Da qualche anno, ogni 27 gennaio, nelle scuole, osserviamo un minuto di silenzio per ricordare i morti innocenti dell’olocausto. Per me, questi secondi sembrano un eternità; il mio cuore si stringe anche ora scrivendo queste righe e non posso fare a meno di aver le lacrime agli occhi. Vorrei gridare: sento gli urli, i pianti dei bambini intasati nei vagoni di bestiami diretti ai lager, un’ andata senza ritorno, tutto sembra reale nella mia mente.
Non è un’eccesiva sensibilità mi direte? No ! Io non posso dimenticare perché a Buchenwald sono stati deportati i miei trisnonni: Moritz ERDELY e sua moglie Margrit. Certo non li ho conosciuti e anche se non fossero morti in campi di concentramento non li avrei conosciuti nemmeno. Solo al pensiero che siano morti nelle camere a gas o abbiano subito varie torture mi viene la pelle d’oca. Ma ho imparato a conoscerli grazie a questo racconto tramandato in famiglia. Il minimo che posso fare è raccontare questa storia anche a voi. Margrit, donna borghese di origine ebrea e Moritz Erdély, nobile, tutti due ungheresi si sposano a Budapest nel 1900; da la loro unione nascono Miklosh e István; István era il mio bisnonno. Dopo la prima guerra mondiale con l’occupazione dei nazisti in Ungheria, István contrario agli invasori perché partigiano, deve fuggire all’estero perché i nazisti vogliono la sua testa. Dunque, arriva in Francia e lì si sposa. Margrit e Moritz pagano le conseguenze del tradimento del loro figlio e sono sorvegliati dai nazisti. Nel 1944 la Gestapo viene fino a casa loro e arresta Margrit, colpevole di aver nel suo albero genealogico parenti ebrei. Moritz prova di tutto per toglierla dalle grinfie dei tedeschi. Ma anche se era una persona molto importante a Budapest non ci riesce. Però, non si dà pace è quando sa che sua moglie sarà deportata, lui chiede di partire con lei e lo accontentano. Moritz e Margrit partono, dunque, per il loro ultimo viaggio senza ritorno. I loro nomi insieme ad altri sono scritti su una targa all’entrata di quello che è rimasto del campo di concentramento. Io provo una grande ammirazione per Moritz, che pur di seguire la moglie ha preferito morire insieme a lei, doveva amarla tanto, a costo della vita. In nome di questo amore e per non dimenticare mai l’antisemitismo, io continuerò a raccontare questa storia ai miei figli e spero tanto che loro perpetueranno per secoli questa storia d’amore finita male per la crudeltà e l’assurdità del cosiddetto olocausto o, meglio, Shoah.
Céline Villino