CULTURA/ L’uguaglianza dei cittadini nella Costituzione italiana

La normativa contro la discriminazione di genere – di Cecilia Càsole

sGli enti locali dispongono di un’ampia potestà normativa e regolamentare nei limiti dei dettami costituzionali riscontrabili negli artt. 114 e 117, quest’ultimo al comma 1, aggiunge il rispetto dei “ vincoli derivanti dall’ ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Per ciò che concerne la legislazione elettorale di comuni l’articolo 117 c. 2 stabilisce che  è rimessa alla legislazione statale salva l’ipotesi in cui l’ente locale possa intervenire e disciplinare la materia nei casi in cui non sia già intervenuta la legge. Inoltre, il d.lgs. 267  del 2000 (Testo Unico degli Enti Locali) all’interno dell’articolo 6 prescrive la statuizione locale in materia di “ promozione della presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e delle province, nonché degli enti, aziende e istituzioni da essa dipendenti”. La riforma del 1999 ha dato luogo alla modifica dell’articolo 122 che stabilisce quanto segue: “il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali”. Le Regioni, in base al principio della potestà concorrente, possono disciplinare, la materia dell’articolo 122, nei limiti dei princìpi fondamentali, sia quando questi siano espressamente enunciati dalla legge sia quando questi debbano essere desunti dall’insieme delle normative in materia. Quello che a noi interessa è capire  come le regioni siano intervenute sul tema dell’accesso alle cariche elettive delle donne.

Il d.lgs. n. 5 del 2010, ha modificato l’art. 1 del d.lgs. 198/2005 (Codice delle pari opportunità tra uomo e donna,  Libro I) che a sua volta riproduceva l’art. 1 della legge n.132 del 1985. Il d.lgs. n. 5 del 2010 enuncia il seguente principio: “ Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare ogni distinzione, esclusione o limitazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza, o come scopo, di compromettere o impedire il riconoscimento, il godimento o l’esercizio dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e civile o in ogni altro campo”. Il predetto articolo tutela la “donna lavoratrice nell’ambito dell’occupazione, del lavoro e della retribuzione …  e in ogni altro campo”. L’espressione “ in ogni altro campo” rende estensibile il principio di parità di trattamento tra donne e uomini anche per ciò che concerne la parità accesso alle cariche elettive. Nonostante l’introduzione del decreto summenzionato, sotto il profilo degli sviluppi sulla parità d’accesso, non sembra individuarsi all’interno della legislazione statale un vincolo preciso  cui la legislazione regionale debba attenersi. Così, sia l’ordinamento statale sia quello regionale devono fare riferimento prima di tutto alla Costituzione. E’  in questo contesto che riemerge la rilevanza della riforma costituzionale del titolo V della Costituzione, in particolare dell’articolo 117, che al comma 7 precisa che  “ le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne…e promuovono la parità di accesso tra uomini e donne alle cariche elettive” e dell’ l’art. 51Cost.,  il quale ci riporta  all’art.3 comma 2  Cost., laddove  all’ enunciazione di un principio formale di parità d’accesso dei cittadini, agli uffici pubblici e alle cariche elettive, senza discriminazioni fondate sul sesso, si affianca l’ obbligo per gli organismi statali di attivarsi affinché tale diritto sia reso effettivo. L’articolo 117 Cost. va letto in combinato disposto con l’articolo 51 comma 1 della Costituzione, giacché   il 117 si rivolge specificamente al legislatore regionale, mentre l’articolo 51, che regola  la disciplina e dell’azione autonomistica degli enti locali, fa riferimento alla circostanza, più generale, secondo cui “… la Repubblica promuove con appositi provvedimenti –sia legislativi che amministrativi – le pari opportunità tra donne e uomini” La l. Cost. n. 2 del 2001  ha,  altresì, stabilito che le leggi elettorali delle regioni ad autonomia speciale devono garantire condizioni di pari accesso alle consultazioni elettorali al fine di assicurare la rappresentanza di entrambi i sessi.1.3  Questioni di legittimità costituzionali Il 25 marzo 1993, è entrata in vigore la legge n.81, sulla elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale, la quale, avendo imposto  limiti alla presenza di candidati di uno stesso sesso nella singola lista, è andata incontro a numerose critiche che  hanno sollevato una questione di legittimità costituzionale. La Corte costituzionale è intervenuta  emanando due sentenze. La prima del 1995 n. 422 accolse la questione di illegittimità della norma nella parte in cui poneva degli obblighi sulla determinazione dei sessi all’interno di ciascuna lista, quindi ritenne fondata la questione di legittimità sulle cosiddette “quote rosa”, in cui era previsto il divieto di presentazione delle candidature qualora uno dei due sessi fosse rappresentato al di sotto di una certa soglia. La pronuncia fece riferimento al fatto che l’appartenenza all’uno o all’altro sesso non potesse essere assunta come requisito di candidabilità, perché in contrasto con gli articoli 3 e 51 della Costituzione la presentazione delle candidature alle cariche pubbliche imposta sulla base di quote in ragione del sesso. Tra la prima e la seconda sentenza sono subentrate: –  la l. Cost. 2 del 2001, che impone l’adempimento da parte delle regioni ad autonomia speciale  di strumenti che garantiscano parità  di accesso alle consultazioni elettorali; –  la l. Cost. 3 del 2001, la quale ha disciplinato l’azione delle regioni a statuto ordinario. “ Le regioni a statuto ordinario devono garantire la parità di accesso tra donne e uomini nelle cariche elettive”; –   la l. Cost. 1 del 2003 con la modifica dell’articolo 51. Con la seconda sentenza, la n.49 del 2003 la Corte si pronunciò sul giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 2e 7 della deliberazione legislativa statutaria della Regione  Valle d’Aosta – del 25 luglio 2002 – contenente “ modificazioni alla l. regionale 12 gennaio 1993 n. 3 (norme per l’elezione del Consiglio regionale della Valle d’ Aosta)  e alla l. regionale 19 agosto 1998 n. 47 (salvaguardia delle caratteristiche e tradizioni linguistiche e culturali delle popolazioni walser  della valle del Lys). La Consulta ha ritenuto legittime le norme introdotte dalla legislazione della Valle d’Aosta secondo cui, a pena di inammissibilità, le liste elettorali devono comprendere candidati di entrambi i sessi. Non a caso la Valle d’Aosta risulta essere, oggi,  la Regione che garantisce al meglio la rappresentanza di genere stabilendo una  soglia non inferiore del 20% per la legittima rappresentanza di entrambi i sessi all’interno delle liste. La Corte, dunque, ha rivisto il proprio orientamento, tanto che si è parlato di un vero e proprio revirement giurisprudenziale e ha motivato la sentenza di rigetto della questione di legittimità nel modo seguente: –  Le disposizioni in esame stabiliscono un vincolo non già all’esercizio del voto o all’esplicazione dei diritti dei cittadini eleggibili, ma alla formazione delle libere scelte dei partiti, e dei gruppi che formano e presentano le liste elettorali precludendo loro la possibilità di presentare liste da candidati tutti dello stesso sesso. La scelta degli elettori tra liste e fra candidati, e l’elezione di questi, non sono in alcun modo condizionate dal sesso dei candidati. –   La disciplina non è in contrasto con la parità dei sessi, sia perché fa riferimento, indifferentemente, a entrambi i sessi, sia perché non comporta alcun trattamento diverso verso uno dei due sessi. – Non è intaccato il carattere unitario della rappresentanza elettiva che si esprime nel Consiglio regionale perché non sussiste relazione giuridicamente rilevante fra gli elettori di entrambi i sessi e gli eletti dello stesso sesso.[1]Questo revirement[2] giurisprudenziale ha permesso ad alcune regioni a statuto ordinario, come ad esempio la regione del Lazio, di statuire a favore della coesistenza fra liste bloccate e quote riservate. Tuttavia, la generale non obbligatorietà delle quote di genere, sancita dalla legge, consente di comprendere, senza stupore, come mai nelle elezioni regionali del 2010 vi sia stata l’assenza di nomi femminili. Difatti, con la l. n.4 del 25 febbraio 2010 il consiglio regionale ha bocciato la proposta di introdurre la doppia preferenza di genere. A questo punto è possibile tracciare un quadro sulle modalità in cui le Regioni sono intervenute in materia di pari opportunità. Innanzi tutto , hanno disposto le norme programmatiche (cioè quelle norme che non possono essere direttamente applicabili dai giudici,  ma per le quali è necessario l’intervento del legislatore ordinario),  le quali confermano la rilevanza degli articoli 51 e 117 della Costituzione, e hanno inoltre istituito apposite commissioni per le pari opportunità confermando gli ampi margini di autonomia di cui godono nelle modalità di legiferazione in materia di diritti delle donne.

1.4  I Tavoli Regionali

Recentemente, sono stati previsti  Tavoli Regionali proposti dal Comitato Promotore (Fondazione Sodalitas) della “ Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro” lanciata in Italia il 5 ottobre del 2009 al fine di consentire l’organizzazione di un  ambiente lavorativo basato su una cultura scevra da ogni forma di discriminazione, che realizzi le pari opportunità per un miglior trattamento dei lavoratori e quindi una migliore prestazione degli stessi, e soprattutto perché un ambiente lavorativo in cui valgono princìpi di equità e coesione sociale contribuisce alla competitività e al successo dell’impresa nella sua interezza. La Carta non contiene previsioni particolarmente dettagliate, ma ha come riferimento un quadro di valori e di princìpi cui le aziende volontariamente aderiscono e mettono in atto.  L’ampliamento nel settore regionale della Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro è stato pensato in virtù del comprovato successo ottenuto dalle aziende che hanno sostenuto l’iniziativa, nonché al fine di “ incoraggiare, promuovere, favorire la diffusione sul territorio  della Carta per le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro …Il tavolo Regionale della Carta per  le pari opportunità e l’uguaglianza sul lavoro vede le sue finalità principali nella sensibilizzazione sul tema delle pari opportunità e dell’uguaglianza sul lavoro nella promozione dell’adesione alla Carta  e nell’accompagnamento delle imprese nell’attuazione degli impegni”. [3] 1.5  Legge quadro n. 6/2014  per la parità e contro le    discriminazioni  di genere.  Il 2014 è stato segnato da un’importante  legge regionale che potrebbe essere d’esempio per le altre regioni. L’assemblea regionale dell’Emilia Romagna ha approvato, con la sola eccezione di Forza Italia (che già in precedenza si era espressa contro l’introduzione delle “ quote rosa”) la legge quadro n. 6/2014 per la parità e contro le discriminazioni di genereSono ben 45 articoli che investono diverse tematiche per contrastare le disparità di trattamento basate sul sesso nell’ambito lavorativo e favorire l’accesso alle politiche.  In Emilia Romagna, dunque, le prossime elezioni si svolgeranno con l’obbligo di garantire una rappresentanza egualitaria tra uomini e donne . “ Verrà elaborata un’apposita sezione di genere nell’albo regionale delle nomine, dovranno essere varati bandi pubblici fatti per premiare i soggetti che applicano principi egualitari e antidiscriminatori “. Per quanto riguarda, invece,  il settore lavoro verrà istituito un credito ad hoc per le imprese al femminile, sarà promosso un giro di vite contro il fenomeno delle dimissioni in bianco, e tutte le procedure a evidenza pubblica dovranno individuare criteri di selezione e/o punteggi premiali a favore delle aziende che adottano azioni per la parità di genere”.[4] L’esperienza dell’Emilia Romagna dimostra quanto può essere rilevante l’apporto regionale nell’incentivare le aziende ad aumentare l’assunzione delle donne.Per quanto riguarda il ruolo della formazione locale, l’art 117 c. 2 lett.p Cost. assegna la “legislazione elettorale” di comuni e province alla competenza statale,  ma ammette che l’ente locale possa agire autonomamente nell’ambito di quello che la legge ha lasciato come “spazio libero”. L’art. 6 del d.lgs. 267 del 2000 (Testo Unico degli Enti Locali) invita gli enti locali a “ promuovere la presenza di entrambi i sessi nelle giunte e negli organi collegiali del comune e della provincia, nonché degli enti, aziende e istituzioni da essa dipendenti”. Facendo riferimento agli “organi collegiali”,  la norma si riferisce all’obbligo di garantire la presenza di entrambi i sessi all’interno delle giunte, mentre rimane il dubbio se nell’espressione “organi collegiali” si possa includere anche la carica di consigliere. A fronte di disposizioni normative così vaghe, nel 2009 il Tar Puglia, con l’ordinanza n.740, ha annullato i provvedimenti di sindaci e presidenti di provincia con i quali erano stati nominati assessori tutti appartenenti al genere maschile, stabilendo l’ammissione di nomine dello stesso sesso  all’interno della giunta a condizione che tali nomine contengano un’esplicita motivazione che giustifichi la presenza di sole donne   o soli uomini. Riassumendo: la Corte costituzionale è intervenuta per abrogare le disposizioni della l. 81/1993[5] le quali prevedevano una presenza non superiore ai due terzi di candidati dello stesso sesso nelle liste; il testo unico degli enti locali prevede una chiara disciplina sul rispetto di una presenza minima delle donne nella rappresentanza elettorale;  il giudice amministrativo è dovuto intervenire per ovviare al problema delle nomine non vincolate da un obbligo di presenze minime di entrambi i sessi. Poste queste condizioni, si è inteso interpretare in senso non restrittivo l’art. 51 Cost., prevedendo l’adozione di misure minime, per garantire la presenza equilibrata dei due sessi, pena la violazione del diritto.

CULTURA/ L’uguaglianza dei cittadini nella Costituzione italianaultima modifica: 2014-12-11T10:48:13+01:00da leodar1
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