Si chiama Giovanni Catanzaro, lo scienziato astrofisico augustano

 gianni catanzaro.jpgGiovanni Catanzaro, augustano di adozione, è uno degli scienziati astrofisici che recentemente ha scoperto le oscillazioni di tipo solare nelle stelle della classe Delta Scuti. La notizia, lanciata dalla NASA e dall’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), ha seguito la pubblicazione della scoperta sulla prestigiosa rivista scientifica Nature (The excitation of solar-like oscillations in a Sct star by efficient envelope convection) a firma di Giovanni Catanzaro e Antonio Frasca, entrambi appartenenti all’INAF di Catania, per quanto riguarda il contributo italiano, e di altri ricercatori stranieri. La scoperta era nell’aria, sui quaderni della fisica teorica, ma non si aveva ancora in mano la cosiddetta prova scientifica. Grazie ai dati prodotti dal sofisticato telescopio spaziale Kepler della NASA, che guarda sempre la stessa porzione di cielo per registrare le minime variazioni di luce, si è potuto scoprire che alcune stelle della costellazione dello Scudo, pur essendo di massa doppia rispetto al Sole, sono caratterizzate anch’esse da uno strato (ma più sottile rispetto a quello del Sole) in cui si manifestano moti convettivi del tutto simili a quelli che avvengono nello stesso Sole. È una scoperta che potrebbe sembrare difficile da capire se considerata da sola. Diventa più intrigante se si pensa che è frutto di un lavoro minuzioso che gli scienziati stanno conducendo per trovare pianeti extrasolari di tipo terrestre. In altre parole si stanno cercando forme di vita al di là del nostro sistema solare. E avere, ora, la certezza che certe stelle quali Delta Scuti pulsino e oscillino come il Sole darà nuova linfa a questo tipo di ricerche. Giovanni Catanzaro, originario di Fiumefreddo di Sicilia, dopo aver conseguito il dottorato di ricerca in fisica all’Università di Messina, ha lavorato presso la Johns Hopkins University di Baltimora negli Stati Uniti d’America, occupandosi di studiare le stelle calde grazie ai dati provenienti dal telescopio spaziale FUSE.

   Alessandro  Mascia