LA VALORIZZAZIONE DELLE DONNE CORRISPONDE A MAGGIORE EFFICIENZA E CRESCITA ECONOMICA – di Cecilia Càsole

ceciliaGli studiosi cominciano a prendere coscienza che la valorizzazione delle donne corrisponde a maggiore efficienza e crescita economica, formulando il termine womenomics (econodonne). La womenomics è stata diffusa da Kathy Matsui, analista del  Goldman Sachs [1], la quale nel 1999, quando era già mamma-lavoratrice, scrisse le sue teorie sui vantaggi che avrebbe l’intera economia se si incoraggiasse il lavoro delle donne. La Matsui trasse ispirazione dalla crisi economica in cui versava il Giappone in quegli anni, come l’Italia oggi: scarsa occupazione e bassissima presenza nei ruoli direttivi delle donne. L‘Italia, come abbiamo avuto modo sottolineare, sotto il profilo delle politiche paritarie, è in Europa uno dei paesi più arretrati per ciò che riguarda l‘occupazione femminile, le forme segregazione verticale sia nelle imprese che in politica, e le disparità di trattamento retributivo. A proposito di parità e retribuzione,  nel paragrafo successivo, sara` riferito un caso importante caso, un caso  che ha dato luogo a importanti interventi legislativi da parte della Comunità europea, in tema di pari opportunità.

Il caso Defrenne –  Nel 1976 Gabrielle Defrenne, hostess della compagnia aerea belga Sabena corre in giudizio contro la Compagnia, sostenendo di avere subito una discriminazione in fatto di retribuzione rispetto a  colleghi di sesso maschile. Nella causa in esame, la Corte è chiamata a pronunciarsi in merito all’ interpretazione dell’art. 119 del Trattato CEE disciplinante il principio di pari retribuzioni per entrambi i sessi che svolgono la medesima mansione lavorativa. Nella causa in esame venivano sollevate due questioni : 1)  introduzione diretta dell’art. 119 nell’ordinamento interno di ciascun stato membro; 2) applicazione dell’art. 119 nel diritto interno degli Stati membri in forza di atti adottati da organi della CEE o ammissione della competenza nazionale in materia? La sentenza stabilì che la prima questione andasse risolta “ nel senso che il principio della parità di retribuzione , di cui all’art. 119 , può essere fatto valere dinanzi ai giudici nazionali e che questi devono garantire la tutela dei diritti che detta disposizione attribuisce ai singoli, in particolare nel caso di discriminazioni che traggono direttamente origine da norme di legge o da contratti collettivi di lavoro, come pure nel caso di retribuzione diversa di lavoratori di sesso femminile e di lavoratori di sesso maschile per lo stesso lavoro, qualora questo venga svolto nella stessa azienda o ufficio, privato o pubblico.” Sulla seconda questione la Corte si pronunciò nel seguente mondo: “ L’applicazione dell’art. 119 deve essere pienamente garantita dai vecchi stati membri a partire dal 1° gennaio 1962, inizio della seconda tappa del periodo transitorio, e dai nuovi stati membri a partire dal 1° gennaio, data in entrata in vigore del trattato d’adesione … ”. Nel dispositivo la Corte dichiara che: – Il principio della parità di retribuzione può essere fatto valere dinanzi ai giudici e questi sono obbligati a rispettare la tutela dei diritti prevista dalla disposizione in esame, soprattutto nel caso in cui vi sia stato un trattamento retributivo differente in capo a soggetti di sesso differente che tuttavia svolgono lo stesso lavoro nella stessa azienda o ufficio sia pubblico che privato, e quando il caso di discriminazione trae origine da norme di legge o contratti collettivi di lavoro. – La direttiva del Consiglio n. 75/117 sul “ ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative all’applicazione del principio della parità delle retribuzioni tra i lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile”.  – Non osta all’efficacia diretta dell’art. 119 e il termine stabilito dalla direttiva non influiscono sui termini fissati dall’art. 119 del Trattato CEE. – “ Nemmeno nei campi in cui l’art. 119 non ha efficaci diretta, detta disposizione può essere interpretata nel senso che essa riservi al legislatore nazionale la competenza esclusiva per l’attuazione del principio della parità di retribuzione, dato che tale attuazione può risultare, in quanto occorra, dalla concomitanza di norme comunitarie nazionali”. – L’efficacia diretta dell’art. 119 non può essere fatta valere per rivendicazioni che riguardino periodi antecedenti alla sentenza, se non nel caso in cui i lavoratori abbiamo già fatto un’azione giudiziaria equipollente. – Per contrastare le numerosi discriminazioni di cui è vittima la donna soprattutto nel settore del lavorativo, oltre alla direttiva 75/117, sono state introdotte ulteriori direttive  nella politica sociale europea riguardanti l’accesso all’occupazione, la protezione alla maternità, sicurezza sociale: – la direttiva 2002/113/Ce introduceva il divieto di discriminazioni fondate sul genere nei contratti di scambio di beni e servizi; – la direttiva  2006/54/Ce riforma la disciplina delle discriminazioni fondare sul genere nei rapporti di lavoro; – infine,  la direttiva del 2010/41/UE stabilisce l’applicazione del principio della parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un’attività autonoma. Dopo il caso Defrenne, ha ribadito il principio della parità dei sessi in materia di retribuzione, ma ha anche riconosciuto che le regole generali in materia di condizioni di lavoro diverse sono di competenza degli stati membri, i quali applicano norme nazionali nel rispetto di vincoli internazionali eventualmente assunti. Il significato ruolo svolto dalla Comunità europea, oggi UE, per l’introduzione di nuove forme di tutela nei confronti della donne si è concretizzato con l’approvazione della Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna ( dell’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite del dicembre 1979 – legge 14 marzo 1985, n. 132). La Convenzione è stata adottata in virtù della considerazione da parte degli Stati aderenti che, nonostante l’esistenza di numerosi strumenti atti a eliminare forme di discriminazione fra donne uomini,  continuavano a trattare le donne come  oggetto di gravi discriminazioni.  Il diverso trattamento nei confronti della donna vìola di fatto i princìpi dell’eguaglianza dei diritti e del rispetto della dignità dell’uomo, ostacola la partecipazione della donna alle stesse condizioni dell’uomo alla vita politica, sociale ed economica del Paese. L’Assemblea, così, riconosceva l’importanza del contributo delle donne al benessere della famiglia e al progresso della società. In particolare, per ciò che riguarda l’accesso alle cariche pubbliche,  l’articolo 7 della Convenzione dispone che “Gli Stati parti prendono ogni misura adeguata a eliminare la discriminazione nei confronti delle donne nella vita politica e pubblica del Paese, e in particolare, assicurano loro, in condizioni di parità con gli uomini, il diritto:di votare in tutte le elezioni e in tutti i referendum pubblici e di essere eleggibili in tutti gli organi pubblicamente eletti;di prendere parte all’elaborazione della politica dello Stato e alla sua esecuzione, di occupare gli impieghi pubblici e di esercitare tutte le funzioni pubbliche a ogni livello di governo:di partecipare alle organizzazioni e associazioni non governative che si occupano della vita pubblica e politica del paese. L’articolo 8 stabilisce, altresì, che “ gli Stati parti prendono ogni misura adeguata affinché le donne, in condizione di parità con gli uomini e senza discriminazione alcuna, abbiano la possibilità di rappresentare i loro governi a livello internazionale e di partecipare ai lavori delle organizzazioni internazionali. Il 15 ottobre del 1999, in aggiunta alla Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, è stato redatto dall’ Assemblea Generale delle Nazioni Unite il Protocollo facoltativo alla Convenzione. Esso ha istituito il Comitato sull’ Eliminazione della Discriminazione nei confronti delle Donne,  organismo specializzato nella tutela dei diritti della donna

Gender mainstreaming – Nel corso degli anni Novanta, la politica di pari opportunità compie un altro passo in avanti: l’ Unione Europea, con il trattato di Amsterdam ( 1997)  riconosce il gender mainstreaming. Si tratta di una strategia che permette la sistematica e puntuale realizzazione delle pari opportunità in tutte le politiche comunitarie. E’ un concetto innovativo giacché presuppone l’adozione di una prospettiva di genere da parte di tutti gli attori dell’arena politica comunitaria. Il principio impone che “ le autorità pubbliche, prima di procedere all’assunzione di una data misura , valutino l’eventuale effetto discriminatorio che essa possa determinare, mirando così a evitare conseguenze negative e a migliorare la qualità e l’incisività delle proprie politiche”.[4] Nel trattato di Amsterdam  del 1997 , la questione egualitaria, subisce il passaggio da un livello di dubbio riconoscimento a un livello di normazione chiara ed esaustiva che si evince dagli articoli seguenti: – l’art. 2 colloca la parità tra uomini e donne tra i compiti della Comunità; – l’art. 3 c. 2 proclamail carattere strategico dell’obiettivo dell’eliminazione delle ineguaglianze e della promozione della parità tra uomini e donne; – l’art. 12 disciplina il divieto di discriminazioni in base alla nazionalità; – l’art. 13 impone il divieto di discriminazione per sesso, razza, etnia, orientamento sessuale, opinioni personali ecc.; – l’art. 137 obbliga la Comunità a “ sostenere e completare l’azione degli Stati membri” nel campo della “ parità tra uomini e donne per quanto riguarda le opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro”; – l’art. 141 ribadiva la parità di trattamento riprendendo l’art. 119 del Trattato di Roma introducendo una “clausola di salvaguardia” per le azioni positive adottate dagli Stati membri e prevedendo la possibilità di adottare con provvedimenti comunitari “misure che assicurino l’applicazione del principio di pari opportunità”. Nel trattato di Lisbona, firmato nel 2007, la questione egualitaria sembra attenuarsi, e si perde nei tanti obiettivi perseguiti dall’Unione Europea. La questione dell’uguaglianza è affrontata in maniera molto generica  nell’ art. 2 : “ l’Unione Europea combatte l’esclusione sociale e le discriminazioni e promuove la giustizia e le protezioni sociali, la parità tra donne e uomini , la solidarietà tra le generazioni e nell’art. 21 Trattato di Lisbona: “ l’azione dell’Unione sulla scena internazionale si fonda sui principi che ne hanno informato la creazione, lo sviluppo e l’allargamento  e che essa si prefigge di promuovere nel resto del mondo: democrazia, Stato di diritto, universalità e indivisibilità dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, rispetto della dignità umana, principi di uguaglianza e di solidarietà e rispetto dei principi della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale”.

 La globalizzazione e la flessicurezza – Il noto fenomeno della globalizzazione ha investito diversi settori della società, in modo particolare ha regolato nuove forme di mercato nel mondo del lavoro. La legislazione in materia di globalizzazione ha dato vita al concetto di flessicurezza. Con la nozione di flessicurezza si uniscono i due termini flessibilità e sicurezza, nel senso di strategia che mira a realizzare i seguenti punti: – stabilire un mercato meno rigido, mantenendo alti livelli di qualità e sicurezza; – favorire l’occupazione, soprattutto dei soggetti “deboli”; – consentire il connubio tra dimensione lavorativa e vita privata; – promuovere, nell’ambito delle politiche di genere, l’occupazione di qualità alla pari tra uomini e donne. L’attuazione di programmi politici inerenti alla parità dei sessi rileva l’attualità della problematica.

Per qualche tempo l’Europa ha soprasseduto a una cultura che vedeva la donna preposta all’assolvimento dei doveri domestici finché l’alto grado di istruzione acquisito dalle donne nel corso del tempo ha imposto un cambiamento di rotta, non potendo più fare leva sull’ignoranza delle stesse. L’Unione Europea, si è dunque mossa verso la costruzione di piattaforme d’azione alle quali gli Stati membri devono conformarsi, adottando politiche volte alla rimozione degli ostacoli alla parità di genere. Con la Piattaforma d’Azione di Pechino nel 1995 fu formulato un “ approccio unitario per assicurare il pieno godimento di diritti umani e delle libertà fondamentali delle donne…”.  Ovviamente, nel corso degli anni, grazie alla pressione di gruppi femministi , che hanno fatto della lotta all’emancipazione quasi una ragione di vita, sono stati attuati numerosi interventi di riforma, che hanno sicuramente la partecipazione delle donne nella politica del Paese e il divario rispetto agli altri Paesi Europei sembra confermarlo. Dall ‘“Uniòn Interparlamentaria” è stato possibile rilevare i seguenti dati riguardanti la partecipazione politica femminile in Europa, e in particolare la crescita o decrescita in termini percentuali nel corso degli anni che vanno dal 2003 al 2013. Nel grafico è possibile notare come l’Italia si piazza nella media in termini di partecipazione, e il Paese che si colloca all’ultimo posto è l’Ungheria (grafico 3).  Tuttavia, la legislazione europea, ha ritenuto dover intervenire in maniera più incisiva nei temi sulla parità. Un principio di uguaglianza che rimane astratto, decontestualizzato, e puramente teorico non è sufficiente a garantire la concreta parità di trattamento fra uomo e donna. Per tale ragione è stata stilata la strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015, la quale prevede nuove priorità in materia di parità tra uomini e donne al fine di migliorare la posizione delle donne nel mercato del lavoro, nella società e nelle posizioni decisionali, tanto nell’Unione europea quanto nel resto del mondo. La strategia costituisce il punto di riferimento per la cooperazione fra la Commissione, le altre istituzioni europee, gli Stati membri e le altre parti interessate, nel quadro del patto europeo per la parità di genere. La strategia Europa 2020 ha imposto l’obiettivo di raggiungere un  tasso di occupazione del 75% e va estesa alle donne con i tassi di occupazione più bassi. Per rispondere ai suddetti programmi di azione, la Commissione ha il compito di agevolare la parità nell’ambito della strategia Europa 2020 e dei finanziamenti dell’UE; incoraggiare il lavoro autonomo e l’imprenditorialità femminile; valutare i diritti dei lavoratori in materia di congedo per motivi di famiglia; riferire sui risultati ottenuti dagli Stati membri per quanto riguarda le strutture di assistenza per l’infanzia ecc … Inoltre, per contribuire a sradicare le disparità retributive la Commissione deve, inoltre, esplorare con le parti sociali le possibilità di migliorare la trasparenza delle retribuzioni; sostenere le iniziative per la parità retributiva sul posto di lavoro come marchi, incoraggiare le donne a scegliere professioni «non tradizionali», per esempio in settori verdi e innovativi e così via. Com’è stato più volte sottolineato nel corso di questo lavoro le donne sono sottorappresentate nei processi decisionali, sia nei parlamenti e governi nazionali sia nei consigli di direzione di grandi imprese pur essendo la metà della forza lavoro. Per questa ragione la Commissione si è assunta l’impegno di: – monitorare i progressi in particolare nel settore della ricerca, con un obiettivo del 25% di donne in posizioni direttive di alto livello; – favorire l’aumento del numero di donne nei comitati e gruppi di esperti istituiti dalla Commissione, con un obiettivo di almeno il 40% di donne; – promuovere una maggiore partecipazione delle donne alle elezioni al Parlamento europeo.

    Cecilia Càsole

LA VALORIZZAZIONE DELLE DONNE CORRISPONDE A MAGGIORE EFFICIENZA E CRESCITA ECONOMICA – di Cecilia Càsoleultima modifica: 2015-05-20T09:45:52+02:00da leodar1
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