Angelo Moratti, da operaio in una fabbrica di maniglie d’ottone ai vertici dell’industria italiana – Una ricostruzione di Giorgio Càsole senza pregiudizi, senza la lente deformante del presente
A come Albino, A come Angelo, A come Augusta. La triplicazione della lettera A caratterizza la vita di un pioniere dell’industria petrolifera italiana, il varesino Moratti Angelo, non dimenticato presidente dell’Inter.
Nascita e infanzia
A come Angelo, appunto, nato a Somma Lombardo, in provincia di Varese, agli albori del Novecento (5 novembre 1909) dal farmacista Albino – ecco la prima A – che a Somma esercitava la sua attività, prima di trasferirsi a Milano per gestire una farmacia in quella Piazza Fontana destinata a diventare tristemente famosa per la strage nella Banca dell’Agricoltura, a causa di un attacco terroristico il 12 dicembre 1969, il primo di una stagione ormai storicamente definita come “strategia della tensione”. Sfortuna vuole che, ad appena otto anni, Angelo rimanga orfano della madre, Gilda Basso. La nuova moglie del padre si rivela una matrigna, come nelle classiche fiabe, o come matrigna intollerabile è avvertita dal piccolo Angelo che, conseguito il diploma di licenza elementare, in evidente contrasto con il padre, prende la sorprendente decisione di non proseguire gli studi e non seguire le orme paterne. La scelta rivela il carattere deciso di Moratti che, pur così piccolo, non esita a chiedere e ottenere di lavorare da operaio, come un piccolo martinitt, in una fabbrica di maniglie d’ottone. Ribellione al padre e comunque insofferenza verso la nuova condizione familiare, desiderio di indipendenza, non sono disgiunti dalla consapevolezza che, se si vuole affermare, occorre istruirsi di più. Angelo di giorno lavora, ma di sera frequenta i corsi per conseguire il diploma del triennio di scuola secondaria. Conseguito regolarmente il diploma, a quattordici anni, prende un’altra decisione che rivela il suo carattere fiero, contraddistinto da spirito di indipendenza.
Vuole recidere non solo il legame con la famiglia, ma anche con la terra natia. Vuole lasciare l’Italia per emigrare come tanti italiani. Vuole correre l’avventura americana e tentare di raggiungere il successo. Il destino, però, ancora una volta si mette di traverso, ma questa volta non produce effetti negativi. Anzi. Angelo s’imbatte casualmente nell’ annuncio di un’azienda meneghina che distribuisce prodotti idrocarburici, si presenta al colloquio, viene scelto fra molti candidati e diventa, così giovane, rappresentante di combustibili e lubrificanti. Non va in America, ma già Angelo sembra avviarsi verso la strada del self- made- man. Il mercato del petrolio in Italia è dominato da due multinazionali , la statunitense Standard Oil dello Stato del New Jersey e l’olandese Royal Dutch Shell . Nel 1926 nasce l’AGIP, acronimo di Agenzia Generale Italiana Petroli. Moratti ha fiuto, il fiuto che lo porterà al successo. Capisce che il momento è propizio per la diffusione dei prodotti petroliferi e con lungimiranza, la lungimiranza di chi riesce a far la fortuna propria e degli altri, nel 1927 decide di mettersi in proprio, sfruttando un piccolo filone trascurato dai grandi distributori.
A Civitavecchia
Lasciata Milano, si trova a Civitavecchia per svolgere il servizio militare, si rende conto che può rifornire di petrolio i pescatori locali per alimentare le lampare delle barche e mette su una piccola rete di distribuzione che funziona a fasi alterne, cioè durante i periodi di licenza dal servizio militare. Tanto gli basta. E’ ancora giovane. E la fortuna aiuta coloro che osano (Audentes fortuna iuvat, dicevano i Romani). L’idea funziona e produce utili, tanto che Moratti riesce a estendere la sua attività in Toscana e in Sardegna, segnatamente nel porto di Olbia. Forte del successo dell’iniziativa, dopo il congedo, si stabilisce a Civitavecchia e mette la propria piccola rete di distribuzione al servizio della Permolio, società anonima permanete olio, che, nella prima metà degli anni Trenta del Novecento, può essere considerata la maggiore impresa italiana nel campo della raffinazione, con tre raffinerie a Milano, Genova, Roma.
A Roma
L’accordo con la Permolio non dura a lungo, troppo forte è lo spirito imprenditoriale di Moratti che non tollera le briglie al collo. Nel 1933, a ventiquattr’anni, Angelo sposa Erminia Cremonesi, lascia la Permolio e Civitavecchia e si trasferisce non lontano, a Roma. Il soggiorno romano dura appena due anni, durante i quali gestisce una società omologa a quella di Civitavecchia, la Petrocargom, innovativa nel campo dello stoccaggio dei prodotti. Nel 1935, a ventisei anni, l’età in cui sarebbe potuto diventare farmacista come e con il padre, Moratti decide che deve cambiare ancora approdo e si trasferisce a Genova, il cui grande porto è il maggiore scalo per il greggio importato da Stati Uniti e Venezuela e per i prodotti raffinati. Anche se nella città ligure intesse relazioni e stringe rapporti con industriali e finanzieri (che gli saranno comunque utili in séguito), dopo altri due anni, ancora irrequieto, decide di cambiare destinazione per sé e la famiglia, che già conta due figli, Adriana e Gianmarco.
Rientra a Milano.
Rientra a Milano. L’Italia fascista conosce l’autarchia: non si può importare né esportare. Bisogna far da sé, sfruttando l’antica arte italiana d’arrangiarsi: anziché con il cuoio le scarpe si fanno con il cartone compresso (con cui saranno confezionati anche gli scarponi per la campagna di Russia, che decimerà l’esercito italiano). Si ritorna a far bollire le ossa degli animali per ottenerne sapone. Il coniglio è utilizzato per ricavarne pelliccia. Al posto del tè è utilizzato il carcadè, il caffè , poiché non si possono importare i semi o chicchi diventa surrogato di caffè perché si usa la cicoria. Al posto del carbone la lignite, chiamata anche “carbone giovane”, diffusa in quasi tutta l’Umbria. Il regìme autarchico non risparmia i prodotti petroliferi, la cui importazione viene fortemente limitata e non potendo esportare, fra l’altro, il vino, vengono ideati motori che funzionano ad alcol.
La Somintra
Lungimirante ancora una volta, Moratti diviene socio di un’azienda , la Somintra o SMT (sigla di Società mineraria del Trasimeno), nata per sfruttare l’estrazione di lignite di una miniera umbra in località Pietrafitta, Frazione amministrativa del comune di Piegaro, in provincia di Perugia. Ancora una volta irrequieto, insofferente del condizionamento altrui, Moratti, nel breve volgere di tempo, ne diviene il padrone, facendola diventare durante gli anni della guerra il perno delle sue attività, la cui sede rimane a Milano, nonostante le difficoltà di collegamento. In quei terribili anni di guerra, Moratti, con la collaborazione del ragioniere Pantaleone Poggio, porta la piena occupazione in miniera, e, dopo la caduta di Mussolini, nel luglio 1943, e della rottura dell’alleanza con il Nazismo, evita a molti lavoratori della zona la deportazione in Germania, gonfiando fittiziamente i numeri della manodopera occupata in miniera. Forse anche per questa ragione, nell’immediato dopoguerra, evita da parte dei lavoratori l’esproprio della miniera che i tedeschi volutamente danneggiano nel 1944, come fanno nel resto d’Italia da loro occupata , sabotando tutto ciò che possono e uccidendo uomini e donne, durante la loro ritirata verso la Germania. Nonostante i gravi danni provocati dal sabotaggio tedesco, per evitare l’esproprio e per evitare licenziamenti, promette la costruzione di una fabbrica di mattoni e di una per produrre vetri. Mantiene la promessa in tempi brevi. Promette anche la costruzione di una moderna centrale termoelettrica, da realizzare grazie a un progetto innovativo, acquistato dalla Siemens. Il progetto presuppone un forte impegno finanziario che Moratti non può affrontare con le sue sole forze. E’ costretto a cercare investitori e, finalmente, entra in società con l’ingegner Carlo Pesenti, dell’Italcementi di Bergamo.
La Moratti-Pesenti
La società Moratti-Pesenti riesce nell’intento solo nel 1955, quando la centrale di Pietrafitta entra in funzione. La nuova società gestisce la centrale solo per otto anni. Nel 1963 la cede all’ ENEL, Ente Nazionale per l’energia Elettrica, grazie al quale vengono nazionalizzate tutte le aziende private che, nelle regioni d’Italia, gestiscono la distribuzione dell’energia elettrica. Finita la guerra, Moratti ritorna all’attività che gli ha dato grande soddisfazione: il commercio e la distribuzione degli olii lubrificanti per veicoli. Diviene agente generale per l’Italia d’un’azienda statunitense produttrice di olio per autotrazione con il marchio Valvoline e ha modo di avere rapporti con il cremonese Vincenzo Cazzaniga, un importante personaggio nel campo del settore petrolchimico, il quale, nel 1945, è nominato Commissario straordinario per gli oli minerale e carburanti dal Comitato di Liberazione Nazionale. Cazzaniga, che da giovane è stato venditore per conto dell’americana Standard Oil, nel 1948 diviene dirigente della Esso (acronimo di Eastern States, Standard Oil– società nata dalla frammentazione della Standard Oil del New Jersey, fondata da John D. Rockefeller; negli USA la Esso è stata ribattezzata Exxon, oggi parte della ExxonMobil; in Europa e in alcuni stati degli USA il marchio Esso è rimasto).
1948, un’idea temeraria
Il 1948 è l’anno in cui Angelo Moratti invia una lunga relazione di geopolitica al senatore democristiano Enrico Falck, industriale lombardo, presidente delle famose Acciaierie Falck, per convincerlo a far parte di una nuova società per la raffinazione del greggio. L’abbiamo detto: Moratti ha fiuto, intuito. Lo scacchiere medio-orientale è turbolento, non dà sicurezza; Angelo teme che i Paesi produttori del greggio possano nazionalizzare le imprese straniere, si rende conto della felice posizione intermedia dell’Italia, al centro del Mediterraneo, in modo da poter “ smistare i prodotti petroliferi in tutto il Mediterraneo, nell’Europa del Nord e (perché no?) negli Stati Uniti d’America”, ricorda il figlio Gianmarco Moratti in un’intervista rilasciata a Salvatore Maiorca nel libro Esso italiana raffineria di Augusta, Avola, Arnaldo Lombardi Editore, 2000, p. 107. Moratti, dunque, pensa diversamente. Pensa in grande. Non è più tempo di concorrere con le grandi industrie sul piano della distribuzione, non è possibile puntare sull’attività di ricerca e di estrazione. Bisogna guardare avanti, essere, appunto, lungimiranti. Costruire una raffineria al servizio delle grandi società europee e americane, sulla linea Suez-Gibilterra, appare un’idea temeraria, addirittura rivoluzionaria; successivamente sarà definita “storica”, come tutte le idee che, in un primo tempo, appaiono insostenibili, ma poi si concretizzano nel successo.
L’impresa è veramente ardua, potremmo dire titanica, per l’ancor giovane Moratti che, come tutti i veri capitani di industria, nelle difficoltà trova alimento per continuare, nella sfida a superare gli ostacoli rinnova la propria energia.
Costruire una raffineria? Come? dove?
Costruire una raffineria? Come? dove? Ma per poterla fare funzionare occorrono i clienti. Prima di mettersi in moto, Moratti cerca, appunto, i clienti e si rivolge all’amico Enrico Mattei, presidente dell’ENI (Ente nazionale idrocarburi), quel Mattei che avrebbe dovuto liquidare l’Agip voluta dal Fascismo, che, invece la potenzia, fonda l’ENI e diventa un pericoloso concorrente per le cosiddette Sette Sorelle, le compagnie che estraggono il petrolio nei Paesi produttori, perché vuole dare un aggio maggiore rispetto alle Sette sorelle e perché cerca il greggio in Italia (nel 1962 l’aereo dell’ENI che trasporta Mattei cade a Bescapé, vicino Milano, quasi sicuramente a causa di una bomba a tempo collocata nel velivolo). Mattei respinge l’offerta di Moratti, che si rivolge a un altro amico, Vincenzo Cazzaniga, il quale non ancora presidente della Esso e pur scettico come Mattei sulla possibilità dell’impresa, gli assicura che a raffineria costruita la Esso affitterà “ l’80 per cento della capacità” ( Cfr. G. Moratti in Esso, op. cit., p. 110). Assicurato il maggiore cliente, occorre pensare alla localizzazione della raffineria. Dopo aver vagliato alcuni siti, la scelta cade sulla Sicilia, caldeggiata da Luigi Sturzo, il sacerdote siciliano di Caltagirone, fondatore nel 1919 del Partito Popolare italiano e guida spirituale del partito della Democrazia Cristiana, fondato clandestinamente nel 1942. La Sicilia, per la sua posizione centrale nel Mediterraneo, rappresenta il luogo ideale per impiantare una raffineria ab imis fundamentis, anche perché la Regione Siciliana (questa la denominazione ufficiale), prima regione d’Italia a essere riconosciuta come ente territoriale autonomo, prevede provvidenze finanziarie per le industrie da realizzare, stante le enormi sacche di disoccupazione e gli ingenti danni provocati dalla guerra, la seconda guerra mondiale.
Augusta – la terza A- e la Rasiom
Non solo. Il costo della manodopera è fra i più bassi in Italia. Prima della guerra in Sicilia l’Agip ha cercato il petrolio nel territorio della provincia di Ragusa e, dopo l’interruzione dovuto al conflitto mondiale, la ricerca è ripresa dalla Gulf italiana. In particolare, la scelta del luogo dove impiantare la raffineria di greggio cade su Augusta, [ecco la terza A], cittadina della Sicilia sud orientale, che si trova sulla rotta del petrolio medio-orientale, che è dotata d’un’enorme baia riparata ed è sede di un’importante base militare; base che, con le sue installazioni e attrezzature (serbatoi, tubazioni, pontili) risulta preziosa per gli scopi della nuova società. Inoltre, nel sito individuato si presentano varie agevolazioni, dall’abbondanza e qualità dell’acqua alla facilità del movimento delle merci. La Società per azioni costituita, nel luglio 1948, da Moratti e da Falck a Palermo (dove ha la sede legale, mentre la direzione generale e commerciale è a Milano), viene denominata Rasiom, acronimo di Raffineria siciliana olii minerali, può contare su un ‘apertura di credito di un miliardo di lire del Banco di Sicilia, tesoreria della Regione Siciliana, che ha attivato una sezione per le industrie chimiche e della raffinazione, e può contare su una favorevolissima congiuntura: la svendita a basso costo d’un’intera raffineria (con una capacità di raffinazione di 450mila tonnellate annue) a Longview, nello stato nordamericano del Texas, cui pare siano interessati industriali cinesi. A ciò si può aggiungere il sostegno derivante dall’E.R.P., sigla di European Ricovery Program, meglio noto come Piano Marshall (dal nome del promotore, il segretario di Stato, George C. Marshall), con cui gli USA vengono finanziariamente in aiuto dei Paesi dell’Europa occidentale, specialmente Italia e Germania, per la loro ricostruzione dopo la guerra e per evitare che siano attratti dall’orbita d’influenza dell’Unione sovietica. Nel luglio ’48 il capitale iniziale è di dieci milioni di lire che diventeranno novantacinque già il 19 gennaio 1949 e addirittura cinquecento milioni il 21 novembre dello stesso anno. Con progressivi aumenti ogni anno, nel 1960 il capitale sociale sarà di otto miliardi di lire.
Dal Texas in Sicilia
Ad acquistare la raffineria, scoperta attraverso giornali americani del settore, Moratti invia il suo amministratore di fiducia, quel Pantaleone, detto Nino, Poggio, braccio destro alla Somintra, che, però, non riesce a recuperare i disegni originali della raffineria, la quale, seppur piccola e non più utile e conveniente secondo gli standard americani, è pur sempre un complesso di grandi dimensioni: per trasportare i pezzi occorrono venti vagoni ferroviari e un numero imprecisato di camion che compiono oltre duecentocinquanta volte il percorso da Longview fino a Houston. Qui, il 29 giugno 1949, il carico viene imbarcato sulla “Giacinta Fassio”, una nave mercantile della serie Liberty ship, navi per il trasporto merci costruite negli USA durante la II guerra mondiale, per essere spedito in Sicilia. Le difficoltà non sono né lievi né poche, comprese quelle burocratiche , tant’è che essendo la nave vicina alla costa del vecchio continente, non sono ancora pronti i permessi di importazione. Quando la “Fassio” fa scalo nel porto di Siracusa per sbarcare i pezzi della raffineria ad attenderla c’è il socio di Moratti, il senatore Falck, che, alla vista del carico, rimane sgomento per le condizioni: rottami! (Cfr. G. Moratti, Esso, op. cit. p. 109). E’ il mese di luglio del 1949. Non si capisce bene perché il porto di Siracusa e non quello di Augusta, anche perché per trasportare i pesanti e, a volte, troppo ingombranti “rottami”, su speciali autotreni, è necessario rinforzare strade e ponti o addirittura costruire ex novo un tratto di strada per consentire un agevole percorso dal molo di Siracusa, attraverso l’abitato di Priolo, per essere depositati in un’area di trentotto ettari di Punta Cugno “adiacente al torrente Marcellino, al di là del ponte” , chiamato dagli augustani della Peppa” (Cfr. G. Ippedico, La Rasiom e il progresso di Augusta, Fruciano, Augusta, 2001, p. 54). Si tratta d’un’area derivante dall’acquisto di terreni agricoli, nei pressi degli scavi archeologici dell’antica polis di Mègara Iblea, la cui necropoli viene parzialmente sacrificata per la nascente industria che dovrebbe riscattare dalla povertà secolare e dalla fame annosa i manovali, i braccianti, i salinari. Dai poveri cristi è costituita la manodopera della Rasiom, poveri cristi di Augusta e di Melilli, comune sui Monti Climiti, sul cui territorio ricadono alcuni impianti della raffineria. La manodopera locale è volenterosa, avvezza a lavorare al sole cocente, ad ammazzarsi di fatica dall’alba al tramonto, con un breve intervallo per mangiare olive, pane e cipolla, ma senza istruzione, Come si fa per assemblare i “rottami” di Longview, senza nemmeno i disegni originali di quella che era stata una raffineria dotata di laboratori chimici, di impianti di cracking (per la produzione di benzine e altri idrocarburi leggeri) e di topping (per il frazionamento del greggio mediante distillazione atmosferica), di stazioni di pompaggio e di serbatoi della capacità di 200 mila metri cubi? Sono necessari tecnici specializzati. Ancora una volta Moratti fa fronte con il suo spirito imprenditoriale. Nomina direttore della raffineria un tecnico meridionale in grado di poter dialogare con gli autoctoni, l’ingegner Santi Zuco , calabrese, con un’esperienza specifica nel settore: ha lavorato alla Romsa (Raffineria olii minerali società anonima) di Fiume in Istria (oggi in Croazia). Finita la guerra e ceduta quasi tutta l’Istria alla Jugoslavia, guidata dal maresciallo Tito, gli Italiani, anche dichiaratamente comunisti, sono sottoposti alla cosiddetta pulizia etnica: vengono perseguitati, espropriati di ogni avere, uccisi in massa e precipitati nelle foibe carsiche. Nel ricordo di quelle persecuzioni e di quei massacri sarà istituito in Italia, con una legge del 2004, “Il giorno del ricordo” da celebrare il 10 febbraio, a somiglianza del “Giorno della memoria”, il 27 gennaio, per ricordare la Shoah ebraica. Con l’arrivo degli uomini di Tito, i lavoratori italiani della Romsa sono confinati in una sorta di lager. Zuco si ricorda di loro e convince Moratti ad assumerli in blocco per far nascere e far funzionare la raffineria di Augusta. “Istriani e siciliani insieme” danno “risultati assolutamente straordinari”, superando “imprevisti e ostacoli d’ogni genere”, ricorda il figlio di Angelo, Gianmarco, tredicenne nel 1949. (Cfr. G. Moratti, Esso, op. cit. p. 109), il quale ricorda soltanto il risultato, raggiunto tuttavia non senza contrasti, talvolta anche forti, sia per la provenienza diversa, sia per la differenza di retribuzione, maggiore per gli specializzati del Nord, con l’aggiunta dell’indennità di missione.
Il Villaggio Rasiom come il Borgo Olivetti
Quando la raffineria entrerà a regìme e la Rasiom farà di Angelo Moratti il “primo petroliere privato d’Italia”, come orgogliosamente ricorda ancora Gianmarco (Esso, op. cit., p. 110), il milanese Moratti si ricorderà della lezione del fondatore piemontese della Olivetti, Camillo, che nel 1926 a Ivrea, aveva fatto costruire, nei pressi dell’azienda, case per i suoi dipendenti, tali che formarono un borgo chiamato Borgo Olivetti. Moratti, per i dipendenti originari di Fiume e di altre località, farà costruire, in un’area di prevedibile espansione di Augusta, fuori dell’isola, un nutrito gruppo di palazzine a due piani, (dodici per un totale di novantotto appartamenti) distanziate le une dalle altre con ampio parcheggio per le auto, circondate da un muro di recinzione, con un cancello centrale e con un enorme e altissimo serbatoio per l’acqua, su cui ancora si legge la scritta “Villaggio Rasiom”. Il “villaggio” per anni apparirà come una sorta di oasi pulita, asfaltata, quieta, senza gli schiamazzi e le grida dei bambini, senza nemmeno le voci dall’accento tradizionale, perché i residenti nel villaggio hanno un altro accento, usano le parole italiane, con un timbro che affascina adulti e minori e che, in un primo momento, viene scimmiottato e imitato. Fra gli ospiti del Villaggio Rasiom ci sono cognomi slavi come Tich, ma anche di origine veneta come Artusi, Fantin, Germanis o pugliese come Ippedico.
Cooperazione con la M.M.
Se la collaborazione fra tecnici specializzati e manodopera locale risulta proficua, pur tra contasti, per la realizzazione della prima raffineria siciliana, altrettanto proficua è la cooperazione fra gli uomini della Rasiom e gli uomini della Marina Militare. Gli accordi sono raggiunti attraverso un colloquio diretto fra il patron Moratti e l’ammiraglio Baroni, comandante di Marisicilia, che ha sede a Messina (dal 2002 la sede di Marisicilia è invece ad Augusta). Si stipula un contratto che appare conveniente per entrambe le parti: la Marina cede la metà dei ventidue serbatoi interrati nell’area di Punta Cugno, il cui pontile, forse più prezioso per la Rasiom che per la Marina, è destinato alla condivisione; cede le gallerie indispensabili per la funzionalità dei serbatoi e consente la “posa in opera in dette gallerie delle tubazioni occorrenti per far giungere i carburanti prodotti al pontile di Punta Cugno” (G. Ippedico, op. cit., p. 53); cede inoltre una sala pompe interrata “occorrente per l’imbarco a mezzo pompe termiche dei prodotti stoccati nel serbatoi del Cugno” (G. Ippedico, ivi). La Rasiom si accolla tutte le spese per il ripristino del pontile, di tutti i serbatoi, compresi gli undici rimasti alla Marina, di tutte le gallerie e di tutti i servizi considerati accessori, compresa la costruzione di una galleria lunga ottanta metri “per collegare la zona del Cugno con quella della fabbrica” (G. Ippedico, ivi); la Rasion, inoltre, costruisce gli oleodotti per “portare tutti i prodotti verso l’imbarco attraverso le gallerie, una sala pompe posta nella parte alta del Cugno, capace di trasferire il greggio scaricato dalle petroliere e sdoganato nei serbatoi di fabbrica adibiti al rifornimento degli impianti” (G. Ippedico, ivi).
La RASIOM “cosa nostra”
Si lavora alacremente e con entusiasmo, giorno e notte, per appianare tutte le asperità e montare tutti i “rottami” della obsoleta raffineria texana e farli diventare impianti funzionanti e funzionali della nuova raffineria siciliana o, meglio, augustana. Durante la fase iniziale, comprensibilmente alto è il numero degli incidenti, qualcuno anche mortale. La gente del luogo è elettrizzata per la nascita di questa prima vera industria, come quelle del nord, che può assorbire i trecento disoccupati di Augusta in quell’anno ’49, portare benessere a tutti, benessere materiale innanzitutto, e far rifiorire la città, che in questo momento sta attraversando la fase della ricostruzione dopo la guerra; vale la pena ricordare che sei anni prima, il 13 maggio del 1943, Augusta è stata praticamene rasa al suolo dai bombardamenti dei Liberators americani. Si registrano anche schermaglie da guerra fra poveri, cioè fra i due comuni di Augusta e Melilli che si battono perché la nuova promettente grande industria del Nord assorba il maggior numero possibile di operai di casa propria. Poiché, come abbiamo precisato, la Rasiom ha bisogno di spazi ricadenti nel territorio di Melilli, i melillesi reclamano una bella fetta di assunzioni, fanno la “voce grossa”, come si legge nell’editoriale del numero di aprile ’49 del periodico Corriere di Augusta, nel quale il direttore-editore Giuseppe Motta lamenta che Augusta, riguardo proprio alla questione occupazionale, “ha dovuto subire un’imposizione che menoma il diritto dei nostri lavoratori adusati ai lavori portuali e industriali per far posto a quelli di Melilli, che sono ottimi agricoltori”. Come dire: i lavoratori di Augusta sono in grado di poter lavorare in una raffineria, quelli di Melilli no. Il titolo, che può apparire minaccioso, dell’editoriale “La raffineria della Rasiom è cosa nostra” rivela l’orgoglio tutto paesano di ospitare la raffineria che è favorita dagli impianti della Marina Militare, la cui base è augustana. Osserva Motta: “Il caso ha voluto che su una lingua di terra del territorio di Melilli che s’incunea nel territorio di Augusta sono state eseguite delle esproprie (sic) ove sorgeranno alcuni fabbricati della RASIOM.” La Rasiom, il cui insediamento è stato annunciato nei numeri precedenti, è vista come una conquista per un territorio economicamente depresso, ancora segnato dalla piaga dell’emigrazione verso il continente americano e verso l’Australia. Motta nell’editoriale accenna ai “lavori industriali”. A quali industrie faccia riferimento non è dato sapere. “Augusta, prima della nascita della RASIOM… era un paese preindustriale [il corsivo è mio], i cui abitanti vivevano per lo più di agricoltura… di pesca… di piccoli traffici marittimi, dell’esercizio dei mestieri artigianali… di attività edilizia per la ricostruzione o la riparazione delle case distrutte o danneggiate dai bombardamenti subiti durante la guerra, di lavoro stagionale nelle saline”, ricorda Giovanni Satta nell’introduzione al libro di Giuseppe Ippedico “La Rasiom e il progresso di Augusta” (op. cit., p. 21).
Rasiom, “progresso di Augusta”
Ippedico, nativo di Ruvo di Puglia, morto ad Augusta nel 1994, può essere considerato uno dei funzionari di fiducia di Angelo Moratti [la pubblicazione, dunque è postuma] considera la presenza della Rasiom come un fattore di progresso per la città, dove risiede nella prima palazzina del Villaggio Rasiom. Con malcelato orgoglio osserva: “Si può affermare con assoluta sicurezza che la Ra.Si.O.M. nel sorgere ha ravvivato il simbolo dell’aquila megarese, facendole pescare dal suo mare monete d’oro”(op. cit. p. 71). Ne riconosce il merito a Angelo Moratti e alle maestranze autoctone e esterne, specializzate o no: “La zona industriale sorta nella Sicilia orientale dopo il 1953 ebbe la sua realizzazione solo per il coraggio dimostrato da chi per primo volle la nascita della RA.Si.O.M. e di chi contribuì a realizzarla apportando esperienza e lavoro”. (op. cit., p. 70). L’augustano Giovanni Satta, già preside del liceo scientifico cittadino “Andrea Saluta, curatore e prefatore del volumetto di Ippeddico, riconosce che “la nascita della RASIOM segnò il primo passo nello sviluppo economico della zona e contribuì al miglioramento del tenore di vita degli abitanti di Augusta e delle città circonvicine con la crescita del numero degli occupati, con la possibilità di trovare lavoro anche per i manovali almeno nei primi tempi dell’istallazione dello stabilimento, e di avere una paga continua, con l’istituzione di una linea di autobus per il trasporto degli operai e degli impiegati alla raffineria e viceversa…” (Rasiom, op. cit., p. 30). “La realizzazione che più di tutte ha inciso sull’economia e nella vita reale della città fu certamente la nascita della Rasiom, primo grande insediamento industriale nel Meridione” – osserva Giuseppe Marotta, sindaco in quegli anni, che si vanta d’aver suggerito l’ubicazione della raffineria: “Portammo l’idea dell’impianto di una raffineria nel porto di Augusta in occasione di una riunione di sindaci tenuta da prefetto in merito agli aiuti del Piano Marshall per la provincia” (Cfr. G. Marotta “Dopoguerra e ricostruzione” in Augusta, uomini e cose, a cura di Giorgio Càsole, Augusta, Mendola, 1974, pp. 41-42)
Aarikare, la prima petroliera
Passano dieci mesi e la difficile, complessa, fase di montaggio è completata. Il 5 agosto 1950, l’ormeggio al pontile di Punta Cugno della petroliera “Aarikare” – la prima e come tale il nome rimarrà negli annali –, che proviene dal Medioriente, con un carico di 16 mila tonnellate di greggio, sembra quasi un’apparizione epifanica, un segno del destino che ha già dato segnali benevoli per Moratti, Augusta e la Sicilia. Per propiziarsi il destino, qualcuno fa ricorso addirittura a un atto apotropaico, con radici nella cultura contadina che attribuisce valore scaramantico alla minzione di una prostituta su un oggetto o altro; prelevata da un lupanare cittadino, dietro un generoso compenso, una meretrice è indotta, quasi certamente davanti a un ristretto pubblico maschile, a “pisciare sulla pompa di alimentazione della torre di distillazione” (G. Ippedico, op. cit., p. 59). L’Aarikare scarica nei serbatoi interrati il greggio, la cui raffinazione, però, avviene solo alla fine del settembre dello stesso anno, perché la raffineria non è ancora operativa. Alcuni mesi dopo l’inizio dell’operatività, finalmente ma inutilmente, arrivano i disegni americani. Con la nascita della Rasiom prende l’avvio non solo il polo petrolchimico siracusano, che interesserà Augusta, Priolo e Melilli, ma l’industrializzazione dell’Isola. In quel momento tutto appare radioso. Il periodico cittadino Corriere di Augusta, nella prima pagina del n. 1 dell’aprime’49, dà la notizia della nascita della Rasiom con grande esultanza, con caratteri di scatola: “La industrializzazione ad Augusta”(occhiello), “La raffineria della Rasiom segnerà l’imponente [sic] principio dello sviluppo industriale nella nostra città” (titolo), “Un’area di trentotto ettari già occupata/Un grande scalo ferroviario e un grande gruppo di edifici sorgeranno nella zona” (catenaccio). Non si sospettano minimamente i guasti alla salute delle persone e dell’ambiente, che appariranno ben visibili alla fine degli anni Settanta e saranno giudiziariamente perseguiti dal pretore augustano Antonino Condorelli (Cfr. Giorgio Càsole, Augusta e Condorelli, 1978-1984 – gli anni della lotta all’inquinamento, alla corruzione e all’abusivismo, Siracusa, La Stampa, 2002).
I fatti danno ragione a Moratti
Nel settembre 1950 la Rasiom ha una capacità di 450 mila tonnellate annue di raffinazione del greggio. Negli anni successivi la capacità di raffinazione salirà a cinque milioni di tonnellate all’anno, non solo per le indubbie capacità di Moratti, che, dopo la morte di Falck nel 1951, diventa il padrone dell’impresa, ma, soprattutto, perché le grandi compagnie trovano conveniente far raffinare il greggio proprio dalla Rasiom, in sèguito alla nazionalizzazione della grande raffineria di Abadan, in Iran, la maggiore del medio Oriente, da parte del primo ministro Mohammad Mossadeq, nel 1951. Seguendo lo scenario geopolitico medio orientale, Moratti l’aveva intuìto. I fatti gli danno ragione. Cinquant’anni prima, nel 1901, una società inglese aveva ottenuto dall’allora scià di Persia la concessione per lo sfruttamento dei pozzi di petrolio e fu costituita l’Apoc (Anglo persiano il company) che nel successivo ’35 mutò il nome in AIOC (Anglo iranian oil company), non appena il nuovo dominus, Reza Shah, decise che l’antica Persia dovesse essere chiamata Iran. La partecipazione locale non era tale da contrastare gli Inglesi che detenevano saldamente il controllo delle riserve petrolifere, provocando forti risentimenti nel clero sciita e nel partito nazionalista guidato da Mossadeq, il quale, giunto al potere con l’appoggio dello stesso clero sciita, mantiene subito la prima promessa, allontanando gli Inglesi dai produttivi giacimenti iraniani. Privi della materia prima, i soci inglesi dell’AIOC possono perdere d’un colpo il monopolio della commercializzazione nel sub continente indiano (affrancatosi dall’impero britannico appena tre anni prima, nel 1948) e nell’Africa meridionale (o australe).
La Rasiom nel bacino del Mediterraneo
Sollecitati dalla Esso, il maggior cliente – ricordiamolo –della Rasiom, alcuni inviati inglesi dell’Aioc trovano nella raffineria augustana la soluzione ai loro problemi di approvvigionamento del greggio, tanto più che il carburante prodotto dalla Rasiom (a scarso numero di ottani) è proprio quello adatto ai veicoli circolanti nei floridi mercati indiano e sudafricano. In Sicilia, non ad Augusta, ma a Palermo prima e a Ragusa dopo scendono gli inviati della Gulf, una delle Sette sorelle del petrolio, interessati all’estrazione dell’oro nero dopo il varo della legge regionale del 20 marzo 1950, che consente la ricerca e l’estrazione del petrolio nell’Isola. Un vasto giacimento di petrolio nel ragusano viene scoperto il 27 ottobre 1953 sotto il controllo della Gulf italiana presieduta da Nicolò Pignatelli Aragona Cortès, il quale stringe rapporti con Moratti talmente proficui che la Rasiom decide di finanziare l’oleodotto Ragusa-Augusta. Nel 1954, Enrico Mattei, presidente dell’ENI (Ente nazionale idrocarburi), ente statale, istituito l’anno precedente, non privilegiato in alcun modo dalla Regione, ottiene permessi esplorativi di gran lunga inferiori a quelli concessi alle compagnie private e trova il petrolio nel 1956 a Gela (con Milazzo e il triangolo Augusta-Priolo e Melilli, sede di polo petrolchimico con problemi legati alla salute delle persone e dell’ambiente). Mattei, che, nel 1948, ha opposto un fermo diniego a Moratti, ora ne diventa cliente come la Gulf, la quale, proprio grazie a Moratti, può diventare azienda distributrice di carburante in Italia, come ricorda il figlio Gianmarco (Esso, op. cit., p.110). Grazie agli accordi con l’AIOC, con la Gulf e conl’Eni, la Rasiom, guidata da Angelo Moratti, acquista una fisionomia nuova , mettendo sempre più in ombra l’immagine della raffineria di Longview.
Innovazioni tecnologiche e non solo
Già alla fine del 1952, appena due anni dopo l’avvio operativo, Moratti ha già ampliato il parco dei serbatoi, ha eretto una nuova torre di distillazione, ha costruito un nuovo pontile di ben 850 metri sul mare, per consentire l’attracco contemporaneo a ben cinque petroliere, più vicino rispetto a quello di Punta Cugno, ha attivato una serie di servizi e ha innovato tecnologicamente come continuerà fino a far diventare la Rasiom la maggiore raffineria d’Italia, una delle più importanti dell’area mediterranea. Nel 1958 viene costruito un nuovo pontile più lungo del precedente, 1.200 metri sul mare, con un pescaggio di 15 metri, cui possono ormeggiare le superpetroliere di stazza fino a 140 mila tonnellate. Moratti non pensa soltanto alle innovazioni tecnologiche. Memore, forse, dei suoi trascorsi da piccolo operaio nella fabbrica delle maniglie d’ottone, ma, soprattutto, delle proprie precedenti esperienze imprenditoriali, pensa a far star bene il personale, a far lavorare tutti in un sereno clima di lavoro. Una volta superati i contrasti fra lavoratori indigeni ed esterni, provvede a corrispondere premi di anzianità, a istituire borse di studio. a far apprendere la lingua inglese, a far costruire un centro ricreativo dopolavoristico e, ; soprattutto, in caso di incidenti, a far assumere i parenti prossimi degli infortunati, disponendo che che le famiglie ricevano celermente un congruo aiuto finanziario, come rilevano Severino Santiàpichi e Giovanni Vaccaro a p. 86 del capitolo dedicato alla Rasiom all’interno del loro libro Augusta, industrializzazione in Sicilia, pubblicato a Palermo nel 1961. I due autori osservano che, all’interno della raffineria, il clima di lavoro è ottimo e che “non sono stati segnalati casi di malattie professionali” (ivi). Uno dei due autori, Santiàpichi è il pretore di Augusta; diventerà famoso in campo nazionale quando presiederà la corte d’assise a Roma durante il processo contro le Brigate Rosse, responsabili della strage di Via Fani a Roma il 16 marzo 1978 e della successiva uccisione, nel maggio dello stesso anno, di Aldo Moro, ex presidente del Consiglio dei ministri, presidente in quel momento della Democrazia cristiana.
Inesistente la coscienza ecologica
Se si fosse accorto di guasti all’ambiente provocati dalla Rasiom, Santiàpichi non avrebbe certamente avallato quelle affermazioni riportate sopra e, comunque, per onestà intellettuale, ne avrebbe riferito apertamente nello stesso capitolo. Il fatto è che, ancora agli inizi degli anni Sessanta, non esiste una consapevolezza riguardo alle problematiche ambientali, affacciatesi in Augusta soltanto nella seconda metà degli anni Settanta, con il fenomeno ciclico della morìa dei pesci per l’eutrofizzazione delle alghe. Il sostantivo “ecologia” non era nemmeno ancora entrato nel lessico comune, riservato solo a una ristretta cerchia di specialisti. Quindi, a maggior ragione, “negli anni ’50 non c’era una coscienza ecologica, non esisteva il movimento dei verdi e le dirigenze dei partiti politici, anche di quelli dell’opposizione, e dei sindacati pensavano all’occupazione, a trasformare i proletari urbani e i braccianti agricoli disoccupati in operai dell’industria occupati”, nota correttamente Giovanni Satta, intellettuale augustano, oggi scomparso, che professava idee progressiste, nella sua prefazione al volumetto di Ippedico (Rasiom, op. cit., p. 34). Non esisteva nemmeno una legislazione adeguata contro l’inquinamento. La cosiddetta legge Merli, promulgata nel 1976, che il pretore Condorelli tenterà di applicare nei confronti delle industrie di Augusta e dintorni, sostanzialmente, rimarrà una dichiarazione di intenti, una serie di buoni princìpi, perché in un primo momento, con dimenticanza voluta o no, non saranno stanziati i fondi per le opere di depurazione e non saranno previste sanzioni per gli inquinatori; in un secondo momento perché, trovati i soldi e previste le sanzioni, si provvederà a prorogare, di anno in anno, tutte le scadenze fondamentali. Scadute certe proroghe e istruiti alcuni processi penali contro le industrie inquinanti da parte soprattutto della genìa dei pretori d’assalto, fra i quali Antonino Condorelli, la Corte costituzionale sosterrà il principio secondo cui le modalità di controllo degli scarichi previste dalla Merli rappresenteranno una chiara violazione del diritto di difesa del cittadino, concedendo in pratica un’amnistia generale.
Cavaliere del Lavoro
Il piccolo Angelo, che voleva correre l’avventura americana negli USA, è diventato grande, grande in tutti i sensi e a cinquantasei anni conquista il blasone sul campo. Colto il successo in terra italiana, l’Italia gli riconosce questo successo. Il 2 giugno 1955, il presidente della repubblica, Giovanni Gronchi, eletto poco più di un mese prima (il 28 aprile), lo nomina cavaliere del lavoro nel settore dell’industria petrolifera. Per singolare coincidenza, il figlio Gianmarco, primo maschio e successore nello stesso settore, riceverà la stessa onorificenza alla stessa età del padre (il 2 giugno 1992). Nel 1960 la Rasiom ha una capacità di lavoro di 5 milioni e 200mila tonnellate all’anno e un utile di 500milioni di lire; il piano di espansione prevede che si arrivi a 8 milioni di tonnellate annue, ma la Esso frena le ambizioni di Moratti. Non dimentichiamo che la multinazionale americana è pur sempre il cliente di riferimento della Rasiom, su cui ha per contratto diritto di opzione sull’acquisto. L’11 dicembre 1961 rappresenta una data storica per il porto di Augusta, per la Rasiom, per Moratti, per la Esso stessa: la petroliera “ Esso Roma” sbarca, per la prima volta in territorio italiano, il petrolio proveniente dalla Libia, non ancora sotto l’autocrazia del colonnello Gheddafi, ma sotto il regime del re Idris. Per dare maggiore solennità alla circostanza è presente il ministro del commercio con l’estero, Mario Martinelli, davanti al quale Moratti, con comprensibile orgoglio, vanta per la Rasiom la primogenitura di industria siciliana e il merito d’essere la “prima raffineria italiana a lavorare il petrolio libico” (Cfr. Esso, op. cit., p. 40). Sono le ultime parole pubbliche del Moratti “siciliano”. Orgoglioso com’è, sempre fiero della propria autonomia, non sopporta d’essere socio di minoranza della Esso che, esercitando l’opzione, nel 1962 diventa proprietaria della Rasiom. Definito l’acquisto, la Rasiom cessa di esistere e la raffineria cambia denominazione: diventa Esso Raffineria di Augusta.
Da Augusta a Sarroch in Sardegna
Moratti è ancora nel pieno vigore della sua maturità, ha sei figli, Adriana, Gianmarco, Mariarosa detta Bedy, Massimo, Gioia e Natalino, e non è tipo da mettere in remi in barca, pur avendo vissuto intensamente, pur con una vita lavorativa di mezzo secolo, pur avendo messo a frutto proficui investimenti. Già nel 1962 intravede la possibilità di continuare il lavoro svolto in Sicilia in un’altra isola, la Sardegna, dove la Rumianca, un’azienda originaria di Genova, che opera nel campo della chimica secondaria, tenta di attivare un’industria petrolchimica nei pressi di Cagliari, area sud orientale dell’Isola, nel territorio del comune di Sarroch. Attirato dal progetto della Rumianca, forte dell’esperienza maturata ad Augusta e del sostegno dei figli Marco e Massimo, il primo dei quali è stato nel consiglio di amministrazione della Rasiom , Angelo Moratti nel 1963 dà vita alla SARAS , acronimo di Società Raffinerie Sarde, di cui il figlio Marco è nominato immediatamente amministratore delegato e nella gestione della quale viene cooptato il figlio Massimo, che oggi ha preso il posto del fratello. La SARAS diventa operativa tre anni dopo, specializzandosi nella lavorazione per conto terzi ed evitando così il rischio della nazionalizzazione da parte dei governi dei Paesi produttori, giacché in quei Paesi Moratti non possiede alcuna attività. Con 15 milioni ti tonnellate annue di lavorazione, la raffineria di Sarroch, per le dimensioni e la complessità, risulta essere oggi una delle più importanti raffinerie del Mediterraneo, come un tempo la Rasiom .
Le avventure editoriali
Forte del successo nel campo, Moratti non si ferma e nel 1972 compra azioni e detiene il controllo della Società Petrolifera Italiana, SPI in sigla, una delle prime in Italia, fondata nel luglio del 1905 sotto la guida di un altro pioniere italiano del settore, Luigi Scotti, con una sede nel comune di Fornovo, in provincia di Parma. La gestione Moratti dura fino al 1986. Il 1972 è l’anno in cui Moratti fa la sua incursione nel mondo dell’editoria, acquisendo, con il supporto dell’ENI, la gestione del quotidiano romano Il Globo, specializzato in economia e finanza, già della Confindustria, ma in crisi strisciante tanto che, nel 1977, il giornale chiude. Dura poco meno di un anno, invece, l’esperienza nella gestione del maggior quotidiano italiano, il Corriere della sera, di cui Moratti diventa comproprietario con la famiglia Agnelli, i padroni della FIAT, e con Maria Giulia Crespi, erede di quella famiglia Crespi proprietaria del Corriere per decenni. E’ il 19 luglio quando Moratti, per quattordici miliardi di lire, acquista la quota che il 16 luglio del ’74 rivenderà per tredici miliardi.
La passione per l’INTER
Fuori del suo specifico settore di affari, Moratti, divenuto tifoso di calcio nel’34 grazie alla passione della moglie, coglie il successo anche come presidente del Football club internazionale Milano, brevemente Inter, la famosa squadra di calcio milanese, che suscita l’entusiasmo dei tifosi in tutt’Italia, di cui mantiene la presidenza per tredici lunghi memorabili anni, durante i quali trasforma la società in società per azioni, con una gestione di tipo aziendalistico, e la porta ai vertici delle classifiche nazionali e internazionali, avvalendosi della collaborazione dell’allenatore argentino Helenio Herrera. Herrera, detto il Mago, per le sue innovazioni di gioco e per vittorie delle squadre da lui allenate, porta in breve tempo l’Inter alla conquista di tre campionati nazionali negli anni 1962-‘63, 1963-’64 e 1964-’65, di due coppe dei campioni negli anni 1963-’64 e 1964-’65 e e di due coppe intercontinentali nel biennio 1964-1965. Questi anni, in cui l’Inter coglie questi allori, sotto la guida del tandem Moratti-Herrera, vengono ricordati come la stagione della Grande Inter. Dopo oltre un quarto di secolo, nel 1995, l’Inter ritornerà nelle mani di Moratti, ma non sarà più Angelo; sarà Massimo, che farà rinverdire gli allori colti dal padre al tempo della Grande Inter, restando presidente, con un paio di interruzioni, fino al 15 novembre 2013, quando cederà il settanta per cento delle azioni a una società dell’Indonesia (ricoprendo la carica di presidente onorario fino all’ottobre 2014). Angelo Moratti muore in Versilia, a Viareggio, il 12 agosto 1981. Nel 2007 il Comune di Milano gli intitola il piazzale di fronte allo stadio “Giuseppe Meazza” in San Siro. Nel 2009 il Comune di Stintino in Sardegna denomina “Via Angelo Moratti” la strada antistante all’albergo Roccarujia, fatto costruire dallo stesso Moratti per far trascorrere le vacanze a giocatori e dirigenti della Grande Inter.
Giorgio Càsole