AUGUSTA, AL “CARMINE” LA TRADIZIONE RIVIVE IN SICILIANO

Con Stefano Bagnara, Giorgio Càsole, Francesca Ussia, Marco Zàrbano e l’ensemble “In coro…nate”

Carmine 2018Augusta. La chiesa del Carmine  ha come rettore don Palmiro Prisutto, il sacerdote noto per le sue battaglie ambientaliste, ma è Marcella Spanò, appartenente al terz’ordine carmelitano, l’animatrice e l’organizzatrice delle attività che nella chiesa si svolgono durante l’anno liturgico. Negli ultimi cinque anni Spanò ha organizzato un fitto calendario di avvenimenti durante il tempo  della Quaresima, per fare rivivere, “una tradizione rimasta viva nella mente e nel cuore di chi ha avuto modo di assistere a quelle antiche celebrazioni, riproposta in una chiesa che ne era custode e che si pone sempre più come luogo di recupero e riproposizione di quella memoria del passato che non può restare solo argomento di discussione ma va riportato in vita , pur adattato all’odierna liturgia, quale importante testimonianza di quella Fede che ieri come oggi  resta immutata e immutabile nel suo messaggio”, ha detto la Spanò nel chiarire le intenzioni delle iniziative di quest’anno. Una novità di quest’anno è stata la copertura dell’intero altare con un vistoso telo viola, il colore che la Chiesa cattolica adotta come simbolo della penitenza: una scenografia di sicuro impatto che è stata utilizzata come fondale per una sorta di sacra rappresentazione che ha tenuto avvinto l’uditorio per oltre un’ora, durante la quale si sono alternati Giorgio Càsole, interprete magistrale di testi, come la “Passio Domini” secondo l’evangelista Giovanni e “U chiantu di Maria” di anonimo siciliano e  l’ensemble  “In coro… nate”, diretto da Francesca Ussia, esibitasi anche come soprano solista, che hanno eseguito inni italiani e siciliani, accompagnati dall’organista Salvatore Passanisi. Stefano Bagnara ha cantato lo  “Stabat Mater” in latino, mentre il baritono Marco Zàrbano ha eseguito lo stesso Stabat in siciliano, accompagnato dall’ensemble “In coro… nate”.

Mariangela Scuderi

IL FOTOGRAFO AUGUSTANO PETRACCA ESPONE A GIARRE

Il racconto per immagini che già aveva avuto successo al Circolo Unione

29391507_1011692425651071_2020721866_oAugusta. Dopo la mostra al Circolo Unione di Piazza Duomo, il fotografo di Augusta Enrico Petracca ci ha riprovato. Lo ha fatto nella sede dell’associazione “Foto per passione” di Giarre, in cui, come al Circolo Unione ha messo in mostra il suo acconto fotografico dal titolo “Recisa”: 40 scatti in bianco e nero, in cui viene ritratta una coppia di cui l’autore si è servito per raccontare la drammaticità del fenomeno della violenza sulle donne e dei casi di “femminicidio”. Le foto viste in sequenza compongono un racconto al quale Petracca ha dato due finali: uno tragico, in cui la donna muore ammazzata, e uno di speranza in cui la protagonista si salva, riesce a non farsi “recidere”, ponendo fine a ogni forma di abuso sul suo corpo e sulla sua anima. La mostra è divenuta un progetto “itinerante” realizzata grazie alla collaborazione tra Petracca e le volontarie del centro antiviolenza, NESEA di Augusta, che opera quotidianamente nel territorio per fornire aiuto, supporto, nonché assistenza legale alle donne che denunciano maltrattamenti. La presentazione di “Recisa” ha avuto inizio con i saluti del presidente dell’associazione “Foto per passione” Angelo Spina, seguito dagli interventi della past-president della sezione “Fidapa” di Giarre, Anna Castiglione, e del direttore artistico dell’associazione Naxos Lege, la netina Marinella Fiume, entrambe docenti. La Castiglione ha esposto un interessante excursus storico-legislativo relativo al tema delle battaglie e conquiste sul fronte della parità di genere dal dopoguerra a oggi. La professoressa Fiume ha fornito un’interpretazione personale delle dieci foto esposte in sala. Attraverso le sue parole, le immagini hanno preso movimento attraverso un vero e proprio racconto che il pubblico e lo stesso autore hanno seguito con molta attenzione. Nel corso della serata, moderata dalla giornalista Cecilia Càsole, è intervenuta la presidente dell’associazione Nesea di Augusta, Stefania Caponigro, che ha illustrato le principali attività svolte dal centro antiviolenza, sottolineando l’importanza delle campagne di sensibilizzazione contro la violenza di genere e ricollegandosi ai dati allarmanti dei casi di femminicidio a livello nazionale e dei numerosi casi di maltrattamenti sulle donne registrati a livello locale.

     M.S.

CONCORSO UNITRE-ESSO 2017/2018. GIUNTI AL 3° INCONTRO A TAVOLA ROTONDA CONVERSANDO SULLA FAMIGLIA DELLA NUOVA SOCIETÀ E SUL DONO DELLA VITA

Unitre 1Augusta. Giunto a metà il progetto-concorso che l’Unitre ha bandito in partenariato con ExxonMobil di Augusta e in collaborazione con le dirigenze scolastiche dei Licei “Mègara” e del 2° Istituto di Istruzione Superiore “A. Ruiz”. La sesta edizione del Concorso a premi, avente quest’anno come tema “Era digitale: quali emergenze per il singolo, la famiglia, la società”, è rivolto gli alunni dell’ultimo triennio dei rispettivi istituti, i quali, nel mese di aprile, si contenderanno, con lo svolgimento di un tema, i premi messi in palio. Presso l’aula magna dell’Istituo “A. Ruiz”, si è svolta nei giorni scorsi la terza delle quattro tavole rotonde in programma, nel corso della quale sono stati affrontati due aspetti in apparenza diversi, ma affini negli intenti. La dirigente scolastica del 2° Istituto Comprensivo “Orso Mario Corbino”, Maria Giovanna Sergi, ha conversato rispondendo al quesito “La vecchia concezione della famiglia del mondo occidentale è sempre valida ed attuale per vivere in una società dal volto più umano anche con l’uso delle nuove tecnologie della comunicazione?”. Mentre la signora Franca Morana Caramagno, moglie del presidente Unitre, ha intrattenuto i presenti su “Io sono, io esisto, io vivo: accolgo il dono gratuito della vita con l’impegno di custodirla, difenderla, accompagnarla e aiutarla? Quale decalogo?” Come di consueto, l’incontro è stato moderato dal vice presidente dell’Unitre, Salvo Cannavà, coordinato dalla docente responsabile del progetto per l’Unitre, Anna Lucia Daniele e presieduto dal dr. Giuseppe Caramagno. Numerosi i soci unitrini, gli studenti e i docenti dei due istituti intervenuti ad assistere all’incontro. In apertura la professoressa Sergi, ringraziando per l’invito a lei particolarmente gradito, ha tenuto ad esprimere la propria soddisfazione ricordando quanto il periodo da docente, durato ben 28 anni, abbia costituito una parte fondamentale della sua vita. Nella sua dissertazione ha evidenziato la differenza tra nativi digitali e immigrati digitali, definizioni introdotte, per la prima volta dallo scrittore e insegnante americano Mark Prensky, in un suo articolo pubblicato nel 2001, quindi già diciassette anni fa. Continua a leggere

LA BUONA ZUPPA DI CECI DALLE SUORE DI SANT’ANNA

zuppa di ceciAUGUSTA – Quando frequentavo la scuola elementare nell’istituto delle benemerite suore di Sant’Anna, si usavano ancora la penna, con il pennino da intingere nel calamaio (collocato dentro un foro del banco), e la carta assorbente per fare asciugare rapidamente l’inchiostro e il grembiulino nero per non sporcarsi. Per la stessa ragione, per non sporcarsi d’inchiostro, negli uffici, gli scrivani indossavano le mezze maniche nere (dal polso fino al gomito). Il grembiule nero, però, aveva anche un’altra funzione: quella di dare un senso di ordine  e di uniformità, specialmente per evitare vistose disparità tra i figli dei poveri e i figli dei ricchi. A metà degli anni Cinquanta, la povertà in Augusta era ancora una piaga. Potrei fare riferimento al costante flusso migratorio verso le Americhe e l’Australia, alle strade non asfaltate, dove i bambini, scalzi, rincorrevano i soldati americani per chiedere sigarette (da rivendere) anche sfuse o le deliziose tavolette di cioccolato. Nelle nostre povere botteghe di generi alimentari, erano ancora vendute le tavolette di surrogato. I bambini, quando non andavano a scuola, stavano sempre per strada: le case erano anguste e povere e senz’alcuna attrattiva che potesse bloccarli (le madri erano le prime a esortarli a uscire). L’alternativa era la parrocchia, l’oratorio, dove c’erano i tavoli da ping pong, i bigliardini per il calcio-balilla, ecc. C’è un ricordo che mi sovviene e mi punge se penso alla povertà di quegli anni: è il ricordo di una buona, densa, profumata zuppa di ceci che le suore somministravano, mi pare il venerdì, a tutti i poveri che si recavano, intorno alla mezza, con una scodella, nel cortiletto davanti al portone di Via Orfanotrofio. Quella era l’ora in cui noi bambini sciamavamo, con allegra birboneria, fuori delle aule per l’intervallo del pranzo, da consumare a casa. Si riprendeva alle due  e si concludeva alle quattro del pomeriggio. Il sapere che a casa m’aspettava un pranzetto con  i fiocchi mi rendeva ovviamente di buonumore, ma il venerdì mi rattristavo nel vedere quella lunga fila di vecchi e no, di uomini e donne,  ingrossarsi per un pasto caldo. (Vi assicuro che la zuppa di ceci era davvero saporita).

Giorgio Càsole – (dall’introduzione al romanzo di Lia Fendes, “Il vecchio balcone”, ambientato ad Augusta, Centro Augustano di Documentazione, 2003).

QUANDO LA VILLA ERA CHIAMATA VIALE DEI MATRIMONI

la villaAUGUSTA – Quando ancora le classi miste non erano norma, quando il telefono era un lusso, quando i telefonini, con i loro sms, non erano stati nemmeno concepiti, si passeggiava obbligatoriamente alla villa nella speranza che Cupido lanciasse i suoi strali fatati; fuor di metafora, si lanciavano sguardi alle ragazze nell’attesa d’essere presentati  o provocando l’incontro per la cosiddetta dichiarazione. Se andava bene, si passeggiava insieme, quasi trionfalmente, mano nella mano. E sembrava d’aver raggiunto il traguardo. I baci e tutto il resto si conquistavano a fatica, nel tempo.

Giorgio Càsole – (dall’introduzione al romanzo di Lia Fendes, “Il vecchio balcone”, ambientato ad Augusta, Centro Augustano di Documentazione, 2003).

AUGUSTA, QUANDO ANCHE LE LICEALI PORTAVANO IL GREMBIULE

1967Augusta. A metà degli anni Sessanta, in pieno boom economico, le mie compagne del liceo classico portavano ancora il grembiule nero, mentre i maschi ne eravamo esenti (fin dalla scuola media). C’era l’esigenza d’evitare disparità d’abbigliamento, ma, soprattutto direi, la necessità d’indossare una castigata uniforme per non mettere in risalto le peculiarità femminili che potevano turbare i sogni di arcigni e meno arcigni professori e degli adolescenti in calore. Quando racconto questi fatti ai miei alunni- e non poche ragazze durante la bella stagione vengono a scuola con l’ombelico di fuori – essi faticano a credermi e devo mostrare loro un documento fotografico. Sembra un secolo fa!

  Giorgio Càsole(dall’introduzione al romanzo di Lia Fendes, “Il vecchio balcone”, ambientato ad Augusta, Centro Augustano di Documentazione, 2003).

Pippo, un cane per amico, una storia realmente vissuta

7783991323_le-chien-est-il-le-meilleur-ami-de-l-hommeUn guaito mi fece improvvisamente trasalire scuotendomi dal torpore in cui ero caduto senza accorgermene, intento com’ero a gustarmi quelle sensazioni che solo il mare e la natura ti sanno regalare in un tardo pomeriggio autunnale. In lontananza grossi ammassi di nuvole nere si avvicinavano minacciose e rendevano ancor più cupo un cielo grigio, che si fondeva all’orizzonte con il colore del mare. Tutt’ intorno solo il volo di qualche uccello, lo sbattere delle bianche ali e qualche grido che precedeva il tonfo in acqua, frammischiandosi al rumore che si infrangeva sugli scogli nel creare dal nulla una schiuma bianca. Niente e nessuno per spezzare la beatitudine in cui mi ritrovavo inconsciamente, e la pesca non disturbava affatto quella magica e surreale atmosfera che mi avvolgeva in quel momento, come il rumore del respiro. Ma quel guaito improvviso spezzò l’atmosfera, come se una lancia avesse prodotto uno spacco per proiettarmi violentemente in un’altra realtà, svegliando e tormentando la mia anima. Mi volto e lo vedo, un cagnolino che mi guarda dall’alto di un piccolo costone di roccia; vispo, issato, scodinzola la coda muovendosi continuamente per poter meglio attirare la mia attenzione; intuendo di essere visto comincia a emettere dei suoni, come dei lamenti, e si sporge fino ad arrivare ai bordi del masso, i cui spuntoni irti ed appuntiti ne impediscono la discesa. Poggio la canna sullo scoglio abbandonando la pesca e, per vederlo meglio mi alzo in piedi; lui intanto rimane vicino ai limiti della roccia e la sua frenesia nel voler cercare una via per scendere o un sentiero che gli potesse permettere di raggiungermi aumenta sempre piu’, senza tener conto il rischio di precipitare. “Ehi cucciolotto stai fermo” grido, “non ti muovere”, mentre mi avvicino verso di lui per prenderlo, per impedirgli di cadere. E poi non so come mi esce: “pippo, fermo!”. Ormai ero sotto di lui, sto per allungare il braccio per afferrarlo ma lui mi anticipa e si butta fra le mie mani protese verso l’alto mentre io, non so come, riesco ad afferrarlo a volo. Il cucciolotto si calma all’istante; adesso, mentre lo stringo al petto e mi avvio con lui verso lo scoglio, dove stavo fino a poco prima pescando, lecca le mie mani, mentre sento trasformare i suoi versi in “mugoli di piacere e contentezza”. Mentre lo accarezzo, continua a leccarmi con la lingua il braccio che tiene stretto. Lo guardo allora attentamente, ha una bella testolina rotonda con due macchie piu’ scure ai lati del muso, di un bel color giallo castano, due occhioni grandi, vivaci, che non smettono un momento di muoversi e quattro belle zampe pelose e grosse, capaci di sostenere un corpo armonioso, pieno di pelo morbido come un peluche. Adesso sta seduto sullo scoglio, nello stesso punto di prima, accanto a me, e mentre innesco gli ami con della sardina per poter ricominciare l’azione di pesca, me ne cade un pezzetto. Pippo lo prende a volo e in men che non si dica lo mangia, e ne mangia ancora altri in continuazione, restandomi sempre attaccato al fianco. Non avevo mai visto un cagnolino mangiare tanta sarda a quella velocita’, ragion per cui, preoccupandomi, cerco di rallentarlo, anche perche’ non avevo poi così tanta esca per continuare il mio sport, ormai compromesso. A un tratto pippo si alza di scatto e lo vedo allontanare fino raggiungere una pozza d’acqua, mezza salata e mezza dolce, per bere a sazietà, e poi tornare con l’acqua che gli scende dalla bocca a mò di bava, sdraiandosi nuovamente al mio fianco. Acqua dappertutto, e intanto iniziano a cadere anche dall’alto le prime gocce d’acqua che diventano via via sempre più intense, fino a trasformarsi in abbondante pioggia. Indosso di fretta una cerata a cappuccio, mentre lui mi si intrufola sotto e lì vi rimane con la testolina adagiata sopra la mia gamba, per nulla disturbato da quell’intenso scroscio. Inizia così la mia storia con “don pippo”! E intanto passa l’inverno con le mie visite nel luogo di pesca e per recarmi da “pippo”, e le mie quotidiane discese diventano sempre più frequenti, mentre giorno dopo giorno lo vedo crescere a vista d’occhio. Alcune volte succede che non lo trovo subito ma poi, appena lo chiamo, mi appare dal nulla di corsa, saltandomi “affettuosamente” addosso tanto che, grosso e pesante com’e diventato oggi, prima o poi, lo so, mi farà cadere per terra. Non avevo mai avuto un cane per amico.

   Emidio Giardina

RACCONTI DI SICILIA: LA STORIA DI DON CALOGERO SCHILLACI detto SPINGARDA – di Francesco Migneco

imagesAF9BZP54Appena cinquantino, quando le forze e il tempo me lo permettevano, mi piaceva girovagare per la bella terra di Sicilia, tanto conosciuta quanto sconosciuta. Scopo principale: la ricerca di siti antichi, come manieri, case gentilizie, masserie tipiche dell’Isola. Mi venne raccontato di un antico maniero o complesso gentilizio, situato in un grosso borgo adagiato sul declivio di una collina alle falde delle Madonie. Curiosità, ansia di conoscere mi accompagnarono durante i miei precedenti l’estate in cui intrapresi il viaggio. A calura inoltrata e dopo un percorso non molto comodo, raggiunsi la zona segnalata. All’inizio dell’abitato, un malandato cartello indicava “Borgo di Filesi Siculo”. Malgrado fossimo già  nell’epoca del frigorifero e della tv a te canali, in quel lembo di Sicilia tutto sembrava essersi fermato al passato. Quelle centinaia di anime, che popolavano il borgo, mantenevano le loro antiche usanze ancestrali. Non fu facile l’approccio con la gente, diffidente di quel forestiero che faceva tante domande su quel maniero che si vedeva in lontananza svettare sulla collina svettare sopra le basse case del borgo, sparse a corona tutt’intorno. Mi soccorse, in quella diffusa diffidenza, un contadino affabile e premuroso che non solo mi fornì le notizie su ciò che cercavo, ma anche si offrì d’accompagnarmi sul luogo con il suo carretto, cui era attaccato un mulo ben nutrito. Mi lasciò all’inizio d’una trazzera che si snodava  per la collina sino a raggiungere un’imponente massa scura che doveva essere il maniero. Dovetti affrontare un percorso accidentato, respirando, però, quel piacevole aspro odore di contadino che sprizzava da quel carrettiere. Il tagliente acciottolato, le sterpaglie e i rovi  del sentiero ritardavano il cammino. Tuttavia, pervenni in un ampio spazio coperto di basole di granito grigio, alcune sconnesse, con l’erba alta spuntata tra le fughe. Si stagliava di fronte un massiccio fabbricato, il cui la parte a est completamente rovinata, lasciava trasparire i resti di due grandi archi e i resti di un grosso muro di pietra coperto di sterpaglie. Invece, la parte a ovest si presentava in buono stato di restauro. Si ergeva in mezzo a un paesaggio dal cielo pulito, sotto un sole caldo e una brezza ponentina, che portava l’odore di erba fresca appena falciata, misto a zaffate del profumo dei  fiori. Un grande portone di legno massiccio, di non recente fattura, segnava l’ingresso. Battei per quattro volte il pesante battaglio quando, dopo un po’, venne ad aprirmi un uomo, quasi sessantino, dal profilo legnoso, magro  come un attaccapanni, compassato e tranquillo. Indossava pantaloni scuri, con addosso una giacca a collo montato, dal colore indefinito, che, sicuramente, a suo tempo, doveva essere stata una ricca livrea di maggiordomo, di cui, ora, restavano una fila di bottoni abbruniti sul davanti, e due pallidi alamari come spalline.

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NACQUE NEL MARE DI AUGUSTA LA SIRENA LIGHEA, SECONDO IL RACCONTO DI GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA

hqdefaultAUGUSTA – Siamo a Torino. Un giovane giornalista siciliano fa conoscenza con un personaggio importante, il senatore Rosario La Ciura, grecista famoso in tutto il mondo, il quale gli racconta ciò che molto tempo addietro, nella sua giovinezza, gli accadde con una sirena, Lighea. Ritiratosi ad Augusta nella casetta di un amico, vicina al mare, il professore, mentre alle sei del mattino sulla propria barca sta declamando versi greci all’ombra di un roccione, riceve la visita della sirena. Ne nasce un amore che dura venti giorni. Poi Lighea scompare, ma prima di andarsene dice al professore: “Non mi dimenticherai”. Per tutta la vita questa promessa e il ricordo della sirena ossessionano la mente del professore. Ed ecco che, durante un viaggio in mare per raggiungere Lisbona, fra Genova e Napoli, il richiamo si fa sentire. Il professor La Ciura si sporge dall’imbarcazione in cerca della sirena amata, la chiama e lei non si fa attendere… l’uomo infine si lascerà cadere in mare per raggiungerla. Pubblicato nel 1961 da Feltrinelli, il racconto (il cui manoscritto era stato consegnato da Elena Croce, figlia di Benedetto, filosofo e critico, a Giorgio Bassani, curatore e prefatore del volume) narra l’incontro fra Rosario La Ciura, classicista e professore in pensione, e il giovane nobile Paolo Corbera di Salina, laureato in legge. Il professore rivelerà al giovane l’incontro fatato con la sirena Lighea, avvenuto sulle coste ancora selvagge di Augusta, in una Sicilia a metà tra la realtà e il mito.

    Giuseppe Tringali

 

AUGUSTA, IL LICEO “MÈGARA” RICORDA SHOAH, FOIBE E ALTRI GENOCIDI DIMENTICATI

liceo ricordaAugusta – Il liceo “ Mègara” ha testimoniato l’adesione alle proposte del Ministero della Pubblica Istruzione (MIUR), che invita a organizzare eventi per commemorare le giornate del 27 gennaio – Shoah – e del 10 febbraio, “pulizia etnica” contro gli italiani nella Jugoslavia comandata dal maresciallo Tito, comunista non allineato all’Unione sovietica. Al Mègara l’evento è stato intenso per le forti emozioni suscitate, elegante nella corale partecipazione dell’intero istituto, incisivamente culturale per la scelta dei contenuti che lo hanno animato. L’evento, coordinato dalla docente Francesca Solano (referente del dipartimento di Storia ), che si è avvalsa della preziosa collaborazione di due altri docenti di Storia, Adelaide Scacco e Alfio Castro, si è articolato in due momenti significativi: la prima vissuta nelle classi, la seconda nel cortile della cittadella degli studi. Una prima proiezione ha riguardato una testimonianza di Liliana Segre, sopravvissuta al campo di Auschwitz, recentemente nominata senatrice a vita dal presidente Mattarella, il cui racconto costituisce una testimonianza di grande valore per la memoria storica contro le mistificazioni storiche e ideologiche e contro il negazionismo. Una seconda proiezione ha riguardato la visione del cortometraggio “Violini vibranti di memoria” realizzato dagli alunni del nostro liceo, vincitore, lo scorso anno , della fase regionale di un concorso indetto dal MIUR e che ha rappresentato una riflessione sulla shoah che, pur partendo da un’indagine su fatti, atti, documenti ,notizie, testimonianze, ha superato il solo strumento informativo, giungendo attraverso immagini, suoni, evocazioni, musiche, a un’ interpretazione dei fatti che ha risvegliato coinvolgimento emotivo e spirito corale; infine, suggestive riflessioni sulla shoah presentate da una serie di personaggi del mondo dello spettacolo.
Mariangela Scuderi