AUGUSTA, CITTA’ DEPRESSA , NON MAFIOSA

CASOLE.jpgAUGUSTA. Le vicende riguardanti le indagini per addebitare responsabilità penali ai rappresentanti della cosa pubblica, con conseguente scioglimento del Consiglio comunale, hanno gettato un’ombra sulla città e sui suoi abitanti. Così, gli augustani si dicono increduli per essere tacciati come appartenenti a un Comune mafioso. A dar voce alle lagnanze della comunità è Giorgio Càsole, docente del Liceo Mègara e giornalista che da anni segue la storia e la politica cittadina. Nel ripercorrere l’iter che ha portato allo scioglimento del Consiglio comunale e alla nomina di tre funzionari per amministrare il Comune, Càsole sottolinea. «La misura estrema è arrivata, dunque. E come spesso accade, l’equivalenza è in agguato: Augusta = mafia. La città, nota per l’inquinamento più che per la sua base militare o, meglio ancora, per il suo grande porto, che dovrebbe rappresentare una risorsa per tutta la Sicilia, era salita, poco prima della notizia dello scioglimento, alla ribalta della cronaca per il caso dell’arciprete accusato di molestie nei confronti di una 21enne. Lo scioglimento del Consiglio era dietro l’angolo, ma non avevamo ancora la certezza. Abbiamo solo intuito la profonda depressione in cui è caduta questa comunità. E certamente non ce ne rallegriamo. Qualche giorno fa, un cittadino visibilmente risentito, mi ha detto: Noi non siamo mafiosi, siamo cittadini che stiamo pagando per questo malaffare, ma questa di Augusta mafiosa, come dicono i giornali, è un’infamia e qualcuno deve pur pagare. Già, un’infamia! E chi pagherà e quando e come per quest’infamia? ». Quello citato dal docente augustano è solo uno degli esempi di malessere diffuso tra la popolazione. Qualcun altro ha detto, conclude Càsole. «Ma non sarebbe stato meglio coinvolgere solo i veri sospetti, anziché sciogliere il Consiglio, gettando un’ombra pesante su tutta la città e provocando una paralisi politica di almeno 18 mesi? ».
A. S.

21/04/2013, LA SICILIA, p. 37

Vivo successo e lunga ovazione finale per la prima nazionale di “Erano tutti miei figli” di Arthur Miller

erano tutti.jpgNAPOLI – Un intenso, scavato Mariano Rigillo, una struggente Anna Teresa Rossini, guidati dall’incisiva regia di Giuseppe Dipasquale. Vivo successo e lunga ovazione finale per la prima nazionale di “Erano tutti miei figli”, nuovo allestimento del capolavoro di Arthur Miller, che ha debuttato il 17 aprile, al Teatro Mercadante di Napoli. E’ partita dalla città partenopea la tournée nazionale di uno spettacolo che ha conquistato il pubblico per la superba prova degli interpreti e l’innovativa concezione registica e scenica, mirata ad esaltare un dramma di grande attualità, che punta il dito contro la spregiudicatezza e la corruzione del sistema economico. Un testo che lascia il segno, proposto nella traduzione di Masolino D’Amico e messo in scena da Giuseppe Dipasquale, direttore del Teatro Stabile di Catania, che produce l’allestimento in sinergia con Doppiaeffe Production s.r.l. Compagnia di Prosa. Particolarmente applauditi i protagonisti, due grandi nomi del panorama teatrale italiano: Mariano Rigillo nel ruolo del magnate Joe Keller e Anna Teresa Rossini in quello della moglie Kate. Lo spettacolo sarà in scena al Mercadante fino al 28 aprile e poi al Teatro Verga di Catania dal 3 al 19 maggio.

  Accanto a loro un cast di qualità che annovera Filippo Brazzaventre, Annalisa Canfora, Barbara Gallo, Enzo Gambino, Giorgio Musumeci, Ruben Rigillo, Silvia Siravo. Le scene sono di Antonio Fiorentino; i costumi di Silvia Polidori; le luci di Franco Buzzanca. «Nella prodigiosa struttura della pièce – evidenzia Giuseppe Dipasquale – convivono allegoria e stringente concretezza. Un dramma familiare si fa paradigma dei traumi che travagliano ancora oggi la società postindustriale. Un tono esteriore da “conversazione galante” rende anzi più inquietante la logica spietata su cui si fonda una ricchezza accumulata senza scrupoli, frutto di ciniche equazioni tra guadagno e disonestà, successo e frode, illegalità e menzogna. A prevalere è il modello della società di massa, la ricerca acritica di un benessere solo economico, inconsapevole o peggio incurante di conseguenze funeste. Laddove l’errore di un padre diventa incarnazione di un sistema perverso che minaccia i figli di tutti». Pubblicato nel 1947, “Erano tutti miei figli” (All my Sons) è il primo grande successo teatrale di Arthur Miller, testo di svolta della carriera dello scrittore americano, adattato anche per il grande schermo, che precede il noto Morte di un commesso viaggiatore (Death of a Salesman) del 1949. Il dramma è incentrato sulla figura dell’imprenditore Joe Keller, il quale durante la seconda guerra mondiale, da poco terminata, non aveva esitato a trarre profitti dalla vendita di pezzi “difettosi” destinati all’aeronautica militare, che erano costati la vita a ben 21 piloti. Intanto la sua famiglia fa i conti da tre anni con il dramma della scomparsa in guerra di un figlio mai ritrovato. Sarà la giovane fidanzata del ragazzo – figlia del socio finito in galera – della quale si è innamorato anche il fratello che la vuole sposare, a far emergere le contraddizioni nella vicenda e a svelare i misfatti e le verità abilmente celate dal cinico industriale. “Un grandissimo testo – dichiara Mariano Rigillo – che come tutti i veri capolavori conserva un’attualità costante. Scritto immediatamente dopo la seconda guerra mondiale, ha un riferimento molto preciso a quell’epoca, ma la corruzione, la spregiudicatezza e il cinismo del magnate dell’industria di cui parla possiamo ritrovarli facilmente anche oggi”.