Un cavallo per amico

 

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I nostalgici della tradizionale corsa dei cavalli, anche se ormai soppiantata per motivi di sicurezza pubblica, che si svolgeva ad Augusta fino a qualche tempo fa (nella foto) durante i festeggiamenti del patrono San Domenico, potranno recarsi a Messina  domani 25 maggio 2010, alle ore 10.00 presso il Club Ippico “La Palma” (contrada Veglia – Tremestieri), per assistere alla fase finale del progetto denominato “Un Cavallo per Amico”, organizzato dall’Istituto “G. Minutoli” in sinergia con l’Associazione “Equitando” ONLUS, rivolto a dieci ragazzi diversamente abili della scuola. 

 

All’evento saranno presenti il prof. Giovanni La Tona, preside dell’Istituto “G. Minutoli”, la dott.ssa Pinella Aliberti, Assessore alle politiche sociali del Comune di Messina, il signor Gianluca Paratore, Vice Presidente dell’Associazione “Equitando” ONLUS e consigliere nazionale A.N.I.R.E., il signor  Enzo Russo, direttore del Centro di Formazione Professionale (CE.FO.P.) di Messina, la Dott.ssa Flavia Vadalà  medico specializzato A.N.I.R.E.

Il progetto, al via dal mese di Aprile, si inquadra nell’ambito dell’attività formativa dell’Istituto “G. Minutoli” prevista per l’anno 2010, avendo nello specifico quali obiettivi primari la riabilitazione globale della persona in luogo aperto e la socializzazione degli utenti diversamente abili con i soggetti normodotati.

L’Associazione “Equitando” Onlus, attiva dal 2003 e centro affiliato dell’A.N.I.R.E. (Associazione Nazionale Italiana Rieducazione Equestre D.P.R. 08/07/1986 n. 610), si occupa nel territorio peloritano dell’organizzazione e della gestione delle attività di rieducazione equestre.

Il Centro di Formazione Professionale (CE.FO.P.), rappresentato  in Italia dal Presidente Antonino Perricone, componente consiglio nazionale A.N.I.R.E., nel quadro di una convenzione con la Scuola nazionale A.N.I.R.E., si occupa della formazione e qualificazione del personale quale “Operatore Ludico in terapia per mezzo del cavallo” (T.M.C.).

   Enrico  Casale

 

Gli sbandieratori di Sermoneta per la festa del patrono San Domenico

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L’Associazione “Sbandieratori Ducato Caetani città di Sermoneta” si esibiscono ad Augusta per partecipare alle celebrazioni in onore del Santo Patrono. Una partecipazione dall’alto valore promozionale per Sermoneta, che si farà sbandieratori (2).jpgsbandier.jpgin questo modo conoscere anche dal popolo siciliano con 27 membri tra alfieri, trombe, tamburini e sbandieratori. L’Associazione, nata nel 1996 con lo scopo di promuovere l’antica arte della bandiera e di portare avanti l’interesse verso il folklore nazionale ed internazionale, partecipa a manifestazioni e festival in tutto il mondo. Celebri sono le partecipazioni a Melbourne, in Corea in occasione dei Mondiali di Calcio, la festa di Santa Lucia di Monterrey (Messico), il Columbus Day di New York, i vari festival internazionali del Folklore in Perù, Brasile, Grecia, Francia Svizzera, Ungaria, Malta, Israele. Prossimo appuntamento sarà a Luglio, in Germania, in occasione del Torneo cavalleresco di Kaltenberg. L’Associazione “Sbandieratori Ducato Caetani, città di Sermoneta”, composta da circa 80 membri, opera nel territorio facendo diverse attività sia sociali che culturali. Da un punto di vista sociale l’associazione porta avanti continuativamente dei corsi di “arte della bandiera” presso un ginnasio pubblico e con il patrocinio dell’amministrazione Comunale di Sermoneta. Da un punto di vista culturale ricerca nelle antiche tradizioni del Ducato e nei personaggi della nobile famiglia Caetani le ragioni storiche del loro operare.

   telegolfo notizie

Aspetti e problemi del rapporto fra Sicilia e Spagna nell’età moderna – di Giorgio Càsole

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Nello splendido salone dei ricevimenti dell’antico palazzo signorile Migneco-Omodei (restaurato dopo il terremoto del 1990),  sono state gettate le basi, grazie al Kiwanis club, presieduto da Gaetano Paolo  Russotto,  per un gemellaggio fra Augusta e una omologa cittadina spagnola: una città a vocazione industriale, comunque con un porto  che ricordi quello di Augusta. Queste basi sono state gettate con un evento di significativa importanza culturale per la nostra comunità: la presenza di due  storici spagnoli, docenti nella pubblica Universidad Autonoma de Madrid, Antonio Alvarez Ossorio Alvarino e Fernando Marias, invitati a parlare sul “Colloquio Sicilia-Spagna. Aspetti e problemi del rapporto fra Sicilia e Spagna nell’età moderna”.

I due studiosi erano accompagnati da due loro colleghi dell’ateneo catanese: Domenico Ligresti, direttore del dipartimento di Studi politici, ordinario di Storia moderna, e Vittorio Sciuti Russi, ordinario di Storia della pubblica amministrazione. La delegazione, in mattinata, è stata accompagnata dal presidente Russotto a visitare i  monumenti risalenti alla dominazione spagnola, accompagnati da un cicerone d’eccezione,  il direttore del museo della piazzaforte, Antonello Forestiere.

Forestiere ha svolto anche, con molta  sagacia, il compito di moderatore della tavola rotonda svoltasi nel tardo pomeriggio nel citato salone dei ricevimenti, davanti a un pubblico attentissimo, ma con pochissimi studenti. Un simile convegno meritava un pubblico più numeroso e diversificato che non quello costituito dai soci del benemerito sodalizio e dei loro invitati.

Ha aperto i lavori il catanese Domenico Ligresti, il quale ha messo in luce il forte carattere autonomistico ch’ebbe la Sicilia, che godette di un periodo di pace,  lungo circa quattro secoli, mente faceva parte, al pari dei regni di Navarra, Granada, dell’impero spagnolo. Ligresti ha ricordato il forte impegno finanziario profuso dal “regno di Sicilia”, quando il parlamento deliberò una spesa di ben cinquantamila scudi per la costruzione di ventidue galere, come difesa contro il pericolo turco. La Sicilia, allora, era considerata frontiera e antimuraglia, cioè barriera, di tutta la cristianità. Le galere, a quel tempo, erano le navi che, con una tradizione trimillenaria, erano in grado di dominare il Mediterraneo. Furono soppiantate dai velieri solo nel XVIII secolo.

Vittorio Sciuti Russi ha relazionato sull’Inquisizione spagnola, nata nel 1478, per volere di Ferdinando II d’Aragona e di Isabella di Castiglia (gli stessi che finanziarono il viaggio di Cristoforo Colombo), con l’autorizzazione del papa Sisto IV, per fronteggiare le tre grandi “eresie” dell’epoca: ebraismo, maomettismo e luteranesimo. A differenza degl’inquisitori spagnoli, che dipendevano dal papa, quelli spagnoli dovevano obbedienza solo alla monarchia e mentre i giudici ordinari potevano agire entro i confini territoriali, gli inquisitori avevano giurisdizione in tutto l’impero, così che il tribunale, da  custode dell’ortodossia religiosa  divenne una specie di braccio politico dei sovrani, con funzioni di intelligence, diremmo oggi, per indagare, per esempio, sulla moralità di chi aspirava a ricevere incarichi di governo. Sciuti ha smentito l’opinione comune secondo cui l’Inquisizione spagnola fece bruciare vive le persone accusate: su 50 mila casi documentati,,, solo l’1% finì sul rogo e il 2% bruciato in effige (veniva bruciata solo un’immagine).

Antonio Alvarez-Ossorio Alvarrino si è diffuso a parlare della” Sicilia e della monarquìa de Espana,  tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII (1679-1713”, mettendo in evidenza la fortissima lealtà della Sicilia alla corona di Spagna, mentre il suo collega di Storia dell’Arte, Fernando Marias, ha illustrato, grazie anche a un powerpoint, le relazioni artistiche fra la Sicilia e la Spagna, mostrando parallelismi specialmente tra l’architettura isolana e quella iberica.

Un giovanissimo e timidissimo ricercatore  dell’ateneo catanese, Alessandro Bandiera, ha concluso i lavori  leggendo, praticamente senza pause e senza mai guardare il pubblico, le fitte pagine del suo lavoro su  Le “donne di fuori”: fate e streghe nelle mire dell’Inquisizione spagnola.

Giorgio Càsole  – nella foto da sinistra: Bandiera, Ligresti, Russotto, Alvarino, Forestiere, Sciuti Russi

Arte, cultura e poesia ad Augusta

Doveva durare solo cinque giorni, dal 14 al 19 maggio, la mostra  collettiva di quadri, della Stella, dal tema “Luci e colori del paesaggio augustano”, organizzata dal circolo culturale “Officina d’arte”nella sede della Stella Maris in Via P. Umberto.  Invece, grazie al successo di pubblico la mostra è  stata prorogata fino al 22 maggio.  Dieci gli autori : otto uomini e due donne e, nell’elencare i loro nomi ,inizierò proprio dalle donne: , Grazia Urzì, Cinzia Sciolto, Antonio Cammarata, Palmino Cipriano, Salvo Di Grande, Franco Di Maura, Carmelo Fazio, Giuseppe Guerriero, Salvo Pugliares e Santo Tringali.  La serata inaugurale è stata presentata,  con la solita garbata ironia con cui condisce il suo eloquio sempre vario e pregnante , Giorgio Càsole, docente, giornalista e poeta, che ha voluto accanto alcuni dei suoi allievi del laboratorio di teatro da lui diretto al liceo “Mègara”,  per  interpretare a più vocia un lungo componimento, che ricorda il bombardamento della città di Augusta nel maggio del 1943, scritto nel 1991 dall’allora preside del liceo scientifico “Saluta”, Giovanni Satta, presente eccezionalmente, alla serata, che si è vivamente complimentato con Giorgio Càsole,  affermando di essere parco nei complimenti, e con i ragazzi, di cui ricordiamo i nomi, sempre partendo dalle donne: Vanessa Fuccio, Federica Gentile, Agnese Giudice, Erika Tommasi, Francesco Di Franco, Alberto Giandinoto e Francesco Marino. Durante la serata è stato anche premiato un atleta augustano, Gianfranco Nasti, per cui l’età anagrafica è solo un dettaglio perché ama ancora mettersi alla prova per superare record nella specialità del nuoto.

 

Daniela Domenici –    Nella foto: da sin.: Giorgio Càsole, Giovanni Satta; di spalle, da sin.: Federica Gentile, Vanessa Fuccio,  Agnese  Giudice, Erika Tommasi,  Francesco Marino.

 

“Maria di Nazareth e il sacerdozio del Cristiano” nella Chiesa di San Francesco di Paola

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Una piacevole e interessante conferenza con partecipato dibattito finale si è svolta nella Chiesa di San Francesco di Paola a cura del parroco, don Francesco Scatà, e del presidente del gruppo parrocchiale di Azione Cattolica, Domenico Strazzulla.

Il biblista, con un linguaggio semplice e comprensibile anche per i non addetti ai lavori, ha parlato dell’importanza del sacerdozio e del concetto di sécralità che nell’Antico Testamento rivestiva un ruolo particolare, di tutto rispetto e di netta separazione dal profano. Il sacerdote ricopriva una posizione di preminenza e di responsabilità, doveva rispondere a ben definiti requisiti etico-morali, e  interpretava la preghiera come un mezzo di rapportarsi direttamente con Dio, intercedendo per i mali degli altri, e offrendoGli dei sacrifici sottoforma di cibi, animali, appunto per chiedere il perdono,  protezione e quindi il consequenziale riavvicinamento dei peccatori. Relatore, qualificato e apprezzato dal numeroso pubblico, Don Nisi Candido, Direttore dell’Istituto Superiore Scienze Religiose “ S. Metodio” di Siracusa.

 

Fase chiusa con l’avvento di Cristo, che al posto  del sangue di animali vari, ha   offerto, in qualità di sacerdote, come vittima sacrificale Se stesso e il Suo stesso sangue, offrendosi per il perdono di tutti i peccatori e istituendo così il solenne sacramento dell’Eucarestia.

In tal modo, ha spiegato Don Nisi, nel culto a Dio, Gesù ha voluto dare risalto al momento liturgico-eucaristico, ma ha anche evidenziato in maniera imprescindibile l’importanza  del momento della Carità, intesa come capacità del cristiano che ha ricevuto  l’ostia consacrata, e quindi il Corpo e il Sangue di Gesù, di saper a sua volta dare e offrire se stesso per il bene di tutti gli uomini, in particolare dei più bisognosi.

Nella simbologia del Cristo in croce le braccia allargate stanno a indicare la missione di abbracciare e  recuperare tutti gli uomini.

In tal senso ancora una volta, ha sottolineato don Candido Dionisio, la preghiera, particolare momento di vicinanza e di rapporto diretto con Dio, simboleggia la capacità di interporsi tra l’uomo e Dio, al fine di mediare ed essere un funzionale strumento di raccordo per la riappacificazione ed il ravvicinamento di tutti gli uomini, buoni e cattivi compresi, a Dio.

Maria di Nazareth, che ha incarnato perfettamente la figura del Sacerdote, da Cana al Calvario ha offerto  se stessa, sia  nei momenti di gioia e felicità familiare che in quelli della solitudine, della sofferenza estrema e del dolore della croce.

Nel dibattito, don Luca Gallina, della Parrocchia di S.Lucia, ha posto l’accento sull’importanza della celebrazione eucaristica che, come confermato da don Nisi, ha acquisito una maggiore efficacia con il Concilio Vaticano II, prevedendo, con varie misure, tra cui  l’utilizzo della propria lingua e il nuovo posizionamento dell’altare e del celebrante voltato verso il popolo (coram populo), una partecipazione attiva da parte dell’assemblea dei fedeli.

Il direttore dell’ISSR di S. Metodio ha poi risposto al quesito posto dal dott. Gulino il quale ha avanzato perplessità in merito all’efficacia dell’attuale catechesi in soggetti adulti, già contraddistinti da un proprio vissuto, da acquisite e consolidate abitudini e comportamenti in un contesto socio-culturale non proprio ideale per lo spirito cristiano.

Si tratta” – ha riferito don Nisi, -“di un percorso di formazione che deve vedere il cristiano impegnato in un progetto di vita contraddistinto soprattutto dallo studio, dal silenzio, dalla contemplazione e della consequenziale presa di coscienza degli inevitabili errori commessi, il tutto in un processo dinamico di crescita.

Don Francesco Scatà si è soffermato quindi sull’importanza del momento della Carità che a sua volta necessita sia di una buona catechesi che di una perfetta adesione ai valori trasmessi e condivisi nella liturgia eucaristica.

Dio è tutto e tutto può, Dio è la Parola, con Dio non esiste alcuna difficoltà nel passaggio dal dire al fare. – Fiat lux. Et lux facta est”– ha asserito il prof. Terranova, esaltando al contempo la figura di Maria di Nazareth come madre di Gesù e di Dio.

La serata ha registrato pure l’introduzione del presidente ACI, Domenico Strazzulla che ha confermato la devozione e il culto Mariano degli augustani, e la dedica, sempre a Maria di Nazareth, di due canti da parte della corale polifonica Iubilaeum, rispettivamente all’inizio e alla conclusione dei lavori.

Soddisfatti e arricchiti spiritualmente, i numerosi e affezionati parrocchiani  hanno lasciato, solo in tarda serata, la Chiesa di S. Francesco di Paola.

           Gaetano Gulino

RISORGIMENTO, FU VERA GLORIA? di Giulia Càsole

garibaldi.jpgQuest’anno ricorre il 150° anniversario dell’unità italiana, grazie soprattutto all’impresa di Garibaldi e dei Mille.

Com’è noto, il presidente della repubblica, Napolitano, è sbarcato a Marsala dove, nel 1860, sbarcò la spedizione garibaldina per conquistare l’Italia partendo dalla Sicilia e offrirla ai Savoia del regno di Piemonte-Sardegna, proprio, come nel II conflitto mondiale gli Alleati Anglo-Americani sbarcarono in Sicilia per risalire l’Italia e liberata dal nazi-fascismo, riconsegnarla ancora una volta ai Savoia, anche se per poco, perché –come si ricorderà – nel giugno ’46, con il referendum istituzionale, la monarchia perse il trono e il re Umberto II  fu costretto all’esilio in Portogallo.

Alla Storia da un altro punto di vista, dall’angolo visuale degli occupati, del regno borbonico o delle Due Sicilie, com’era allora chiamato,  tradito dai suoi stessi generali e  “liberato” facilmente, come in una scaramuccia.

Come poterono, infatti, mille uomini, male in arnese, sconfiggere un esercito di 35.000 uomini, qual era quello borbonico in Sicilia,  bene addestrato ed equipaggiato, se non ci fosse stata la complicità o la connivenza dei generali? Non è neanche vero che il popolo si sollevò, come avevano pensato Garibaldi e i suoi alleati massoni.  Gli abitanti di quel regno, che potremmo chiamare duo siciliani, non stavano peggio degli abitanti degli altri stati in cui era divisa l’Italia; anzi, c’erano istituzioni per i poveri, per esempio, che in altri regni non esistevano e c’erano industrie che nell’opulento nord Italia odierno si sognavano. Il Banco di Sicilia era ben fornito di riserve auree che fecero sùbito gola a Garibaldi.

Garibaldi che, appena sbarcato, si autoproclamò dittatore e, arrivato a Palermo, s’impadronì del tesoro del Banco, lasciando una ricevuta. Il “dittatore” aveva fatto credere ai contadini che avrebbero avuto le terre e, per questa ragione, se escludiamo taluni intellettuali e i “picciotti”, ci furono quelli che lo seguirono a ingrossare i suoi Mille.

Quando, però, i contadini, prendendo alla lettera il verbo garibaldino, occuparono davvero le terre, come a Bronte, compiendo davvero una vera rivoluzione, Garibaldi inviò a Bronte il suo luogotenente Nino Bixio per ristabilire lo status quo. Bixio, dopo un processo sommario, fece giustiziare i capi dei  rivoltosi e, fra questi, l’avvocato Lombardo che non si era macchiato di sangue.

Bixio voleva dare una lezione ferrea a tutti coloro che s’erano illusi  che stavano davvero cambiando le cose. Bisognava  cambiare tutto perché  non cambiasse niente, anche perché Garibaldi doveva difendere gl’interessi degl’Inglesi, da tanti punti di vista. E vicino a Bronte c’era la Ducea di Nelson, cioè i terreni che il re borbonico aveva donato all’ammiraglio trionfatore su  Napoleone.

Da questo punto di vista  ha affrontato la questione l’Associazione delle Due Sicilia, costituitasi qualche anno fa, proprio per tentare di dare una giusta linea interpretativa di quel periodo.

Lo ha  fatto per bocca del suo presidente Giacomo Casole,  esperto del regno delle Due Sicilie, il quale ha quasi rampognato il presidente Napolitano perché non è andato a Bronte, per ristabilire la verità.  Ha introdotto l’avv. Gaetano Vinci, nell’auditorium di Palazzo S. Biagio, sabato 22 maggio.  Discorsi del genere converrebbe proporli agli studenti, perché capiscano che, spesso, la storia è scritta dai vincitori, i quali, altrettanto  spesso, praticano sui vinti la damnatio memoriae, cioè cancellano dei vinti  le tracce della loro esistenza.

Giulia Càsole