VERSO LE QUOTE ROSA: IL CORAGGIO D’ESSERE DONNA ANCHE IN POLITICA – di Cecilia Càsole

Che cosa ha significato il XX secolo  per le donne del nostro Paese?

ceciliaL’Italia del  secondo dopoguerra riflette un modello “ di democrazia consociativa a frattura ideologica”. Tale nozione indica la competizione tra i due maggiori partiti  PCI (Partito Comunista Italiano ) e DC ( Democrazia Cristiana), negli anni in cui  nello scenario mondiale domina  la contrapposizione fra le maggiori potenze USA e URSS. 1946, anno decisivo. La massiccia partecipazione alla vita politica del Paese si presentò nel 1946, quando i cittadini furono chiamati a votare per la scelta fra Monarchia e Repubblica. In quell’ occasione, per la prima volta, le donne poterono manifestare la loro preferenza che si espresse nella maggior parte per la forma repubblicana. A quel punto, i partiti si resero conto che occorreva coinvolgere le donne nella politica, non tanto perché intendevano elevare la posizione sociale della donna quanto per un fine meramente opportunistico di acquisizione di voti e  consensi.  A confermare  la svolta fu l’adozione della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali – così come modificata dai successivi protocolli – ( legge 4 agosto 1955 n.848 )[1], che si preoccupò sin dai primi articoli delle donne e della loro tutela. L’articolo 14 della Convenzione, titolato “divieto di  discriminazione”,  non lascia spazio a interpretazione  :  “ Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o di altro genere, l’origine nazionale o locale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita o ogni altra condizione. Nella prima conferenza delle ragazze comuniste del 1954, Palmiro Togliatti, leader storico del PCI , ribadisce la necessità di spingere un acceleratore nel processo di emancipazione femminile. Del resto, la sinistra rispetto alla destra è stata la parte che ha accolto con maggior sensibilità la questione della rappresentanza di genere nell’agenda politica. Gli anni Settanta del secolo scorso  sono gli anni in cui ancora di più la “Questione femminile” assume una dimensione sovranazionale; quando nel 1966 fu adottato dall’Assemblea Generale  dell’ONU il Patto Internazionale sui diritti civili e politici entrato in vigore il 23 marzo 1976[2]. Sia nell’articolo 2 che nell’articolo 25 del Patto troviamo una chiara disciplina sulle modalità di tutela e di esplicazione dei diritti sia essi politici sia civili, nel rispetto dei princìpi di uguaglianza e non discriminazione. Il ruolo delle normative introdotte al di là del territorio nazionale è rilevante perché ha permesso di dare maggiore risalto al ruolo delle donne e alla loro tutela e, a maggior ragione,  ha imposto agli Stati membri  sia  vincoli normativi,  cui devono attenersi, sia il dovere di provvedere alla realizzazione di strumenti idonei a garantire la piena partecipazione delle donne alla vita politica, sociale, culturale, economica del Paese . Un decisivo passo in  avanti si ebbe con la legge n.125 del 1991 ,  Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro. Tale provvedimento volle favorire l’inserimento nel mondo del lavoro e la carriera delle donne adottando le cosiddette “ azioni positive”, volte a rimuovere gli ostacoli che, di fatto, impediscono la realizzazione delle pari opportunità tra uomo e donna.

Le azioni positive  mirano a estirpare le disparità di fatto di cui le donne sono vittime nell’accesso al lavoro, nelle progressioni di carriera, nell’accesso ai settori professionali,  nel favorire l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e un’ equa ripartizione di tali responsabilità fra i due sessi. Il 1994 fu l’anno in cui si registrò il numero più elevato di donne in parlamento  e ciò per due motivi principali. Il primo risiedeva nella ricerca di “volti nuovi” che intendeva trasmettere il messaggio che “ la politica sta cambiando”. Il  secondo, più importante, riguardava l’iniziativa dell’allora presidente della Commissione pari opportunità, Tina Anselmi,  che promosse  l’approvazione della legge elettorale n.277 del 1993, c.d. Mattarellum[3] ,la quale stabilì che il 25% dei seggi fosse attribuito secondo il sistema proporzionale e che le liste dei candidati dovessero presentare uomini e donne in ordine alternato e la nuova legge per le Regioni, presentata in Parlamento da Pinuccio Tatarella, chiamata per questo “Tatarellum”: legge regionale del 23 febbraio 1995 n.43,  attribuiva l’80% dei seggi consiliari con un meccanismo proporzionale con voto di preferenza e il 20% con metodo maggioritario plurinominale. In seno alla 277 del 1993 fu sollevata una questione di legittimità Costituzionale.  La Corte chiamata a esprimersi dichiarò l’incostituzionalità della legge, motivo per cui le successive elezioni del ’96 si svolsero senza l’obbligo delle quote rosa. La Corte costituzionale ritenne che una differenza di trattamento basata sul sesso non potrà mai considerarsi ragionevole poiché ” si basa su una diversità da cui la Costituzione impone di prescindere”. Si è dovuto aspettare il 2003 per la modifica dell’articolo 51 della Costituzione   “ Tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tal fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. La legge Golfo – Mosca – n.120 del 12 agosto 2011- , dal nome delle due parlamentari che l’hanno proposta,  Lella Golfo e Alessia Mosca,  tratta il tema della rappresentanza di genere nei vertici dirigenziali delle aziende. Della legge è stata prevista una validità temporale di soli dieci anni: le donne a partire dal secondo e terzo rinnovo degli organi sociali, devono essere pari ad almeno un terzo, fino al 2022, data in cui  la legge cessa di avere efficacia. La durata della normativa, determinata preventivamente, non è casuale, in quanto si presume che in quel lasso di tempo siano state ampiamente abbattute tutte quelle forme di ostacoli che paralizzano l’avanzamento delle donne nei ruoli di vertice. Con questa norma è stata data alle società maggiore autonomia statuaria sulle nomine dei sindaci e dei consiglieri. La legge Golfo-Mosca non ha soltanto mobilitato il mondo delle società, ma anche e soprattutto quelle a partecipazione pubblica. Al  riguardo è stata prevista la pubblicazione del regolamento che disciplinerà la parità di genere nelle società a partecipazione pubblica.[4] Mondo politico e stereotipi sociali    È vero che, ancora oggi, le donne subiscono, in certi campi, azioni discriminatorie,  ma è allo stesso tempo innegabile che dagli anni Settanta agli anni Duemila ci sia stata un’ importante crescita della presenza femminile in Parlamento e nella politica negli anni ’70. C’è chi sostiene che l’introduzione delle quote non produce automaticamente più rappresentanza  perché ci sarebbe comunque la resistenza del mondo politico e la persistenza di stereotipi sociali che considerano ancora la donna come femme du foyer. La semplice rimozione dei modelli discriminatori non appare sufficiente, perché spesso, pur eliminando tutte quelle forme di discriminazioni  palesi continuano a permanere dei pregiudizi,  a volte avallati dagli stessi soggetti vittime di tali discriminazioni in presa a un delirio di disistima . L’introduzione delle quote rosa è sorta in virtù dell’imposizione istituzionale delle cosiddette  azioni positive. Il reclutamento e le progressioni di carriera femminili seguono i criteri del genere dominante e sono basati su quella cultura e quel linguaggio, tant’ è vero che,  difficilmente. troveremo donne negli uffici dirigenziali, se escludiamo il mondo della scuola, nel quale, ormai, le donne “dirigenti scolastici”  sono in maggioranza. “Mascolinizzazione” delle donne. Spesso l‘ingresso delle donne nel mondo del lavoro è stato anche il risultato di una loro “mascolinizzazione”, al contrario nulla è cambiato nei modelli di carriera e negli stili di leadership maschili che, anzi, le donne sono spesso chiamate a copiare.  Al fine di promuovere l’accesso al lavoro delle donne, con D.P.D.R. n. 405 del 28 ottobre 1997[5] è stata promosso l’Ufficio del Ministro per le pari opportunità , istituito nel 1996, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Com’è espressamente indicato dalla direttiva  23 maggio 2007- Presidenza del Consiglio dei Ministri – “Le pari opportunità sono principio fondamentale e ineludibile nella gestione delle risorse umane nelle pubbliche amministrazioni. Tale principio è espressamente enunciato nell’ art. 7, comma 1, del d.lgs n.165 del 2001 in cui si prevede che “le amministrazioni pubbliche garantiscono parità e pari opportunità tra uomini e donne per l’accesso al lavoro e il trattamento sul lavoro”. Così come ha espresso, nel 2009, il Comitato consultivo per le pari opportunità, l’uguaglianza tra le donne e gli uomini rappresenta uno dei principi fondamentali sanciti dal diritto comunitario. Questo tema presenta parimenti una forte dimensione internazionale in termini di lotta contro la povertà, di accesso all’istruzione e ai servizi sanitari, di partecipazione all’economia e al processo decisionale, nonché di diritti delle donne in quanto diritti dell’uomo.[6] La sfida è prevalentemente di tipo culturale.Del resto è la cultura che crea la società.  Le leggi rispecchiano i mutamenti sociali. A tali cambiamenti devono seguire delle modifiche interne alle strutture e all’organizzazione delle aziende, in modo che le donne possano affermare la loro diversità come valore aggiunto e non come elemento discriminante. Il successo dei gruppi di lavoro misti  Nel 2006 una ricerca europea – Women in science and technology: the business prospective[7]– ha preso come campione di riferimento alcune imprese multinazionali e ha coinvolto nella ricerca donne con alti livelli di istruzione. Dall’osservazione è stato rilevato che gruppi di lavoro misti (uguale percentuale di donne e uomini) ottengono risultati qualitativamente migliori rispetto a gruppi formati da soggetti dello stesso sesso, e le imprese attuano strategia volte ad assicurare la parità dei sessi risultano più efficienti e più competitive. Le politiche cosiddette di conciliazione, che permettono alle donne di unire lavoro e attività domestiche/familiari, sono utili,  ma non sufficienti. Sono d’obbligo politiche che valorizzino la figura femminile nel mercato del lavoro, trasmettendo nella cultura sociale il principio secondo cui la donna non è soggetto debole,  che ha bisogno di maggiori tutele,  ma che è un’ importante forza lavoro, una risorsa a cui le imprese non possono e non devono rinunciare. La finlandese Sirpa Pietikainen,  componente  del Gruppo del Partito Popolare Europeo definisce  le “misure per promuovere la partecipazione delle donne alla vita politica” sulla partecipazione delle donne al processo decisionale politico – qualità e parità – redatta dalla Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere,  laddove, viene, chiarito che , al fine di accrescere la partecipazione politica delle donne,  è necessario affrontare il problema delle barriere strutturali che impediscono loro di prender parte alla politica attiva. La possibilità di conciliare vita professionale, privata e familiare è riconosciuta a livello di UE come un’importante priorità per realizzare l’uguaglianza di genere. L’UE,  con gli adeguati strumenti finanziari e tecnici e in cooperazione con altri attori internazionali,  può riuscire in quest’ impresa, attraverso  l’adozione di misure idonee. Programmi di mentoring: Innanzi tutto,  è importante promuovere la presenza in posizioni decisionali di donne con background diversi. Le donne appartenenti a minoranze etniche sono un gruppo sottorappresentato nelle assemblee politiche europee e spesso subiscono forme combinate di esclusione. Per agevolare il coinvolgimento delle giovani donne alla vita politica e pubblica, in alcuni Stati membri sono stati introdotti programmi di mentoring, un metodo innovativo di formazione per coloro che, avendo meno esperienza e meno competenza nel settore di riferimento, possano apprendere dal mentor (da mentore cioè guida) quante più cose possibili. Il mentoring, una formazione adeguata e programmi di scambio, è anche tra le misure raccomandate in questa parte della relazione come mezzo per conseguire l’equilibrio di genere in politica. Altre misure di sostegno sono i finanziamenti e la messa in comune delle informazioni. Gli Stati membri e la Commissione devono garantire che le donne e gli uomini abbiano pari opportunità durante le campagne elettorali, assicurando finanziamenti pubblici e l’accesso ai media statali. Gli Stati membri e la Commissione dovrebbero potenziare la raccolta, l’analisi e la diffusione di dati suddivisi per sesso al fine di un monitoraggio dell’uguaglianza di genere nei processi decisionali. Per garantire il raggiungimento degli obiettivi è stata proposta una relazione annuale della Commissione europea alla commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento sui progressi realizzati in materia di uguaglianza di genere nei processi decisionali all’interno dell’Unione europea. L’importanza dei media e dell’istruzione al fine di incoraggiare le donne a partecipare alla vita politica merita di essere rilevata. Inoltre, non si deve sottovalutare il ruolo svolto dai media e dall’istruzione nel promuovere la presenza delle donne nelle sedi decisionali e nel contribuire a superare gli stereotipi  favorendo la diffusione di immagini positive di donne leader in tutti i campi. Se i “guardiani” da cui dipende l’ingresso delle donne nelle sfere decisionali sono i partiti politici, si deve tener conto del fatto che altri attori hanno una parte rilevante nel processo egualitario. Prezioso è ,infatti, l’impegno di sindacati, settore privato e organizzazioni non governative per il raggiungimento dell’uguaglianza tra donne e uomini. La rappresentanza equilibrata dei generi nella politica  è  condicio sine qua non  per democrazie stabili e trasparenti.[8] Se consideriamo i primi movimenti femministi degli anni Settanta,  e le donne del Duemila, facciamo presto a renderci conto, che nonostante tutto, nel breve arco di quarant’anni ci sono stati notevoli progressi. Le donne hanno conquistato molti diritti, tanto che, a un certo punto si è pensato all’obbligo delle “quote rosa”; importante strumento per dare avvio a meccanismi di selezione dei candidati quanto più rispettosi del principio egualitario. Sono del medesimo parere di Bianca Beccalli, autrice di Donne in quota. È giusto riservare posti alle donne nel lavoro e nella politica?quando esprime l’idea che le quote di genere debbano essere giustamente e efficacemente utilizzate all’interno di periodo delimitato, un periodo che sia sufficiente a instillare una nuova forma mentis collettiva, fondata sulla convinzione che le donne sono dotate di capacità, attitudini, doti naturali e competenze che le rendono essenziali per la crescita del Paese. La limitazione temporale delle quote di genere serve a evitare che ci possa essere un abuso dell’uso  di questo mezzo, il che comporterebbe  una gara ad armi ìmpari fra i due sessi, giacché le donne partirebbero in vantaggio rispetto agli uomini. “Essere donna è un’avventura che richiede coraggio” Desidero concludere con le parole di Oriana Fallaci, scrittrice da me molto stimata, tratte dal suo libro di maggior successo,  Lettera a un bambino mai nato: “ Essere donna è così affascinante. È un’avventura che richiede tale coraggio, una sfida che non annoia mai. Avrai tante cose da intraprendere se nascerai donna. Per incominciare, avrai da batterti per sostenere che se Dio esiste potrebbe anche essere una vecchia coi capelli bianchi o una bella ragazza. Poi avrai da batterti per spiegare che il peccato non nacque il giorno in cui Eva colse la mela: quel giorno nacque una splendida virtù chiamata disubbidienza. Infine avrai da batterti per dimostrare che dentro il tuo corpo liscio e rotondo c’è un’intelligenza che chiede d’essere ascoltata” .

Cecilia Càsole

VERSO LE QUOTE ROSA: IL CORAGGIO D’ESSERE DONNA ANCHE IN POLITICA – di Cecilia Càsoleultima modifica: 2014-11-17T11:54:30+01:00da leodar1
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