La favola del processo breve

 di Gian Carlo Caselli, già procuratore della repubblica a Palermo

caselli.jpgNoi italiani siamo convinti di essere molto furbi. Più furbi degli altri e orgogliosi di ciò. Non c’è barzelletta che abbia come protagonisti, per dire, un francese, un tedesco e un italiano che non ci veda prevalere alla grande. Ma forse siamo cambiati. Perché ormai ce le beviamo tutte con allegria. Da tempo, infatti, ci prendono in giro e siamo contenti. Ci ingannano e godiamo. Cadere in trappola ci inebria. Formule come “riforma (epocale) della giustizia” e “processo breve” sono né più né meno che ipocrisie degne della peggior propaganda ingannevole. Se le parole avessero ancora un senso, e non fossero usate come conigli estratti da un cilindro, sarebbe chiaro che di riforma della giustizia si potrebbe parlare soltanto se si facesse qualcosa per accelerare la conclusione dei processi. Ma se non si fa niente in questa direzione, parlare a vanvera di riforma della giustizia equivale a sollevare spesse cortine fumogene intorno al vero obiettivo: che è quello di mettere la magistratura al guinzaglio della maggioranza politica del momento (oggi, domani e dopodomani), buttando nella spazzatura ogni prospettiva di legge uguale per tutti.
 Quanto al sedicente “processo breve”, siamo al gioco di prestigio. La riforma, infatti, avrebbe come effetto non un processo breve ma un processo ammazzato a tradimento (con l’aggravante dei futili motivi). Ovviamente schierarsi contro il processo breve è da folli. Sarebbe come rifiutare una medicina efficace contro il cancro. Qui però non si tratta neanche dell’elisir di Dulcamara! Non basta urlare a squarciagola che il processo sarà breve. Occorre fare qualcosa di serio (procedure snellite; più mezzi agli uffici giudiziari) perché si possa arrivare a sentenza in tempi più rapidi. Se non si fa nulla è come proclamare ai quattro venti che la squadra di calcio del Portogruaro vincerà sicuramente la Champions, confidando nella disattenzione o dabbenaggine di chi ascolta.
Ora, come per vincere la Champions ci vuole una squadra attrezzata, così per avere un processo davvero breve ci vogliono interventi che il processo lo facciano finire prima: ma finire con una sentenza nel merito (innocente o colpevole), non con una dichiarazione di morte per non aver rispettato un termine stabilito ex novo, più o meno a capocchia. In verità la riforma ha un sapore di truffa (verbale), perché i tempi non saranno ridotti ma castrati, ed i processi non saranno abbreviati ma morti e sepolti. In parole povere: si fissa un termine che deve essere rispettato a pena di morte senza minimamente preoccuparsi del fatto che l’attuale sfascio del sistema non consentirà di rispettarlo in una infinità di processi. È come pretendere che un palombaro vestito da palombaro percorra i cento metri in pochissimi secondi, sennò muore. Assurdo, esattamente come il sedicente processo “breve”. Una mannaia che impedirà di accertare colpe e responsabilità e concluderà il processo con un’attestazione di decesso (estinzione) tanto burocratica quanto definitiva e tombale. Uno schiaffo alla fatica che le forze dell’ordine compiono per assicurare alla giustizia fior di delinquenti. Uno schiaffo al dolore e alla sofferenza delle vittime dei reati.
Uno schiaffo alla sicurezza dei cittadini. Proprio quella sicurezza su cui sono state costruite solide fortune elettorali. Sicurezza che ora diventa – di colpo – roba di scarto, rivelando con assoluta evidenza come il tema sia considerato un’opportunità da sfruttare biecamente, anche gabbando la povera gente, più che un problema da risolvere. E tutto questo perché? Per fare un favore a LUI, all’altissimo (ed ecco i futili motivi). Non sfugge a nessuno, difatti, che l’obiettivo vero non è tanto ammazzare migliaia di processi, quanto piuttosto sopprimere – nell’ammucchiata – anche quel paio di cosucce che appunto interessano a LUI. Con tripudio di un esercito di scippatori, borseggiatori, topi d’alloggio e ladri assortiti, truffatori, sfruttatori di donne, spacciatori di droga, corruttori, usurai, bancarottieri, estortori, ricattatori, appaltatori disonesti, pedofili, violenti d’ogni risma, operatori economici incuranti delle regole che vietano le frodi in commercio e tutelano la salute dei consumatori, imprenditori che spregiano la sicurezza sui posti di lavoro e via elencando…  Questo catalogo già sterminato di gentiluomini che la faranno franca, che si ritroveranno impuniti come se avessero vinto al totocalcio senza neppure giocare la schedina, si “arricchirà” all’infinito con la cosiddetta “prescrizione breve”: un’altra misura che sa di presa per il naso, l’ennesima leggina ad personam (meglio, la fotografia di LUI in persona) che fa a pugni col principio di buona fede legislativa. Sarebbe poco se fosse una di quelle barzellette che il premier usa raccontare in pubblico per il divertimento di chi ama l’ossequio servile. Invece si tratta di una bastonata in testa a una giustizia che già sta affogando. Una catastrofe per l’Italia, perché il feudo di Arcore possa continuare a svettare sulla palude nella quale annaspano i comuni mortali in cerca di giustizia.


“Due pesi e due misure?”, tra documentazione e informazione

manette.jpgSbigottimento generale manifestavano, ma a bassa voce, docenti e  non docenti del liceo scientifico la mattina dell’11 giugno scorso, quando si è diffusa la  grave notizia che riguardava un alunno dell’istituto: gli arresti domiciliari del diciannovenne G. D., alunno di quinta classe, sorpreso la sera prima dagli agenti della polizia di Stato mentre ai giardini pubblici spacciava, secondo l’accusa, droga ai ragazzi più giovani.(Diario del 13 giugno ). Gli agenti si trovavano da quelle parti per un normale giro di controllo, quando hanno adocchiato un gruppo di giovani seduti che agivano con fare sospetto. Alla vista degli agenti, G.D. avrebbe gettato frettolosamente fra i cespugli un pacchetto di sigarette. I poliziotti gli hanno chiesto di raccogliere il pacchetto che, invece di sigarette, conteneva 14 grammi di hashish in confezioni.  I ragazzi che lo attorniavano erano minorenni e sono risultati estranei allo spaccio. A quanto pare il giovane liceale, che dovrebbe affrontare fra breve gli esami di Stato,   voleva raggranellare quei quattrini che erano necessari per lui per procacciarsi la roba, visto che, stando alle sue affermazioni, i genitori non gli davano abbastanza soldi. Il solito giro vizioso: si cade nel giro e per procurarsi la sostanza, questi giovani drogati diventano microspacciatori o piccoli delinquenti. Nessuno pensa di poter svolgere qualche lavoro umile (cameriere, lavapiatti, lavaggi sta, ecc.) per procurarsi il denaro. Ma, forse, se lavorassero duramente, non penserebbero a sperperare i soldi in robaccia. I genitori del giovane liceale sono caduti dalle nuvole quando hanno appreso la notizia, ma hanno accolto di buon grado la misura degli arresti domiciliari, irrogata dal magistrato in considerazione della giovane età dell’accusato che finora non ha mi avuto problemi con la giustizia.  Comunque gli arresti  domiciliari sono praticamente finiti subito, perché è stato imposto al giovane l’obbligo del rientro a casa entro le nove della sera. E gli esami di Stato? Niente paura. In questi casi, come in altri,  per esempio gli esami universitari, il giovane potrà presentarsi agli scritti e agli orali. Se fosse perdurata la pena restrittiva degli arresti, sarebbe stato  debitamente accompagnato dagli agenti della polizia penitenziaria o  addirittura la commissione si sarebbe potuta spostare a casa sua, considerata a tutti gli effetti come una  come una prigione regolare.   Il giorno dopo gli arresti, il liceale è stato visto tranquillamente in piazza. L’11 giugno è stato il giorno in cui i liceali hanno celebrato, com’è tradizione ogni anno, fa giornata dell’arte e della creatività. La notizia dell’arresto del loro compagno di studi  è stata molto rapidamente metabolizzata e archiviata, anche se qualcuno ha fatto osservare una profonda disparità di trattamento da parte delle forze di polizia riguardo a due notizie diffuse in contemporanea riguardanti due arresti: quello del contrammiraglio in pensione della M.M.  accusato di pedofilia nei confronti delle sue stesse figlie, ristretto ancora oggi a Cavadonna, di cui sono state fornite solo le iniziali S.B., senza foto, mentre del liceale, arrestato per pochi grammi, messo agli arresti per una sera e poi liberato, come precisato sopra, sono state fornite foto e generalità complete. Secondo alcuni  giovani, si tratta di una disparità di trattamento troppo marcata per passare inosservata. Se grave e infamante è l’accusa verso l’ex alto ufficiale della M.M. ed è giusto andar cauti,  infamante e pregiudiziale per un giovane, che ancora deve formarsi un avvenire, è l’accusa di spacciare “roba”. Anche se compito del cronista è quello di dare le notizie nel modo più completo possibile, la reazione dei lettori è degna di rispetto. Sarebbe bene saperne di più.

      Cecilia Càsole