In Siria, invece, nella speranza di far saltare l’ultimo dittatore scomodo, Bashar al-Assad, l’Occidente appoggia senza riserve i ribelli. Il tutto senza accorgersi delle inquietanti venature islamiste che la rivolta va via via assumendo. E così, a beneficiare dei cospicui aiuti degli americani, non saranno più tanto i ribelli per la libertà e la democrazia, ma le milizie qaediste di al-Nusra. Al-Baghdadi fiuta l’occasione e trasferisce il gruppo Stato Islamico nel calderone siriano, con l’impegno ufficiale di combattere contro il dittatore al-Assad, ma la speranza concreta di beneficiare del caos. Si stanzia a Raqqa. Nel giro di un anno la conquista. La battaglia contro Assad lascia il posto all’imposizione, nei territori conquistati, della Shari’a, la legge islamica derivante da una rigidissima interpretazione del Corano. Lo Stato Islamico occupa sempre più territori e, nel Febbraio 2014, arriverà a disporre di ricchezze senza precedenti per una organizzazione terroristica, forte dei pozzi petroliferi conquistati, del contrabbando e, forse, degli aiuti internazionali. Si affranca ufficialmente dall’organizzazione Al Qaeda e lancia il suo sguardo verso l’Iraq. Dall’amicizia tra al-Baghdadi e i ranghi dell’esercito di Saddam Hussein nasce un’alleanza strategica contro la Repubblica d’Iraq. Grazie a questa mossa, nel Giugno 2014, poche migliaia di miliziani dello Stato Islamico riusciranno a mettere in fuga cinquantamila soldati dell’esercito regolare iracheno armati fino ai denti. Mosul, la seconda città dell’Iraq, è conquistata e il salto di qualità è totale. Con la presa di Mosul, infatti, è conquistato anche un arsenale militare da tre miliardi di dollari, e vengono svuotate le casse da quattrocentocinquanta milioni di dollari della Banca Centrale Irachena. Il 4 Luglio al-Baghdadi proclamerà al mondo, dal pulpito della Grande Moschea della città, la nascita del Daesh, sotto le forme di un califfato che avrà lui stesso come califfo, capo politico della comunità musulmana. Con lo sconfinamento in Iraq, il califfato si è assicurato ulteriori ricchezze provenienti dai locali pozzi petroliferi. Al Qaeda, con la quale l’ISIS è anche entrato in conflitto ideologico, è stata completamente surclassata. Grazie al sapiente uso della propaganda digitale, alla divulgazione di video e documenti volti a terrorizzare l’Occidente e al tempo stesso suggestionare nuove reclute, si è creato un franchising multinazionale del terrore. A oggi gruppi terroristi islamisti di 13 Paesi diversi hanno giurato fedeltà al califfo per apparirne sotto la bandiera. E, si calcola, i foreign fighters, i volontari provenienti da tutto il mondo per arruolarsi tra le fila del califfo, sono più di venticinquemila. Ma, nelle ultime settimane, la continua espansione territoriale del califfato sembra essersi arrestata, grazie all’azione delle forze di terra dell’esercito regolare iracheno, dell’Iran e dei peshmerga curdi, supportata dai raid aerei della coalizione di Parigi, sorta all’indomani dell’attentato di Charlie Hebdo. Secondo fonti locali, addirittura, saremmo vicini a una controffensiva su Mosul. Tuttavia è innegabile che lo Stato Islamico abbia risorse sufficienti, economiche e belliche, per resistere a lungo. Ancora di più se la Comunità Internazionale non si dimostrerà unita e risoluta, e se paesi come l’Arabia Saudita e la Turchia non prenderanno posizioni chiare e definite. Considerati i quotidiani crimini cui assistiamo nei territori governati dal califfo, la responsabilità di Occidente e paesi arabi è molto alta, e puntare sul semplice logoramento interno, per svariati motivi, potrebbe non essere la scelta giusta.
Fabrizio Giovanni Vaccaro