STORIA PATRIA – NEL RICORDO DEL BOMBARDAMENTO DEL 13 MAGGIO 1943. AUGUSTA MERITA UN RICONOSCIMENTO AL “VALOR CIVILE”

 L’OPINIONE di FRANCESCO MIGNECO, AUTORE DEL LIBRO AUGUSTA, 13 MAGGIO 1943 “ – di Giorgio Càsole

mignecoAUGUSTA. Ritorniamo a parlare dell’avvenimento più tragico che colpì la collettività augustana nella prima metà del secolo scorso: il bombardamento del 13 maggio 1943, con cui  gli americani rasero al suolo  l’Augusta di allora, limitata alla parte insulare. Lo facciamo perché chi scrive ha  proposto di richiedere al presidente della Repubblica di onorare Augusta con una medaglia al valor civile. Ci siamo appassionati a quest’argomento grazie al prezioso contributo di Francesco Migneco, avvocato, già pretore onorario di Augusta, che, oltre dieci anni fa, scrisse per il Giornale di Augusta, diretto da chi scrive, un interessante articolo sull’evento storico, dimenticato dai  più, “La memoria tradita”. Allo stesso argomento Migneco ha dedicato un libro , di oltre 160 pp., uscito nel 2009, dal titolo  Augusta, 13 maggio 1943, l’inferno scese dal cielo. Dal 2009, Migneco non s’è fermato . Ha continuato a tenere desta l’attenzione della gente, soprattutto dei giovani, attraverso  interviste, conferenze nelle scuole e/o  nei circoli, spesso con la collaborazione dell’autore di queste righe. L’ultima occasione  è stata nello scorso mese di maggio al Circolo Ufficiali. Migneco ritiene che non si tratta più di una memoria da celebrare per il rispetto dei morti in quel giorno, morti innocenti, ma di un argomento da considerarsi a tutti gli effetti, “oggetto di Storia patria”, come tiene a sottolineare Migneco che, più volte in passato, ha proposto all’ Amministrazione comunale di istituire, n campo municipale, un giorno del ricordo    per onorare i morti   caduti sotto i bombardamenti furiosi, essendo Migneco stesso un sopravvissuto alla furia dei “Liberators”. Migneco sferra un attacco contro “storici  o pseudo tali, praticoni e facinorosi  in cerca solo di pubblica scena” che non hanno preso nella dovuta considerazione questa sofferta pagina di storia cittadina. – Augusta merita  una medaglia al valor civile, secondo Lei?Sì, ma sarebbe senza significato se non si richiamano alla memoria fatti, azioni e comportamenti della gente augustana che, al di là di ogni reticenza, legittimano la spettanza del titolo. Vi sono ragioni, inattaccabili in fatto e diritto, per cui noi cittadini dobbiamo batterci per questo riconoscimento”. 

Continua a leggere

MERCOLEDI’ 28 MAGGIO SARANNO COMMEMORATI I MORTI DEL ’43 AL CIRCOLO UFFICIALI

migneco casoleAUGUSTA – Mercoledì 28 maggio, alle ore 19.00, presso il Circolo Ufficiali di Augusta, serata commemorativa dei morti del maggio 1943 dal titolo “L’inferno scese dal cielo”, cronaca e storia di una pagina vissuta e narrata da Francesco Migneco, già pretore onorario di Augusta, autore di un libro con lo stesso titolo con l’introduzione del giornalista Giorgio Càsole, docente liceale e autore di vari libri su Augusta, e l’epilogo musicale dell’arpista Laura Vinciguerra.

imagesLaura Vinciguerra si diploma con il massimo dei voti e la lode presso il Conservatorio di Musica di Perugia, perfezionandosi poi con Victoria Jordanova, Judith Liber, Cathrine Michel e Susanna Bertuccioli. Dopo il diploma consegue con il massimo dei voti e la lode la specializzazione di laurea di II livello in interpretazione solistica e si abilita brillantemente in didattica strumentale.

Continua a leggere

IL SOMMERGIBILE ASCIANGHI E IL COMANDANTE CHE MORÌ DUE VOLTE – di Francesco Migneco

ascianghi.jpgNel luglio scorso, su queste pagine ci siamo occupati ampiamente della tragica, ma alquanto gloriosa vicenda del piccolo sommergibile Ascianghi, che nella totale obbedienza alla Patria e all’onore militare, che ha sempre contraddistinto la Marina Militare Italiana, il 23 luglio 1943 condusse quella ardimentosa e coraggiosa sortita contro un convoglio di cacciatorpediniere inglesi al largo della rada di Augusta. Il servizio di stampa sul Diario e Augusta News, fu reso con fedeltà storica e con gli elementi fino al momento conosciuti, ma al di là di questo, si è inteso, esclusivamente, dare umano e dignitoso riconoscimento ai 23 giovani marinai che dal lontano 23 luglio ’43, giacciono col loro battello proprio a due miglia dal porto megarese. Non importa, se altri che neanche gli è sfiorato il pensiero di questa commemorazione, se ne siano arrogata l’iniziativa, ed ipocritamente affermando di averla suscitata, preparata e celebrata. Sul punto ci limiteremo a questo, ma, in effetti, meriterebbe un più duro commento. Tuttavia è stato, ed è interessante che l’episodio che rispecchia valori di notevole valenza, al di là di ogni limite, sia stato giustamente rievocato, non fosse altro per onorare e recare deferenza a quei ventisette caduti. Ed è proprio in merito a questi caduti che abbiamo voluto riprendere l’argomento, anche per correggere la “colossale gaffe storica” riportata da un incauto quanto superficiale cronista sull’edizione de la Sicilia del 23 luglio 2013, ove a grosse lettere veniva titolato “… il primo a morire fu il Comandante”. Se il frettoloso cronista, e probabilmente lo storico che ne accompagnò la notizia, avessero posto attenzione alla fonte storica, avrebbero evitato che il Sottotenente di Vascello Mario Fiorini, Comandante dell’Ascianghi, morisse due volte. Dall’esame diretto di documentazione a noi pervenuta, emerge, invece, che il Fiorini sopravvisse all’affondamento del sommergibile assieme ad altri 26 membri dell’equipaggio. Infatti, il Fiorini fu fatto prigioniero dagli inglesi, e dopo 30 mesi di prigionia tra l’Algeria e l’Inghilterra, venne rimpatriato il 31 marzo 1946. Il Fiorini, quindi, non morì il 23 luglio 1943, bensì molti anni dopo, ossia a Roma il 18 novembre 1983 (Atto di morte 05976, Parte 2a Serie B01) Era nato a Camogli il 28 giugno 1916 (Atto di nascita n. 70 Parte 1a RA 1916). Dopo la tragedia dell’Ascianghi fu riammesso in servizio nella nuova Marina Militare Italiana, congedatosi con il grado di Contrammiraglio. Quindi la STORIA non può essere imbrogliata e sarebbe corretto che la facesse chi ne ha competenza, lontana dagli istrioni, ciarlatani ed imbonitori. E per completezza dell’esposizione, giova altresì utile riportare integralmente la conclusione dell’inchiesta, a firma del senatore Giuseppe Micheli, Ministro della Marina Militare dell’epoca, in seguito all’interrogatorio reso dal Fiorini alla Commissione Speciale Militare, dopo il suo rimpatrio dalla prigionia.

“Al STV Mario Fiorini

Ho esaminato la relazione della Commissione Speciale d’Inchiesta, in merito all’affondamento dell’Ascianghi avvenuto il 23 luglio 43 al largo di Augusta e di cui Lei era il Comandante. Da esso ho rilevato che Ella, si comportò con perizia e slancio durante un attacco contro caccia nemici e quando in seguito a grosse avarie riportate dall’Unità al Suo Comando, come da conseguenza avversaria, si trovò nella dura necessità di dover scegliere tra il perdere l’Unità con tutto l’equipaggio, o perderla cercando di salvare il personale, giustamente decise per quest’ultima soluzione. Giudico, pertanto, il Suo comportamento conforme alle leggi dell’onore militare e dai doveri derivanti dalla situazione contingente.

Roma 14 ottobre 1946

F.to G. Micheli

Copia conforme originale

Maggiore Commissario

F.to Ugo Del Corso”

Altra documentazione originale dimostra che il Comandante Fiorini diede esempio di coraggio e decisione nel condurre in salvo parte dell’equipaggio fuori dal battello che, ormai, rapidamente scivolava in fondo al mare. Non ci fu spazio per la gloria dell’Ascianghi ed anche a distanza di tanto tempo riesce difficile convincersi, perché malgrado le positive risultanze dell’inchiesta, al Fiorini non fu mai concessa alcuna onorificenza. Ma ancor più sorprende che non si rinviene nel carteggio, nemmeno una citazione alla memoria dei ventitré caduti nello adempimento del loro dovere. Ma ci abbiamo pensato noi, e soprattutto chi scrive, ad aver fatto sì che il 23 luglio scorso, a due miglia al largo di Augusta è stata onorata e commemorata la MEMORIA del loro sacrificio.

                   Francesco Migneco

SCHEGGE DI MEMORIA AUGUSTANE/ 9-10 LUGLIO ’43. AUGUSTA, IL PASSAGGIO DELLA “COLONNA INFAME”

augusta,augustanews,francesco mignecoAUGUSTA. Settant’anni fa, una marea di uomini, chi con addosso il solo tascapane, chi con la sola divisa grigioverde, già con le stellette e mostrine strappate, marinai col solo camisaccio, senza solino. In sintesi, un misto enorme di divise si attardava ansiosa e fremente nel crocevia di Contrada Fontana, che diventò, per giorni, il posto di osservazione del flusso di colonna di sbandati. Bene! La colonna ci fu e i sovversivi di allora la etichettavano “la colonna infame”. Ma fu, poi, veramente infame? Su quelle incredibili giornate del 9-10 luglio ’43, storici, topi di biblioteca, cronisti del lugubre, stampa, e così via, si sono affannati a dare qualsiasi definizione, ma, in effetti, sugli avvenimenti allora accaduti, rimane ancora il ragionevole dubbio. Quella colonna per oltre tre anni di conflitto, fu spesso vista sfilare con fierezza, tra labari e gagliardetti, stracolmi di medaglie, lungo il corso Umberto di Augusta. Stavano a testimoniare la potente Piazzaforte di Augusta. Effettivamente, queste parate militari inducevano a credere che, veramente, Augusta fosse il tanto decantato baluardo fortificato nel Mediterraneo. Infatti, sino al 13 maggio ’43, l’aviazione inglese, malgrado le numerose incursioni non conseguì alcun successo contro la Piazzaforte. Invece, questa fu messa a dura prova dall’aviazione USA che disponeva di nuovi bombardieri a lungo raggio. E fu, da allora, da quell’infausto 13 maggio, che l’impatto psicologico, oltre alla distruzione materiale delle difese, per cui, a breve, a meno di 40 giorni, si cominciò a materializzare quella che sarà definita dagli antifascisti “la colonna infame”, cioè il simbolo della fuga e dell’abbandono della Piazzaforte. Sulle cause, intrighi, complotti, tradimenti, e così via, non ci attardiamo, perché l’argomento è complesso, e sarà oggetto di una “rivisitazione storica” di chi scrive, proprio inerente all’incredibile fine di quella temuta Piazzaforte, violata, impunemente, per prima, da due navi inglesi, la Examoor e la Kanaris, che alle 14,20 del 10 luglio ’43, attraverso il canale di Scirocco, s’immettevano nel porto di Augusta. E, ritorniamo alla nostra colonna. Lo scorrere di uomini-soldati era incessante. Molti erano frastornati, inquieti, impauriti su quale sorte li attendesse, sembravano ombre vaganti verso l’ignoto. Era una guarnigione, la guarnigione delle gagliarde parate lungo la strada maestra di Augusta, ora in disfacimento. Osservavamo le scene più impensate, come la pressante richiesta di abiti civili, barattati con gallette e altre cibarie che portavano con sé. Arrivavano, persino, a barattare gli effetti personali, pur di avere una giacca o qualche indumento civile, pur di dismettere quei panni grigioverdi diventati decisamente scomodi. Eppure, quando tutto questo esodo avveniva, gli anglo-americani non erano sbarcati in Sicilia. E allora, quella colonna di uomini smarriti, provati, a mio sommesso avviso, non meritano affatto, l’etichetta di “infame”. Piuttosto, quella di pietosa compassione e comprensione, e poter dire, invece, “vittime” di eventi tragici e funesti, a loro non ascrivibili. In quel tremendo intrigo, giustamente, in quegli uomini prevalse l’istinto naturale della sopravvivenza, specialmente quando era convinzione che tutto era perduto  e si stava per perdere. Questo avvenne in quelle giornate ad Augusta, che la storia, poi, a torto o a ragione, definì giornate della codardia, della fuga, dell’abbandono, del disonore di chi comandava. Questa è un’altra storia. Le polemiche, fino a oggi, pro e contro non sono ancora sopite.

          Francesco Migneco

LA POLITICA E LE TRADIZIONI PERDUTE


4217231270.JPGAUGUSTA –  
Vero è, abbiamo perso per un manipolo di ignobili facinorosi, la rappresentanza democratica della città, ma abbiamo perso anche la memoria delle nostre tradizioni? La gente è turbata, avvilita nel vedere languire e scivolare nel degrado e nell’ indifferenza il paese, come vascello, tra flutti impetuosi, senza timone e senza capitano. Tale squilibrio trascina con sé a pensare, a mantenere, almeno, le nostre tradizioni? Poiché, al momento, non possiamo occuparci di politica, scomparsa e vilipesa, né tantomeno della democrazia sospesa, allora abbiamo pensato di occuparci a rispolverare, a rinfocolare le nostre antiche  tradizioni che sono, e sempre costituiscono, il tessuto connettivo storico e culturale delle comunità.  Tradizioni, oggi, sopite o addirittura schiacciate dal mutare di abitudini e condizioni sociali. E anche, perché no, dal dinteresse di quei presunti uomini di cultura, di moderni “donchisciotti”, autori di storie patrie, smaniosi personaggi alla ricerca del clamore, pronti a gonfiarsi stupidamente il petto come il tacchino. Dovrebbero invece essere pronti a indugiare, mantenere vive, anche nel turbinìo della vita moderna, quelle tradizioni civiche che hanno scritto la vita, il passato e la storia della nostra Augusta.

Questa pagina vuole significare un primo nostro sussulto a ripercorrere le nostre antiche tradizioni, riproponendole nei nostri prossimi servizi, in quanto meritevoli di essere ravvivate e, soprattutto, perché non vengano irrimediabilmente fagocitate dall’ oblio e dal disinteresse umano.

   Francesco  Migneco

L’ASINO, LA METAMORFOSI E IL FANNULLONE

Una favoletta allegorica dell’augustano Francesco Migneco, sopravvissuto ai bombardamenti del 13 maggio 1943, ricordati in quest’apologo

asino-ragusano.jpgAUGUSTA- È una favola, ma non lo è! Spesso nella vita accade che essa si avveri, e chi se la sente se la suoni.  In una tranquilla e ridente cittadina che si affacciava sul mare azzurro, quasi a confondersi in un idilliaco abbraccio con quello del cielo, e di fronte a farle corona, un massiccio e ameno promontorio, da cui si poteva ammirare tutta la sua bellezza, vivevano un asino e un fannullone. L’asino, qualche anno più vecchio del fannullone. Questa precisazione è fondamentale nel significato del nostro racconto. La quotidiana vita dell’asino si svolgeva silenziosa, costante e laboriosa. Attendeva al proprio lavoro meritando sovente di pascolare libero e nutrirsi del pascolo della vita. Il fannullone, invece, che per atavica eredità aveva acquisito tutti i vizi e nessun pregio, bighellonava lezioso per il paese a far niente. Anzi, si diceva in giro, che se per avventura avesse incontrato “il Lavoro” di gran fretta girava di “bitta”. Così passavano gli anni l’uno nel suo laborioso lavoro, l’altro a restare fannullone. Avvenne tutto all’improvviso in un uggioso giorno di maggio. Nel cielo giuggiulavano sparse nuvole,  ove a tratti il sole faceva capolino, lasciando trasparire il tiepido calore dell’incipiente primavera. Nulla faceva presagire l’avventarsi del peggio, anche se verso mezzogiorno si era levato un venticello di maestrale del tutto fuori stagione che presto divenne tempesta. E fu d’improvviso!

Un tumultuare procelloso, violento, impietoso, distruttore e distruttivo che non lascia scampo. Un fortunale: forza incontrastata della natura. Le povere case del paese vennero sventrate e sollevate dal vortice, e danzavano nell’aria come fuscelli, tra le urla, le grida  e il terrore della gente travolta dalle macerie, trafitta dai rottami appuntiti conficcati nella carne macerata. In quell’inferno così repentino sceso dal cielo, dove era l’asino e dove era il fannullone? Bene! L’asino, assistito da  una buona stella, trovandosi nel mezzo di quella bufera, trovò un provvidenziale ed estremo rifugio in un piccolo anfratto che lo risparmiò dalle serie ingiurie del fortunale. Portò per tutto il tempo a venire, nel cuore e nella mente i tragici momenti vissuti. E il fannullone? Alle prime avvisaglie del fortunale non si trovava in paese, ma andò a rifugiarsi nelle sicure grotte del promontorio da dove la tempesta scorse marginalmente. Accucciato, pavido, tra l’altro com’era, in un angolo lontano dagli ululati del vento, dalle raffiche scroscianti della tempesta. Il fortunale si abbatté sulla povera cittadina per due volte consecutive sommando lutti a distruzioni. Quando tornò la quiete, una quiete che rivelava il silenzio della morte, lentamente i superstiti laceri martoriati, provati, inebetiti si riversavano sulla strada. L’asino da quella tragica giornata visse e sopravvisse e portò negli occhi e nella mente quello spettacolo immane e disumano. Quando, come appresso diremo avviene la metamorfosi e l’asino potrà dire di quell’evento, perché solo chi lo vive lo conserva nella memoria. Il fannullone, uscito indenne dal sicuro rifugio si limitò a guardare dall’alto del promontorio il paese livellato dal fortunale, il denso fumo che si levava dalle case distrutte, la vagante immensa nuvola di polvere che si estendeva da un capo all’altro dell’abitato. Null’altro. Trascorre il tempo e la vita continua. Mutano le condizioni, gli usi e i costumi, avvenne la metamorfosi dell’asino:  mangiò la corona di alloro  che gli consentì di perdere le sue animali sembianze e diventare un essere mortale, un uomo. Portò con sé laboriosità, costanza, tolleranza, propensione allo studio e sacrificio, tant’è vero che supera meritatamente i gradi di insegnamento, approdando al titolo delle querce incrociate. E il fannullone? Rimase tale, schiacciato dalla propria neghittosità, tentando senza successo di avviarsi al commercio e diventare commerciante. Vivacchiò sino ai capelli grigi, rimanendo misero bottegaio. Il tempo trascorre ancora, trascinando lentamente sia l’asino della metamorfosi e sia il fannullone verso l’inesorabile vecchiaia. E venne il tempo della memoria! Quell’antico fortunale, per moltissimi anni la comunità cittadina l’aveva dimenticato. Aveva dimenticato soprattutto quelle vittime che in quel frangente, vennero strappate crudelmente alla vita. Era stato, invero, un segmento di memoria rubato ai morti e alla storia della città. Ebbene, l’asino della metamorfosi diventato uomo non aveva dimenticato ciò che visse e sofferse,  e poi disse a gran voce, e poi scrisse suscitando la memoria tradita, riproponendo il segno dell’orgoglio, della gratitudine della città, ad onorare le vittime di quel disastro. Guarda caso un’esplosione di coscienza collettiva? Farsi avanti una pletora di storici da garitta, di pseudo cultori di storia patria fino ad allora ignari e in letargo, calcare la ribalta dell’apparire, alla stessa stregua di scribi e farisei  a dissacrare il tempio, a fasciarsi di un simbolo non suo e rendere testimonianze non loro. Anche il fannullone, canuto per vecchiaia e non anche per fatica, dirsi testimone di quell’antico inferno di maggio. Cosa poteva, come non può, dire e aggiungere a cosa aveva già detto e scritto l’uomo della metamorfosi, l’unico a poter narrare e dire: “…io c’ero…” Lui, il fannullone, che il paese aveva sempre considerato tale, cercava anche una sua risibile scena, egli, il fannullone del “giro di bitta”. Per inciso e al fine di comprendere meglio il senso della nostra favola è bene dire che quando quel fortunale di maggio s’avventò come uccello rapace sul paese inerme, l’asino della metamorfosi contava quasi tredici anni, già adulto per le privazioni e sofferenze e prima del suo ciclo biologico. I protagonisti di questa favola vivono ancora in essa. Il Fannullone vegeta e continua a bighellonare, tanto che fatica ha fatto per vivere, non ha mai conosciuto il freddo pungente dell’alzarsi all’alba per raggiungere il lavoro, ne’ ha conosciuto la brezza mattutina dell’estate, nè provare l’ebbrezza di vedere le ultime stelle svanire lentamente nel cielo, catturate dal suo azzurro infinito. Infine, l’asino che mangiò la corona di alloro e la metamorfosi lo rese uomo, divenne un rispettato essere normale, ben visto dalla comunità, pieno di risorse, di rispettata intelligenza, di costante laboriosità, parsimonioso, comprensivo e tollerante, mentre il fannullone è rimasto e rimane tale, ignorante piatto, come nella scuola, così nella vita.-

 

       Francesco Migneco

IL RE E’ NUDO! AUGUSTA CITTA’ SENZA CORONA

 

694256472.jpg

 

AUGUSTA – Sembra un titolo shakespeariano, dei tempi di castelli turriti, di città fortificate, laddove tra intrighi colpi di mano e corruzione, vacillavano e crollavano Re, Principi e corone. Perché questa rievocazione storica? E che c’entra con la nostra Augusta? Beh ! C’entra, e molto. Il frontone del Palazzo municipale, riporta una vistosa scritta “Augusta Urbis Regalis, Veneranda, Fidelis”. Evvero, REGALIS perché ha conosciuto fasti e la potenza di Re, VENERANDA perché città-fortezza regno di Principi ed uomini di potere militare, temuta ed ossequiata, FIDELIS perché, nel corso dei secoli, è stata osservante delle leggi e delle istituzioni che la reggevano. In sintesi, una città di profonde istituzioni storiche, all’attenzione del mondo per la sua peculiarità geografica, e con fierezza proiettata ai nostri giorni. Ha retto a guerre ed invasioni, a terremoti e a calamità naturali, ma non ha retto, purtroppo, agli ultimi dieci anni temporali, per via di un “governo locale”, con a capo un Sindaco non suo e un manipolo intrigante di pseudo-politici, che hanno trascinato la Città al dissesto economico e alla infamante etichetta di “profilo mafioso”. Infatti ,gli avvenimenti che ne sono seguiti, hanno indotto le Autorità a decretare prima il commissariamento, deponendo il Sindaco Carrubba, e poi lo scioglimento del Consiglio. E a proposito di Consiglio Comunale. Nell’agosto 2012, il Carrubba diede le dimissioni, o meglio gliele hanno fatte dare, e così si rivolgeva al Civico consesso: “Per dieci anni ho prestato un grande servizio alla città…!”. Con quale sfacciato coraggio! Bel servizio! Una città lasciata allo sbando, con un debito faraonico, e consegnata al commissariamento. E da qui, comincia ad abbattersi sulla testa degli augustani l’ascia commissariale, con subito l’aumento della aliquota IMU al 10,60%, e poi la TARSU con aumento del 130% rispetto a quella del 2011, senza contare, poi, gli altri balzelli comunali, più o meno visibili. Nell’occasione della caduta del Carrubba, da una parte, la cittadinanza rimase allibita di ciò che si sentiva in giro, ma dall’altra accolse la notizia con un coro di sollievo. Non vi furono scene di panico, nessuno si cosparse il capo di cenere, ma grande fu la rabbia perché si era sentita presa per i fondelli da dieci lunghi anni di “regno”. L’altro ciclone, dopo il commissariamento, alitava sopra la città come un uccellaccio nero. Infatti, l’inchiesta approfondita della commissione di indagine amministrativa, doveva sfociare nello scioglimento totale dell’Amministrazione per “infiltrazione mafiosa” che ne turbavano il corretto andamento dell’attività comunale. È il momento che il “RE”, diventa nudo, cioè la città è spogliata del suo governo elettivo, e perde nel contempo la “corona”, perché più non governa un sindaco, spodestato ex iure, e al suo posto arrivano i “reggenti”. Dovremo aspettare 18 mesi, e forse più, perché Augusta riprenda le spoglie democratiche, perché, riprenda, soprattutto la sua “corona”, cioè il Sindaco elettivo, e riprenda, innanzitutto, rispetto, dignità, affidabilità sociale e politica, lungamente tradita. Non ci resta che fare voti augurali, perché i “tre reggenti”, ora che il palazzo dell’aquila monetata, è stato liberato da quel ciarpame politico che per dieci lunghi anni lo ha inquinato, possano dare una giusta sterzata, e che nel prossimo futuro, i nuovi inquilini del Palazzo, siano più degni e meritori. In verità, i cittadini augustani, non ne possono più, ne hanno le scatole piene, di vedersi attorno una città che scivola su se stessa, come suol dirsi “senza Re e senza regno”. Augusta deve riappropriarsi del suo motto “URBIS, REGALIS VENERANDA FIDELIS”. La luce nuova cancelli, per sempre, quei dieci anni di buio infame.

 

Francesco Migneco