livorno e degli allievi della Scuola Navale “Morosini” di Venezia.  Per motivi di immagine, e per mantenere viva una centenaria tradizione di tutte le più importanti marinerie europee, si preferì optare per la costruzione di due motovelieri che consentissero inoltre agli allievi  imbarcati di apprendere le tecniche e le manovre di governo delle grandi navi a vela.  Pertanto, negli anni dal 1926 al 1931 i due motovelieri vennero impostati e costruiti nel Regio Cantiere Navale di Castellammare di Stabia.  Il progetto di entrambi, molto simili, e per questo motivo spesso considerati gemelli, fu affidato al tenente colonnello del Genio Navale Francesco Rotundi, che riprese e ricopiò i progetti dell’Ingegnere navale Sabatelli della Real Marina del Regno delle Due Sicilie, il quale, nel disegnarli, si era ispirato al pirovascello della Marina borbonica “Monarca” e che erano custoditi a Castellammare di Stabia, insieme alle tecnologie necessarie alla costruzione di questo tipo di navi,  che ricordavano i vascelli da guerra della fine del ‘700. Infatti, le fasce bianche e nere alternate dello scafo ricordano le murate con i portelloni dietro ai quali venivano posizionati i cannoni. La prima delle due navi ad essere costruita fu la “Cristoforo Colombo”, impostata il 15 aprile 1926 e varata il 4 aprile 1928. Il suo primo nome fu “Patria” che venne però cambiato quando lo scafo era ancora in costruzione in onore del grande navigatore genovese. L’ “Amerigo Vespucci” venne invece varato il 22 febbraio 1931 perché in quello stesso giorno del 1522 moriva il navigatore da cui la nave, e il nuovo  continente, presero il nome.  Da quel momento le due navi effettuarono insieme tutte le campagne di addestramento degli accademisti della Regia Marina,   solcando per ben 9 volte tutti i mari e gli oceani del mondo, fino allo scoppio della 2a Guerra Mondiale. Degli ufficiali più famosi che si sono avvicendati al comando della “Amerigo Vespucci” ricordiamo, in particolare, l’ammiraglio Straulino, campione mondiale di vela, famoso per aver condotto la nave a vele spiegate dal porto di Taranto al mare aperto attraverso il canale navigabile, stabilendo, tra l’altro, il nuovo record di velocità per navi a vela. Un altro famoso comandante della prestigiosa nave fu il C.V. Ugo Foschini che risalì il Tamigi a vela fino a Londra. Ma l’episodio di cui la prestigiosa nave fu protagonista ebbe luogo nel 1962 con l’incontro in Mediterraneo con la portaerei statunitense “Independence” che incrociando l’ “Amerigo Vespucci” che navigava a vele spiegate lampeggiò con il segnalatore luminoso : “Chi siete?”, a cui, con lo stesso mezzo, fu risposto “Nave Scuola della Marina Militare Italiana Amerigo Vespucci”.

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RIEVOCATO L’AFFONDAMENTO DEL SOMMERGIBILE ASCIANGHI. VENTUNO IN FONDO AL MARE DI AUGUSTA

001002AUGUSTA – C’è chi vuole rimuovere, per non pensare, c’è chi vuole che il passato, chiuso nell’archivio dell’anima, riemerga prepotente per diventare MEMORIA, e quindi Storia, tessuto e trama della rete dei fatti della vita e dell’esistenza dell’uomo. Non è solo il “grande evento” a destare emozioni, entusiasmo e trepidazioni, ma lo è, anche il “piccolo evento”, quello che, spesso, nella cronaca passa inosservato, ma nel cuore vive e palpita. Riparliamo, con entusiasmo e deferenza, del “piccolo” sommergibile Ascianghi, che da settantadue anni, giace in fondo al mare di Augusta, ad appena due miglia dalla diga foranea. Giace in quella tomba marina con ventuno marinai, pezzi di carne tra pezzi d’acciaio, caduti nell’adempimento del proprio dovere, senza gloria e nel silenzio. Custodisce dal 23 luglio 1943, ventuno uomini nel suo ventre d’acciaio, che persero la vita, appena ventenni, sulla soglia della giovinezza negata, e rimossi per lungo tempo, impunemente, dalla memoria, sino a quando chi vi scrive, con orgoglio e profonda pietà cristiana, qualche anno fa non ne ha suscitato il ricordo. Perché questo evento? Perché esso appartiene alla storia militare di Augusta e nel cui territorio è avvenuto. L’anno scorso l’argomento ebbe vasta risonanza, anche se “cultori di storia”, o presunti tali, per lungo tempo acquattati come lucertole sonnolenti sotto le foglie di vite, lo sbavarono con inesatti ed inattendibili riferimenti. Riportiamo, soprattutto per onore a quei caduti, e con rinnovato entusiasmo, la breve ma ardimentosa impresa del piccolo sommergibile Ascianghi. Un battello della Regia Marina Italiana di appena 698 tonnellate, lungo appena 60,18 metri e largo 6,5 armato da un cannone da 100/47 mm e da due mitragliere Breda, oltre a 4 siluri. Sino al 18 luglio 1943, si dondolava tranquillo nelle acque di Pozzuoli, quando nello stesso giorno, un ordine, forse frutto del gran disordine del momento, venne dato al Comando di bordo. Recitava testualmente “…contrastare le operazioni di sbarco alleato in Sicilia”. Non sarebbe affatto fuori luogo, definire quell’ordine da “idioti deliranti” dal momento che l’imponente forza navale alleata anglo-americana, straripava nel Mediterraneo, e teneva saldamente i porti di Siracusa ed Augusta, proiettata verso Messina. Tuttavia, si obbedisce come è abituato, da sempre, il marinaio italiano, così come fece silenziosamente l’equipaggio dell’Ascianghi, 50 giovani marinai. Scivolò in mare alle luci di quella tragica alba del 18 luglio 1943, raggiungendo le acque di Augusta, brulicante di Navi avversarie. Attese con pazienza quattro giorni in immersione, quando nel pomeriggio del 23 luglio del 1943 (ore 15.00), il Comandante Mario Fiorini decise di riemergere. Incrociando un convoglio avversario, diede l’ordine di lanciare una coppiola di siluri, per poi subito disimpegnarsi. Uno dei siluri colpì la fiancata sinistra dell’incrociatore pesante “Newfoundland” di 8.000 tonnellate, che sbandò paurosamente, e che, poi, rimorchiato a Malta, vi rimase, inattivo, sino alla fine della guerra. Certamente, si scatenò una violenta e rabbiosa reazione inglese, condotta da due cacciatorpediniere veloci e pesantemente armate, che senza sosta, braccarono il piccolo Ascianghi con bombe di profondità ad alto potenziale. Malgrado il tentativo di disimpegno, il battello italiano, non ebbe scampo, sicché per via delle numerose lesioni allo scafo, il Comandante Fiorini, si trovò di fronte ad una tormentosa scelta, o andare a fondo con il Sommergibile, o riemergere e salvare l’equipaggio. Scelse la seconda: riemergere! Così riuscì a salvare ventinove uomini (di cui due purtroppo morirono a seguito delle ferite riportate, a bordo dei caccia inglesi che avevano recuperato i naufraghi), mentre il resto, purtroppo, furono trascinati con il battello in fondo al mare di Augusta, ove giacciono da allora. Bene, sono stati e restano Soldati d’Italia, che nonostante, a nostro avviso, un ordine scriteriato e farneticante, obbedirono e combatterono, allo stesso modo delle “grandi Unità”, le cui imprese venivano e vengono magnificate con la gloria riservata agli eroi dai bollettini del giorno dopo, mentre l’impresa del “piccolo” Ascianghi, fu liquidata con un fugace accenno su uno scarno bollettino di guerra. Il sacrificio, il coraggio e il valore di quei ventuno caduti, rimasero senza gloria, ai margini di una guerra scriteriata. Ma il ricordo dei morti, vive nella memoria dei vivi. La rievocazione di quest’anno ha assunto particolare solennità grazie alla partecipazione di Marisicilia, il cui Comandante Ammiraglio De Felice ha dimostrato deferente ed apprezzato entusiasmo nel preparare la commemorazione. Preceduti da una motovedetta della C.P. di Augusta, due motoscafi della M.M., si sono fermati nelle due miglia storiche, ove giace l’Ascianghi. Una cerimonia sobria, ma solenne, con l’omelia pronunciata dal Cappellano Militare Don Minervini, alla presenza dell’Ammiraglio De Felice ed un ristretto gruppo di Ufficiali, nonché di un rappresentanza dei sommergibilisti della Base. Salutata dal fischio prolungato del Nostromo, la lettura dei nomi dei ventuno marinai caduti, e la benedizione del Cappellano, una corona di alloro è stata deposta in mare, nel segno dell’onore alla Marina Militare Italiana, e soprattutto, per quei giovani, senza gloria, che non saranno più dimenticati.

   Francesco Migneco

CHI ERA SALVATORE TODARO, MEDAGLIA D’ORO AL VALOR MILITARE – di Ugo Passanisi

tòdaro comandanteAUGUSTA. Nell’istituto comprensivo “Salvatore Todaro”, venerdì 5 giugno, allietata dall’orchestra degli alunni diretti dalla professoressa Josè Tringali, si è svolta una solenne cerimonia, presenti il prefetto Gradone e il comandante di Marisicilia De Felice, per ricordare l’eroico ufficiale cui è intitolata la scuola, nata come terza scuola media, dopo la “Principe di Napoli” e la “Corbino”. Il principe di Napoli era l’erede al trono d’Italia, Orso Mario Corbino fu lo scienziato-ministro, nato e cresciuto ad Augusta,  fondatore e primo direttore della famosa scuola di Via Panisperna a Roma. Ma chi era Salvatore Todaro? Né gl’insegnanti né gli alunni, a maggior ragione, lo sanno. Eppure  la didattica moderna  privilegia un approccio alla conoscenza storica partendo da ciò che più ci è vicino. Abbiamo chiesto al nostro valente collaboratore Ugo Passanisi,  appassionato ricercatore storico, di raccontarci la vicenda umana e militare  di  Salvatore Tòdaro. Eccola:   Premessa   –  Alcuni anni fa, allorché mia nipote Giorgia cominciò a frequentare la scuola media di Via Antonio Gramsci, nell’attesa che terminassero le lezioni per riaccompagnarla a casa mi accadde casualmente di soffermarmi a osservare la grande targa in bronzo posta sulla facciata dell’Istituto che riporta l’iscrizione “Scuola Media Statale Salvatore Todaro – Medaglia d’oro”. Quel nome non mi era ignoto: riportava improvvisamente alla memoria gli anni tristi della guerra e della mia gioventù. Tornavano da quel tempo lontano i suoni e le voci che la radio portava ogni giorno nelle nostre case: “Bollettino di guerra numero xxx. Il Comando Supremo delle Forze Armate comunica: Un nostro sommergibile, al comando del capitano di Vascello Salvatore Todaro, ha attaccato con successo una grossa nave nemica affondandola col cannone …..”. Quando poi, addentrandomi nell’ampio salone d’ingresso dell’istituto mi era capitato di vedere sulla parete frontale un piccolo disegno a carboncino che ritraeva le fattezze di un giovane ufficiale della Règia Marina, con il pizzetto nero e gli occhi  profondi, non avevo potuto fare a meno di chiedermi se mai qualche insegnante avesse raccontato alle migliaia di ragazzi che, negli anni, avevano frequentato e riempito quelle aule, la vicenda umana e militare di quell’uomo che, con il suo nome, onorava quell’Istituto. Fatta una piccola indagine, mi resi rapidamente conto che né l’argomento suscitava il minimo interesse per gli studenti (e forse non poteva essere altrimenti, considerando la loro giovanissima età), né mai alcun insegnante aveva sottratto qualche minuto al tempo riservato alle lezioni per illustrare ai suoi studenti la figura di quell’Ufficiale (il che non era altrettanto ovvio). Mi presi allora la briga di preparare una breve monografia, non più di due paginette, e di consegnarla a mia nipote con l’incarico di chiedere a qualcuno dei suoi insegnanti di leggerla in classe. Purtroppo neanche questa mia iniziativa ebbe successo  e, come avrei dovuto facilmente prevedere, non se ne fece nulla. Ma, intanto, quella storia mi aveva profondamente coinvolto emotivamente e decisi, perciò, di approfondirla ricorrendo a tutte quelle fonti, articoli di riviste e giornali, libri, ecc. alle quali avessi potuto accedere. E il racconto che segue non è altro che il risultato della mia ricerca.  Il Comandante  –  “Da mesi non faccio che pensare ai miei marinai che sono onorevolmente in fondo al mare. Penso che il mio posto è con loro”. E’ questo il passo di una lettera che il comandante Salvatore Todaro scrisse il 12 dicembre 1942, un giorno prima di morire, a un suo amico salentino che aveva vissuto con lui le incredibili vicende a bordo del sommergibile “Cappellini” di cui parleremo tra breve.

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AUGUSTA 13 MAGGIO 1943: NON IL SUONO DELLE CAMPANE.. MA L’ULULARE DELLE SIRENE

untitl1AUGUSTA – Quel grigio giovedì del maggio ’43 fu la giornata della “MEMORIA” per Augusta, martoriata dal duplice rabbioso bombardamento che rase al suolo oltre la metà dell’abitato, trascinando nel vortice di una morte cruenta settanta cittadini inermi ed innocenti. Memoria lungamente obliterata e tradita, allorquando anni or sono, chi scrive, attraverso pervicace e costante insistenza, sollevò l’attenzione della Civica Amministrazione che con delibera n. 32 del 15/02/2011 dichiarò il 13 maggio 1943 “Giornata della memoria”. Ho raccolto con soddisfazione che, almeno dal 2009 a seguito della pubblicazione del mio volume sull’argomento, scosse il torpore e il colpevole silenzio di tanti storici o cultori di storia patria locale, che bene o male di questo segmento di storia augustana ne hanno fatto oggetto di pubblica attenzione. È bene precisare che questa “giornata” non deve solo rimanere una mera enunciazione documentale racchiusa in una delibera municipale perché essa è un pezzo di storia eroica della Città di Augusta e del suo popolo che la scrisse col proprio sangue. Essa non appartiene al singolo sopravvissuto o meno all’evento, né alle private Associazioni, o a Gruppi o Circoli che indebitamente se ne assumono l’ostentazione rievocativa. Spetta, solo e solamente alla Pubblica Amministrazione, alle Istituzioni storico culturali, rievocare e dare il giusto riconoscimento alla ricorrenza, non foss’altro per rendere onore e rispetto a tutti coloro che, allora, persero la vita silenziosi e senza gloria. Or bene, tale evento deve assurgere a simbolo permanente della nostra storia cittadina, e deve sopperire alla lunga e ripetuta negligenza delle Amministrazioni Comunali succedutesi nel tempo, per non avere avuto la sensibilità, per lo meno, di intitolare una via, un vicolo, persino uno slargo, invece di essersi arroventato il cervello a ricercare titoli e personaggi, decisamente estranei al territorio. Non ci stancheremo, quindi, di ripetere ad alta voce che esso EVENTO è un segmento del passato della città, che fa parte a pieno diritto della “STORIA CITTADINA”, che anzi, senza tema di essere smentita, cogliamo l’occasione di poter affermare che da solo legittima Augusta al riconoscimento al “merito del valor civile”. Tale argomento, sarà oggetto di più ampia trattazione in un prossimo servizio. Concludiamo annotando, con piacere, che quest’anno la Pubblica Amministrazione e l’Istituzione di Storia Patria ed altre legalmente riconosciute daranno ampio risalto alla rievocazione e commemorazione della “giornata” a dimostrazione che essa, veramente, appartiene alla Città.

    Francesco Migneco

I “carusi” nelle solfatare della Sicilia ovvero quando i bambini siciliani venivano venduti o “affittati” per lavorare nudi nelle miniere di zolfo anche 16 ore al giorno

Un saggio rigoroso e commovente, fra  storia e letteratura –  di Ugo Passanisi

solfatareDiscutere il tema dei carusi significa rievocare una delle pagine più tragiche, umilianti e vergognose, ma anche meno conosciute della storia del popolo siciliano. Una storia, in ogni caso, peculiare della Sicilia che non trova alcun paragonabile riscontro in avvenimenti consimili in altre regioni del nostro Paese. Quella dei carusi è una vicenda che inizia nel 1700 e che si sviluppa per oltre due secoli fino alla metà del ‘900.  Inizia con i Borboni ai quali sopravvive, e continuerà in seguito anche dopo l’annessione del Regno delle Due Sicilie alla corona dei Savoia e alla proclamazione a primo re d’Italia di Vittorio Emanuele II.   Con il nuovo regime, infatti, nulla cambia per la Sicilia, anzi, le rivolte contadine contro il latifondo sono soffocate nel sangue dai garibaldini di Nino Bixio, come è avvenuto – ma non sarà il solo caso – con il processo sommario e l’eccidio di Bronte.  I grandi proprietari terrieri hanno mantenuto saldamente nelle loro mani il possesso del territorio, e sono andate deluse le grandi attese di riscatto riposte in Garibaldi e nel nuovo regime dai braccianti affamati di terra – i cosiddetti “picciotti” tanto esaltati dalla retorica risorgimentale – che pure, per questo motivo e con questa speranza  sono accorsi in massa sotto le sue bandiere. La Destra storica ha imposto ancora una volta la sua legge e, come sotto i Borboni, la miseria continua a regnare sovrana nelle campagne dell’Isola. Questa premessa è indispensabile per spiegare le ragioni profonde che, nella seconda metà dell’800 e nel primo ‘900, hanno determinato l’esodo massiccio di migliaia di siciliani, giovani, vecchi e bambini, non solo verso le Americhe, ma anche, per coloro che sono rimasti, dal contado alle miniere. E in questo contesto storico, in questa situazione sociale, perciò, non può cambiare, anzi riceve maggiore impulso la drammatica vicenda dei carusi. Ma, chi sono questi carusi ?  Con il termine carusi vengono indicati i bambini e i ragazzi costretti dall’indigenza economica delle loro famiglie a lavorare nelle miniere di zolfo.  Il termine pare sia derivato dalla consuetudine di rasare completamente la testa di questi giovanissimi lavoratori, probabilmente per i motivi igienici conseguenti alle condizioni di estrema sporcizia esistenti nelle miniere: tale taglio di capelli veniva di fatto definito nel dialetto tipico dell’epoca della zona di Caltanissetta come tagghiu carusu, mentre successivamente servirà a indicare genericamente i bambini dai 5 ai 12 anni circa. Ancora oggi, segnatamente nel catanese, ma anche in altre zone della Sicilia, le parole carusu, carusazzu, identificano il “ragazzo”, il “ragazzaccio”.

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AUGUSTA/13 MAGGIO 1943, UN GIORNO DA NON DIMENTICARE – di Giorgio Càsole

copertina libro  MignecoAUGUSTA. Da un decennio si batte perché il 13 maggio 1943 sia una data nella memoria collettiva della gente di Augusta: è l’84enne Francesco Migneco, avvocato di professione, già pretore onorario, consulente di Marisicilia quale storico militare. “Fra meno di un mese quella data riapparirà alla memoria degli augustani” – ricorda Migneco – “per  onorare il sacrificio dei quasi cento cittadini dilaniati dalle esplosioni del bombardamento e inghiottiti dalle macerie. Abbiamo il dovere di ricordare quella memoria perduta, tremendamente dimenticata oltre settant’anni fa, come se a perdere la vita fossero stati animali e non esseri umani”. Sull’ argomento Migneco ha pubblicato  un libro , di oltre 160 pp., uscito nel 2009, per i tipi di Leonardi editore, dal titolo “Augusta, 13 maggio 1943, l’inferno scese dal cielo”. Dal 2009, Migneco non s’è fermato. Ha continuato a tenere desta l’attenzione della gente, soprattutto dei giovani, attraverso interviste, conferenze nelle scuole e/o nei circoli, spesso con la collaborazione dell’autore di queste righe. L’ultima occasione è stata nel mese di maggio  2014 al Circolo Ufficiali. Migneco ritiene che non si tratta più di una memoria da celebrare per il rispetto dei morti in quel giorno, morti innocenti, ma di un argomento da considerarsi a tutti gli effetti, “oggetto di Storia patria”, come tiene a sottolineare Migneco che, più volte in passato, ha proposto all’Amministrazione comunale di istituire, in  campo municipale, un giorno del ricordo per onorare i morti caduti sotto i bombardamenti furiosi, essendo Migneco stesso un sopravvissuto alla furia dei “Liberators”. Migneco sferra un attacco contro “storici o pseudo tali, praticoni e facinorosi in cerca solo di pubblica scena” che non hanno preso nella dovuta considerazione questa sofferta pagina di storia cittadina.

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Il Califfo e il “Daesh” – la storia raccontata dall’augustano Fabrizio Giovanni Vaccaro

2Otto milioni di abitanti e una ricchezza stimata di quasi quaranta miliardi di dollari. Lo Stato Islamico di Iraq e Siria, o Daesh, o ISIS, è nato nel giugno 2014 per restare e oggi, a distanza di un anno, sembra poter riuscire nell’intento. Ma come ha fatto, nel giro di pochi anni, una piccola cellula terroristica a diventare una minaccia globale di tale portata? Prendendo spunto dall’ultimo reportage di Duilio Giammaria, presentato ieri sera nella trasmissione Petrolio su Rai 1, proveremo a dare delle risposte. E partiremo dalla Seconda Guerra del Golfo, in Iraq. La guerra lampo è avviata dagli Stati Uniti nel 2003 contro Saddam Hussein il quale, nel giro di pochi mesi, sarà destituito. Ma il conflitto vero è più lungo. La deposizione del Rais, infatti, insieme con la marginalizzazione dei suoi Abu Bakr al-Baghdadiuomini di etnia sunnita, darà luogo a una sanguinosissima guerra civile tra gli sciiti, sostenuti dagli americani e passati al potere, e gli stessi sunniti. Su questo canovaccio si inserirà anche la guerra santa, di matrice terrorista, combattuta da Al Qaeda contro l’invasore americano ed il governo sciita suo amico. E’ in questo contesto che, nella prigione militare americana di Camp Bucca, nel 2004, l’attuale califfo dello Stato Islamico, Abu Bakr al-Baghdadi, (nella foto a sin.) verrà imprigionato e detenuto per circa undici mesi. Ma, quando entra nel campo di detenzione, non è ancora un terrorista; è uno dei tanti imam che operano a Fallujah, roccaforte di sunniti e di qaedisti. E’ durante gli undici mesi di prigionia che Abu Bakr al-Baghdadi  verrà convertito all’ideologia di Al Qaeda, e stringerà lungimiranti rapporti con gli ufficiali sunniti dell’esercito di Saddam, anch’essi detenuti. Abu Bakr al-Baghdadi, insomma, uscirà dalla prigione come un soldato di Al Qaeda, subordinato all’autorità di Bin Laden. Negli anni combatterà la sua guerra santa con la violenza fino a quando, nel 2010, diventerà leader di una delle tante cellule del terrorismo iracheno: lo Stato Islamico dell’Iraq. Nel 2011, due fondamentali eventi per il futuro califfo. Il primo è che gli americani, sull’onda della propaganda anti-bellica di Obama, lasciano l’Iraq. Il secondo è che in Siria, sulla scia delle primavere arabe, scoppia la rivoluzione. Si tratta di errori colpevoli dell’Occidente, ma anche di incredibili congiunzioni astrali, che il futuro califfo Baghdadi saprà sfruttare. In Iraq gli americani lasciano una situazione bollente, con uno stato di matrice sciita ancora impreparato nella lotta alla ribellione sunnita.

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STORIA E CULTURA/ L’INFLUENZA DEGLI ARABI IN SICILIA

Un avvincente excursus dello storico augustano Ugo Passanisi

UGOLa popolazione siracusana assediata riusci a resistere nutrendosi di erbe selvatiche, di radici e di ossa triturate. La disperazione e la fame portarono anche a numerosi casi di cannibalismo. Infine i musulmani ebbero ragione della resistenza greca ed irruppero nella città. L’eccidio che ne seguì fu terribile e degno della fama che i Saraceni si erano guadagnata da secoli: le mura furono abbattute, le case, le chiese, i monasteri dati alle fiamme, migliaia di cittadini, scampati al massacro, furono spediti in Africa come schiavi. Le chiese sopravvissute alla distruzione furono trasformate in moschee e molti siracusani, per aver salva la vita, si convertirono all’Islam. Gli arabi, infine, completarono la conquista dell’Isola quando riuscirono ad impadronirsi di Catania, di Taormina e di Rometta, nel messinese, ultima roccaforte bizantina, nel 965. Dunque, per chiudere la partita con Costantinopoli c’erano voluti ben 138 anni di lotte violente e sanguinose. Ma, se lunga e faticosa era stata la conquista, molto più lunga fu la dominazione araba della Sicilia: dall’anno 827, data dello sbarco a Mazara, al 1091 quando, come vedremo, con la conquista di Noto da parte dei Normanni di Roberto il Guiscardo e di Ruggero d’Altavilla, la Sicilia dopo ben 264 anni di dominio musulmano rientrò definitivamente nell’orbita dell’Occidente cristianizzato. Con la conquista da parte degli Arabi si forma in Sicilia un Emirato, dipendente solo in modo formale dal califfato di Baghdad ma praticamente indipendente. I Musulmani , dopo  le depredazioni e le spoliazioni dei Romani, dopo l’estremo abbandono dei Bizantini e le devastazioni ed i massacri prodotti dal lungo conflitto, trovano una terra povera, desertificata, anche se ricca di risorse. Ma con i Saraceni comincia per la Sicilia una sorta di Rinascimento. L’Isola viene divisa dagli arabi in tre grandi distretti amministrativi: il Val di Mazara che comprendeva la parte centro-occidentale; il Val Demone, nella parte settentrionale ed il Val di Noto per la parte meridionale.

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UN EXCURSUS AVVINCENTE DELLO STORICO AUGUSTANO UGO PASSANISI

DA BISANZIO AI NORMANNI  (I p.)

normanni2AUGUSTA. Nel drammatico momento storico che stiamo attraversando in cui la sanguinaria violenza dell’autoproclamato Stato islamico dettata dall’odio per veri o presunti torti subìti, da antichi rancori, desiderio di vendetta e, soprattutto, dall’integralismo religioso, spaventa e impressiona duramente l’opinione pubblica, si risvegliano ovunque in Europa ataviche paure e forti sentimenti anti-islamici, sentimenti oggi, forse più ancora che in passato, ampiamente condivisi da gran parte della società occidentale. Si aggiungono a questo stato di malcelata ostilità nei confronti del mondo musulmano il disagio e i timori alimentati dalla inarrestabile ondata migratoria proveniente dai Paesi del NordAfrica e del Medio-oriente che ha assunto ormai i caratteri di una vera e propria invasione di massa. In un contesto così conflittuale come quello presente, perciò, potrebbe apparire impopolare, se non inopportuna, la scelta di  un argomento che rivaluta non solo la storia ma anche, e soprattutto, i risvolti positivi della dominazione araba in Sicilia. In realtà non è così, poiché la storia non può tenere in conto le emozioni del momento: la storia è il fedele resoconto degli eventi e delle loro conseguenze così come sono avvenuti nel tempo, e merito e compito dello storico è la capacità di analizzarne gli effetti con la fredda imparzialità dovuta all’epoca storica in cui tali fatti si sono verificati senza lasciarsi fuorviare emotivamente nei propri giudizi da avvenimenti negativi come quelli attuali. Dico questo poiché i quasi tre secoli in cui la Sicilia fu dominata dai Musulmani furono senza alcun dubbio, dopo le inevitabili distruzioni e devastazioni causate dalla guerra di conquista, tra i più felici e positivi della storia della nostra terra, e certamente quelli in cui, come dice Leonardo Sciascia, si forma come in un crogiolo il carattere peculiare della nostra gente, con tutte le sue uniche e irripetibili caratteristiche: quelli in cui gli abitanti della Sicilia che fino a quel momento erano stati sicani, siculi e poi greci, fenici, romani, e greco-bizantini acquistano coscienza della propria identità e divengono finalmente “siciliani”.

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LA VITA DI MORATTI E LA STORIA VERA DELLA NASCITA DELLA RASIOM

rasiomAngelo Moratti,  da operaio in una fabbrica di maniglie d’ottone ai vertici dell’industria italiana – Una ricostruzione di Giorgio Càsole senza pregiudizi,  senza la lente deformante del presente

corriere diAugustaA come Albino, A come Angelo, A come Augusta.  La triplicazione della lettera A caratterizza la vita di un pioniere dell’industria petrolifera italiana,  il varesino Moratti Angelo,  non dimenticato presidente dell’Inter.

 Nascita e infanzia

 A come Angelo, appunto, nato a Somma Lombardo, in provincia di Varese, agli albori del Novecento (5 novembre 1909) dal farmacista Albino – ecco la prima A – che a Somma esercitava la sua attività,  prima di trasferirsi a Milano per gestire una farmacia in  quella Piazza Fontana destinata a diventare tristemente famosa per la strage  nella Banca dell’Agricoltura, a causa di un attacco   terroristico il 12 dicembre 1969, il primo di una stagione ormai storicamente definita come “strategia della tensione”. Sfortuna vuole che, ad appena otto anni,  Angelo rimanga orfano della madre, Gilda Basso. La nuova moglie del padre si rivela una matrigna, come nelle classiche fiabe, o come matrigna intollerabile  è avvertita dal piccolo Angelo che,  conseguito il diploma di licenza elementare,   in evidente contrasto con il padre, prende la sorprendente decisione di non proseguire gli studi e non seguire le orme paterne. La scelta rivela il carattere deciso di Moratti  che, pur così piccolo,  non esita a chiedere e ottenere di lavorare  da operaio, come un piccolo martinitt,   in una fabbrica di maniglie d’ottone. Ribellione al padre e comunque insofferenza verso la nuova condizione familiare, desiderio di indipendenza, non sono disgiunti dalla consapevolezza che, se si vuole affermare,  occorre istruirsi di più. Angelo di giorno lavora, ma di sera frequenta i corsi per conseguire il diploma del triennio di scuola secondaria.   Conseguito regolarmente il diploma, a  quattordici anni, prende un’altra decisione che rivela il suo carattere fiero, contraddistinto da spirito di indipendenza.

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