GRANDE RIEVOCAZIONE IN COSTUME DEL COMPRENSIVO “PRINCIPE DI NAPOLI”

Se le istituzioni civiche non pensano a Federico II, padre fondatore di Augusta, le istituzioni scolastiche provvedono a colmare la lacuna. E lo fanno con grande impegno. Ci riferiamo alla suggestiva “rievocazione storica” dell’entrata in città di Federico II di Svevia e della sua corte itinerante. Dovremmo dire una rievocazione fantastica, seppure in costume dì’epoca, perché è quasi certo che Federico, già  ai suoi tempi chiamato stupor mundi, cioè meraviglia del mondo, non mise mai piede  nell’isola che da lui, imperatore “Augusto”, ricava il nome, a maggio ragione non mise mai piede con la corte che lo seguiva , un caravanserraglio di ministri, preti, concubine, servitori, odalische,giullari, buffoni, animali. La “rievocazione è stata organizzata dalla più antica scuola pubblica  cittadina,  l’istituto comprensivo “Principe di Napoli”, diretto per il secondo anno, da una dinamicissima  “indigena”, Agata, meglio nota come Tea, Sortino, che possiamo definire federiciana convinta, visto che quest’anno ha organizzato, oltre alla “rievocazione” un incontro studio su Federico II a Palazzo San Biagio e ha pubblicato un volumetto sui “Federico II e Augusta”. La “rievocazione” è ormai considerato un vero e proprio “evento”, da inserire nel quadro dei festeggiamenti in onore del santo patrono Domenico di Guzman, che vengono celebrati a fine maggio. Tutto ha inizio con una  sfilata, che prende le mosse dalla parte “bassa”  dell’isola-centro storico, dove ha sede la scuola, per snodarsi lungo la via principale, la via mastra, la via Principe Umberto, e concludersi in piazza Duomo, con una serie di  “numeri” vari: balletti, esibizioni funamboliche, pantomime, recitazioni. Il tutto rigorosamente in costume, con un suggestivo sottofondo musicale e con un commento dal vivo. Tutta la scuola è coinvolta e non solo i bambini dei tre  gradi: scuola materna, primaria e media, ma professori, collaboratori, volontari, come tutte le mamme; persino il vicario della dirigente,  Giuseppe Salemi, interpreta con composta dignità il papa, vestito di tutto punto. L’imperatore Federico II, anch’egli superbo nel costume, come la sua consorte,  fa la sfilata a cavallo, fiero come il suo padrone, e poi siede in trono, sul sagrato della chiesa madre. Quest’anno la dirigente, come lo scorso anno, ha organizzato un “incontro con il sindaco della città, Carrubba, ma, a differenza del 2009, la dirigente ha voluto che si leggesse una  significativa lettera di San Francesco ai “reggitori del mondo”: l’interpretazione della lettera è stata affidata a Giorgio Càsole , voce fuori campo. Consolidato il successo, l’appuntamento è al prossimo anno.

    Giulia Càsole 

RISORGIMENTO, FU VERA GLORIA? di Giulia Càsole

garibaldi.jpgQuest’anno ricorre il 150° anniversario dell’unità italiana, grazie soprattutto all’impresa di Garibaldi e dei Mille.

Com’è noto, il presidente della repubblica, Napolitano, è sbarcato a Marsala dove, nel 1860, sbarcò la spedizione garibaldina per conquistare l’Italia partendo dalla Sicilia e offrirla ai Savoia del regno di Piemonte-Sardegna, proprio, come nel II conflitto mondiale gli Alleati Anglo-Americani sbarcarono in Sicilia per risalire l’Italia e liberata dal nazi-fascismo, riconsegnarla ancora una volta ai Savoia, anche se per poco, perché –come si ricorderà – nel giugno ’46, con il referendum istituzionale, la monarchia perse il trono e il re Umberto II  fu costretto all’esilio in Portogallo.

Alla Storia da un altro punto di vista, dall’angolo visuale degli occupati, del regno borbonico o delle Due Sicilie, com’era allora chiamato,  tradito dai suoi stessi generali e  “liberato” facilmente, come in una scaramuccia.

Come poterono, infatti, mille uomini, male in arnese, sconfiggere un esercito di 35.000 uomini, qual era quello borbonico in Sicilia,  bene addestrato ed equipaggiato, se non ci fosse stata la complicità o la connivenza dei generali? Non è neanche vero che il popolo si sollevò, come avevano pensato Garibaldi e i suoi alleati massoni.  Gli abitanti di quel regno, che potremmo chiamare duo siciliani, non stavano peggio degli abitanti degli altri stati in cui era divisa l’Italia; anzi, c’erano istituzioni per i poveri, per esempio, che in altri regni non esistevano e c’erano industrie che nell’opulento nord Italia odierno si sognavano. Il Banco di Sicilia era ben fornito di riserve auree che fecero sùbito gola a Garibaldi.

Garibaldi che, appena sbarcato, si autoproclamò dittatore e, arrivato a Palermo, s’impadronì del tesoro del Banco, lasciando una ricevuta. Il “dittatore” aveva fatto credere ai contadini che avrebbero avuto le terre e, per questa ragione, se escludiamo taluni intellettuali e i “picciotti”, ci furono quelli che lo seguirono a ingrossare i suoi Mille.

Quando, però, i contadini, prendendo alla lettera il verbo garibaldino, occuparono davvero le terre, come a Bronte, compiendo davvero una vera rivoluzione, Garibaldi inviò a Bronte il suo luogotenente Nino Bixio per ristabilire lo status quo. Bixio, dopo un processo sommario, fece giustiziare i capi dei  rivoltosi e, fra questi, l’avvocato Lombardo che non si era macchiato di sangue.

Bixio voleva dare una lezione ferrea a tutti coloro che s’erano illusi  che stavano davvero cambiando le cose. Bisognava  cambiare tutto perché  non cambiasse niente, anche perché Garibaldi doveva difendere gl’interessi degl’Inglesi, da tanti punti di vista. E vicino a Bronte c’era la Ducea di Nelson, cioè i terreni che il re borbonico aveva donato all’ammiraglio trionfatore su  Napoleone.

Da questo punto di vista  ha affrontato la questione l’Associazione delle Due Sicilia, costituitasi qualche anno fa, proprio per tentare di dare una giusta linea interpretativa di quel periodo.

Lo ha  fatto per bocca del suo presidente Giacomo Casole,  esperto del regno delle Due Sicilie, il quale ha quasi rampognato il presidente Napolitano perché non è andato a Bronte, per ristabilire la verità.  Ha introdotto l’avv. Gaetano Vinci, nell’auditorium di Palazzo S. Biagio, sabato 22 maggio.  Discorsi del genere converrebbe proporli agli studenti, perché capiscano che, spesso, la storia è scritta dai vincitori, i quali, altrettanto  spesso, praticano sui vinti la damnatio memoriae, cioè cancellano dei vinti  le tracce della loro esistenza.

Giulia Càsole

Doppia performance di Giorgio Càsole

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Doppia performance di Giorgio Càsole nei giorni scorsi a brevissima distanza l’una dall’altra. E’ stato impeccabile fine dicitore, come si usava dire una volta, nella chiesa di Cristo Re, domenica 29 novembre,  in occasione di un concerto-spettacolo sacro organizzato da Giovanni Intravaia, in onore del Poverello d’Assisi. Trascorso un giorno appena è stato relatore in un convegno dedicato a Federico II di Svevia.

 Martedì  1° dicembre si è svolto nell’auditorium “Don Paolo Liggeri” del civico palazzo San Biagio di Augusta un interessante convegno, patrocinato dalla locale sezione  Associazione Culturale Nuova Acropoli,  dal titolo “Federico II Stupor Mundi. Un viaggio tra storia, mito e leggenda”. Alla fine del convegno è stato rappresentato un dialogo immaginario tra Federico II (G. Di Giacomo) e la Storia (interpretata da C. Riciputo), a cura del gruppo locale “Redicuori”.

Un omaggio sicuramente doveroso verso colui a cui dobbiamo la fondazione della nostra città. A questo proposito il prof. Giorgio Càsole, uno dei tre relatori che hanno tenuto il convegno, all’inizio del proprio intervento, ha colto l’occasione per evidenziare come la città non abbia dedicato al proprio fondatore alcuna strada o piazza o altra opera pubblica.

Il docente aveva già pubblicamente messo in evidenza questa “dimenticanza”  ben 22 anni fa. Nell’aprile 1987, infatti, il prof. Càsole aveva organizzato, nel settecentesco salone di rappresentanza del palazzo municipale,  il primo convegno su Federico II, invitando a parlare il prof. Salvatore Leone, ordinario di Storia medievale all’Università di Catania. In quell’occasione, l’allora sindaco Vittorio D’Amico promise d’intitolare a Federico II il costruendo ponte che oggi attraversa il golfo Xifonio. Promessa mantenuta da D’Amico che poi  decadde. Chi vene dopo di lui, però, niente ha fatto per  faro conoscere la decisione di D’Amico, nel senso che non è stato applicata alcuna insegna per rendere nota l’intitolazione.

Solo il Kiwanis club, sempre su sollecitazione dello stesso Càsole, ha applicato una targa, difficilmente leggibile. Quanti sono i giovani e i comuni cittadini  che sanno dell’intitolazione del ponte?, si è domandato Giorgio Càsole,il quale ha ribadito quanto aveva già detto 22 anni fa: a Lentini, città non fondata da Federico, una via del centro storico è dedicata all’imperatore, aggiungendo che a Ragusa ci sono ben tre ponti, ciascuno con la denominazione chiaramente leggibile attraverso numerose insegne. L’ex sindaco D’Amico era presente  nell’auditorium  stipato in ogni ordine di posto.

Gli altri due relatori sono stati l’avvocato Elio Salerno e la professoressa Adriana Pricone.

Il primo ad avere la parola è stato l’avvocato Elio Salerno, presidente della Commissione Comunale Storia Patria di Augusta,  che ha tracciato le linee generali del personaggio e dell’epoca.

Ha poi relazionato il prof. Giorgio Càsole, direttore del Giornale di Augusta, che ha presentato il personaggio attraverso  i rapporti con il papato, con  alcuni sodali, come Pier delle Vigne e, soprattutto, attraverso un’attenta disamina della Scuola poetica siciliana, conosciuta e apprezzata da Dante.

Càsole ha detto che solo per un accidente storico, anche se di grossa rilevanza, come la produzione in volgare fiorentino delle opere dello stesso Dante, di Petrarca e Boccaccio, oggi la lingua nazionale non deriva da quel siciliano illustre con cui poetarono i rimatori di quella Scuola, di cui uno dei maggiori esponenti, se non il maggiore è Jacopo da Lentini, di cui il docente ha interpretato alcuni sonetti, amplificandone l’effetto con la suggestione di un sottofondo musicale per chitarra curato da un suo alunno, Davide Russo, frequentante la IV D dello scientifico.

Infine,  la coordinatrice del convegno, prof.ssa Adriana Pricone, presidente della Associazione Culturale Nuova Acropoli di Augusta, ha tratteggiato la personalità dell’Imperatore attraverso un excursus storico della sua vita, evidenziando le figure e gli avvenimenti che ne hanno fatto lo Stupor Mundi: dal nonno Federico Barbarossa, alla madre Costanza D’Altavilla, alla sua infanzia a Palermo, al suo rapporto con il papato, alla scomunica, ai suoi molteplici interessi culturali, artistici, religiosi.

Si è sicuramente apprezzato l’apporto estremamente originale che ciascun relatore ha voluto dare alla propria presentazione, facendo sì che proprio dalle diverse angolazioni si cogliesse una visione il più completa possibile di questo sfaccettato personaggio.

Dal convegno si è evidenziata proprio la figura illuminata di questo Imperatore, che pur appartenendo a un periodo di oscurantismo quale il Medioevo, per l’apertura mentale che lo caratterizzò, andrebbe collocato in un periodo storico quale il Rinascimento. I suoi interessi spaziavano dalla cultura, all’arte, alle diverse religioni. Federico era un uomo che rimasto orfano da bambino e affidato al papato, seppe riprendersi al momento giusto ciò che gli spettava per nascita. tore. Un uomo che seppe creare e mantenere un Impero. Un uomo che dopo aver girato e conquistato il mondo ha fatto ritorno nella terra della sua fanciullezza, per riposare nella cattedrale di Palermo, in un sarcofago di granito rosso vicino alla moglie Costanza d’Aragona.

Ecco che un tale uomo e il suo agire non può e non deve giacere nell’oblio e la città di Augusta deve rendergli l’onore che merita in quanto suo fondatore, e fare tesoro del fatto che gli ideali fanno le persone grandi e quindi capaci di grandi azioni, come Federico.

 

Francesca Epaminonda

 

CONVEGNO SU FEDERICO II STUPOR MUNDI

convegno federico ii.jpg

Martedì  1° dicembre si è svolto nell’auditorium “Don Paolo Liggeri” del civico palazzo San Biagio di Augusta un interessante convegno, patrocinato dalla locale sezione  Associazione Culturale Nuova Acropoli,  dal titolo “Federico II Stupor Mundi. Un viaggio tra storia, mito e leggenda”.  Un omaggio sicuramente doveroso verso colui a cui dobbiamo la fondazione della nostra città. A questo proposito il prof. Giorgio Càsole, uno dei tre relatori che hanno tenuto il convegno, all’inizio del proprio intervento, ha colto l’occasione per evidenziare come la città non abbia dedicato al proprio fondatore alcuna strada o piazza o altra opera pubblica.

Il docente aveva già pubblicamente messo in evidenza questa “dimenticanza”  ben 22 anni fa. Nell’aprile 1987, infatti, il prof. Càsole aveva organizzato, nel settecentesco salone di rappresentanza del palazzo municipale,  il primo convegno su Federico II, invitando a parlare il prof. Salvatore Leone, ordinario di Storia medievale all’Università di Catania. In quell’occasione, l’allora sindaco Vittorio D’Amico promise d’intitolare a Federico II il costruendo ponte che oggi attraversa il golfo Xifonio. Promessa mantenuta da D’Amico che poi  decadde. Chi vene dopo di lui, però, niente ha fatto per  faro conoscere la decisione di D’Amico, nel senso che non è stato applicata alcuna insegna per rendere nota l’intitolazione.

Solo il Kiwanis club, sempre su sollecitazione dello stesso Càsole, ha applicato una targa, difficilmente leggibile. Quanti sono i giovani e i comuni cittadini  che sanno dell’intitolazione del ponte?, si è domandato Giorgio Càsole,il quale ha ribadito quanto aveva già detto 22 anni fa: a Lentini, città non fondata da Federico, una via del centro storico è dedicata all’imperatore, aggiungendo che a Ragusa ci sono ben tre ponti, ciascuno con la denominazione chiaramente leggibile attraverso numerose insegne. L’ex sindaco D’Amico era presente  nell’auditorium  stipato in ogni ordine di posto.

Gli altri due relatori sono stati l’avvocato Elio Salerno e la professoressa Adriana Pricone.

Il primo ad avere la parola è stato l’avvocato Elio Salerno, presidente della Commissione Comunale Storia Patria di Augusta,  che ha tracciato le linee generali del personaggio e dell’epoca.

Ha poi relazionato il prof. Giorgio Càsole, direttore del Giornale di Augusta, che ha presentato il personaggio attraverso  i rapporti con il papato, con  alcuni sodali, come Pier delle Vigne e, soprattutto, attraverso un’attenta disamina della Scuola poetica siciliana, conosciuta e apprezzata da Dante.

Càsole ha detto che solo per un accidente storico, anche se di grossa rilevanza, come la produzione in volgare fiorentino delle opere dello stesso Dante, di Petrarca e Boccaccio, oggi la lingua nazionale non deriva da quel siciliano illustre con cui poetarono i rimatori di quella Scuola, di cui uno dei maggiori esponenti, se non il maggiore è Jacopo da Lentini, di cui il docente ha interpretato alcuni sonetti, amplificandone l’effetto con la suggestione di un sottofondo musicale per chitarra curato da un suo alunno, Davide Russo, frequentante la IV D dello scientifico.

Infine,  la coordinatrice del convegno, prof.ssa Adriana Pricone, presidente della Associazione Culturale Nuova Acropoli di Augusta, ha tratteggiato la personalità dell’Imperatore attraverso un excursus storico della sua vita, evidenziando le figure e gli avvenimenti che ne hanno fatto lo Stupor Mundi: dal nonno Federico Barbarossa, alla madre Costanza D’Altavilla, alla sua infanzia a Palermo, al suo rapporto con il papato, alla scomunica, ai suoi molteplici interessi culturali, artistici, religiosi.

Si è sicuramente apprezzato l’apporto estremamente originale che ciascun relatore ha voluto dare alla propria presentazione, facendo sì che proprio dalle diverse angolazioni si cogliesse una visione il più completa possibile di questo sfaccettato personaggio.

Dal convegno si è evidenziata proprio la figura illuminata di questo Imperatore, che pur appartenendo a un periodo di oscurantismo quale il Medioevo, per l’apertura mentale che lo caratterizzò, andrebbe collocato in un periodo storico quale il Rinascimento. I suoi interessi spaziavano dalla cultura, all’arte, alle diverse religioni. Federico era un uomo che rimasto orfano da bambino e affidato al papato, seppe riprendersi al momento giusto ciò che gli spettava per nascita. Un uomo che seppe creare e mantenere un Impero. Un uomo che dopo aver girato e conquistato il mondo ha fatto ritorno nella terra della sua fanciullezza, per riposare nella cattedrale di Palermo, in un sarcofago di granito rosso vicino alla moglie Costanza d’Aragona.

Ecco che un tale uomo e il suo agire non può e non deve giacere nell’oblio e la città di Augusta deve rendergli l’onore che merita in quanto suo fondatore, e fare tesoro del fatto che gli ideali fanno le persone grandi e quindi capaci di grandi azioni, come Federico.

 

                              Francesca Epaminonda

La porta spagnola di Augusta

porta.jpgAUGUSTA. Correva l’anno 1681. I conquistatori spagnoli tenevano saldo il potere in Sicilia. Nell’Isola a rappresentare il re “cattolicissimo” Carlo II era il conte Francesco di Benavides, uno di quei nobili carichi di titoli che potevano aspirare a svolgere la funzione di viceré. Benavides, nel 1680, vide bene di persona in quale stato miserando era ridotta Augusta, dopo  circa un triennio di occupazione francese (agosto 1675-marzo 1678), e decise di porre riparo alla situazione , provvedendo specialmente  a un nuovo sistema difensivo. Già all’epoca, il viceré stimava  il porto di Augusta come uno dei più importanti dei domini reali spagnoli e, quindi, era necessario provvedere alla sua difesa. Per la tutela della città e del suo porto, Benavides incaricò   Carlos  De Grunembergh, un nobile di chiara fama come ingegnere. De Grunembergh apportò molte migliorie alle fortificazioni esistenti e progettò due monumentali porte di terra:  della prima, detta del Rivellino o Quintana (dal nome di un consigliere del viceré, che diresse i lavori)  rimangono  parte dello stipite sinistro e la colonna tortile,che ricorda, cioè, una spirale, che aveva funzione eminentemente decorativa; la seconda è rimasta praticamente integra,  sopravvissuta alla voracità del tempo e a quella degli uomini: è l’arco, sotto cui, fino a vent’anni fa, era obbligatorio passare per entrare in Augusta. E’ la Porta Spagnola, simbolo riconosciuto di Augusta, come il teatro greco lo è di Siracusa e la statua dell’elefante di Catania. Fin a quando ha avuto vita la Banca popolare di Augusta (oggi di proprietà della Banca agricola popolare di Ragusa), il profilo della Porta Spagnola era riprodotto sugli assegni  e sulle copertine dei bilanci dell’istituto di credito,  come  segno distintivo per indicare l’indissolubile nesso tra banca e città, dov’era nata alla fine dell’Ottocento.  Nel 1681, dunque, la monumentale porta, progettata da De Grunembergh,  fu portata a termine con  piena  soddisfazione degli augustani che si sentivano più sicuri,  più protetti da ben tre porte  (della prima, quella più vicina al centro abitato, denominata Porta Madre di Dio, non sono visibili resti), ma, soprattutto, con il legittimo orgoglio del fedele  viceré spagnolo , in onore del quale fu incisa la seguente epigrafe in latino:

D.O.M. CAROLO II HISPANIARVM AC SICILIAE REGE IMPERANTE DON FRANCISCVS BENAVIDES COMES SANTISTEVAN SICILIAE PROREX IN TANTI PORTVS LITORE MVNIENDO NON SOLVM SICILIAE SED TOTIVS ITALIAE ET CHRISTIANI NOMINIS INCOLVMITATI CONSVLERE EXISTIMAVIT ANNO M DC XXCI.

L’acronimo D.O.M. sta per a Dio Ottimo Massimo  e immediatamente richiama alla memoria un’analoga iscrizione romana, laddove in luogo di Dio si deve leggere Giove.  L’epigrafe riferisce che:

REGNANDO CARLO II IN SPAGNA E IN SICILIA,  DON FRANCESCO BENAVIDES, CONTE DI SANTOSTEFANO E VICERE’ DI SICILIA, NEL FORTIFICARE IL LITORALE DI UN COSI’ GRANDE PORTO, STIMO’ DI PROVVEDERE  ALLA SALVEZZA NON SOLO DELLA SICILIA, MA DELL’ITALIA INTERA  E DELLA CRISTIANITA’ (1681).

Dopo gl’interventi di pulitura e di restauro, portati a termine qualche anno fa, sotto la tutela della soprintendente Mariella Muti, l’epigrafe è oggi maggiormente leggibile nella lapide marmorea  murata sopra un mascherone posto in rilievo nella chiave dell’arco e sotto l’enorme scudo regio di Carlo II.  Questo stemmaimperiale, collocato al vertice della Porta Spagnola  è sostenuto ai lati da due grifoni  e circondato dal collare del prestigioso ordine cavalleresco  spagnolo del Toson d’oro, conferito  ai nobili che erano in grado di difendere la chiesa cattolica e garantire sicurezza alla cosa pubblica Del Toson d’oro si sono fregiati gli Asburgo d’Austria e di Spagna e Carlo II è stato proprio l’ultimo asburgo a regnare in Spagna.

In posizione decisamente inferiore, ma posti  al di sopra dei pilastri laterali  della Porta gli stemmi nobiliari del viceré Benavides che sovrastano due altri mascheroni, di dimensioni inferiori a quello centrale.

La Porta Spagnola di Augusta è sopravvissuta all'”immane terremoto” del 9 e 11 gennaio 1693, alle bombe sganciate dagli Americani il l3 maggio del 1943 . Riuscirà a sopravvivere alle ferite  inferte dagli uomini? Un arco analogo a Siracusa  è stato distrutto durante il  regime fascista e i suoi pezzi sono conservati al museo Bellomo. Ad Augusta i vandali storici e quelli occasionali sono stati vinti. Almeno fin ora.

 Giorgio Càsole

Urbem Syracusas summam esse graecarum

tullio.pngSono parole di Marco Tullio Cicerone, uno dei massimi scrittori della latinità, avvocato tra i maggiori di Roma e uomo politico influente all’epoca di Giulio Cesare. Per Cicerone, Siracusa era la più grande  delle città greche. I Romani conquistatori erano un popolo rozzo, praticamente senza cultura, che, per cinque secoli non avevano prodotto  una letteratura. Quando nel  III  secolo a. C. conquistarono le colonie della Magna Grecia nel meridione d’Italia, rimasero  affascinati dalla cultura ellenica, in tutte le sue espressioni artistiche, e cominciarono, allora, ad assimilarla fino a farla diventare propria. ” Graecia capta ferum victorem cepit”, cioè la Grecia conquistata conquistò il feroce vincitore, riconobbe secoli dopo il grande poeta Orazio, il poeta del celebre “carpe diem”, dell’età di quell’Ottaviano che fu elevato all’onore di Augusto, dopo aver sconfitto Marco Antonio, segnando così la fine delle guerre civili. I poeti, gl’intellettuali in genere, da Roma si recavano spesso in Grecia, considerata la patria della cultura,  del pensiero filosofico,  delle radici mitiche. La mitologia romana, che era la loro  religione,  è tutta impregnata di radici greche. I Romani si limitarono a mutare i nomi degli dei greci:  Zeus, il  sommo dio, divenne Giove, la di lui moglie Era  fu chiamata  Giunone, il mitico semidio Eracle Ercole, e così via.  Dunque, non poteva che essere entusiastico il giudizio di Cicerone quando vide e visitò Siracusa, una delle capitali della Magna Grecia, che aveva una vita di circa sette secoli all’epoca di Cicerone, il quale  la definì anche la più bella di tutte le città. Dovette apparire all’illustre senatore romano come una metropoli , anche perché Siracusa era una pentapoli, comprendeva, cioè,cinque città (da intendere, ovviamente, con il significato del tempo): Acradina, Epipoli, Neàpolis, Tyche e, naturalmente, Ortigia, l’isola del mito di Alfeo e Aretusa,che i greci fondatori della città avevano importato dalla madre patria, vero e proprio mito di fondazione, tant’è vero che si può  usare “aretuseo” come sinonimo di “siracusano”. Secondo il mito, Alfeo, figlio di Oceano e Teti, si era innamorato della ninfa Aretusa e, per conquistarla, assunse l’aspetto di un cacciatore. Aretusa, avvertito il pericolo, fuggì velocemente e lontano: attraversò il mare, approdò in Sicilia e trovò rifugio nell’isola di Ortigia, cara alla dea Artemide, Diana per i Romani (Ortigia è uno dei soprannomi della dea). Per sottrarla del tutto alle grinfie di Alfeo,  Artemide trasformò la ninfa  in sorgente. Alfeo, profondamente innamorato,  dio di un fiume che scorreva oltre il monte Olimpo, fece scorrere le acque sotto il mare per emergere a Ortigia dove esse  si mescolarono a quelle di Aretusa. La “fonte Aretusa”,nel cuore di Ortigia, è uno dei percorsi obbligati di chi visita Siracusa, che potrebbe essere considerata  il degno coronamento di un viaggio in Sicilia, l’isola che è al centro del Mediterraneo e che potrebbe essere considerata per il clima mite la  California dell’Unione Europea. Guy de Maupassant, scrittore francese di  fine Ottocento,  riferendosi proprio a Siracusa, osservava : “E’ con questa graziosa e singolare cittadina che bisogna concludere un’escursione in Sicilia.” A Siracusa le vestigia della  civiltà greca non sono soltanto reperti  da ammirare, ma  testimonianze “vive”, come, per esempio, l’amplissima cavea del teatro, il più grande dei teatri greci, dopo quello di Epidauro in Grecia, dove ogni anno, i n primavera, attori professionisti fanno rivivere sulla scena i  capolavori dei grandi tragici greci, Eschilo, Sofocle, Euripide, realizzando una suggestione unica, che fa rituffare gli spettatori in un passato remoto e alonato di misticismo, quando, per i greci, andare a teatro era, come per i cattolici, andare a messa.  Non molto distante dal teatro greco il parco archeologico della Neàpolis con  quella grotta straordinaria per morfologia e acustica, che è definita” l’orecchio di  Dionisio,” perché, secondo la tradizione orale, uno dei tiranni di Siracusa, Dionisio o Dionigi, posto alla sommità, riusciva ad ascoltare distintamente i discorsi dei prigionieri rinchiusi all’interno della grotta, che sembra avere, appunto, la forma di un grande orecchio di pietra. Alle vestigia greche si affiancano quelle  romane con un gruppo di tombe di età imperiale, tra cui potrebbe esserci anche quella dove fu sepolto Archimede, il grande scienziato che fu ucciso da uno dei rozzi e feroci soldati romani, dopo l’assedio di Siracusa. A Siracusa il cristianesimo attecchì presto tanto che, nel V secolo d. C.,. a Ortigia, un tempio  dorico dedicato ad Atena, Minerva per i Romani, fu trasformato in chiesa cristiana -sono visibili all’interno le possenti colonne doriche – dedicata alla santa patrona Lucia, la martire cristiana cui furono cavati gli occhi. Un altro tempio cristiano, in tempi moderni, è stato elevato in onore della “Madonna delle Lacrime”,  nel ricordo d’un evento prodigioso accaduto, sul finire degli anni  Cinquanta del secolo scorso, nella modesta  casa di una povera famiglia di operai: la lacrimazione, lacrime umane  come hanno attestato i chimici, di un quadretto di gesso raffigurante  la Madonna, usato come capezzale nella stanza da letto dei coniugi Gennuso. Siracusa, città greco-romana e cristiana , presenta  testimonianze del barocco siciliano famoso ormai nel mondo .Tuttavia, se si vuol apprezzare l’arte barocca nella sua pienezza, occorre recarsi  a Noto per ammirare la monumentalità barocca scenograficamente dispiegata lungo la via principale. Se si vuole  compiere un viaggio ancora più a ritroso nel tempo, più indietro rispetto all’epoca greca, bisogna andare a visitare la necropoli di Pantalica, nei pressi di Sortino, una cittadina sulle colline iblee dove viene prodotto il miele fra i migliori . Se si vogliono gustare le primizie della  campagna, allora ci si deve inoltrare fino a Pachino, patria dei famosi pomodorini che sembrano ciliegie e dove si producono qualità di vino che fanno  pensare all’ambrosia, il nettare degli dei. Se si ama l’habitat naturalistico,  si può andare ad ammirare i fenicotteri che vivono indisturbati nella zona umida di Vendicari , oasi protetta,che qualcuno, anni fa, voleva trasformare  in area urbanistica per edilizia residenziale.  Sarebbe stato un delitto ambientale tra i peggiori. Per fortuna non s’è avverato. Per  fortuna o per volere degli dei?  

Giorgio Càsole