ESCLUSIVO – MARE NOSTRUM/PER LA PRIMA VOLTA AD AUGUSTA, PORTO COMMERCIALE: DALLA NAVE SAN MARCO SBARCANO MIGRANTI SOMALI, ERITREI, SIRIANI (281 uomini, 81 donne e 46 minori) – di Giorgio Càsole

 

immigrazione,giorgio casole,augusta,augustanewsAUGUSTA. Domenica 27 ottobre, Ore 8°° di una  mattinata tipicamente estiva.  A una banchina del porto commerciale attracca la nave del battaglione San Marco che ha ospitato per tre notti 408 migranti, di cui 46 minori di quattordici anni, 281 gli uomini e 81 le donne. Sono di varie etnie, in maggioranza  eritrei e somali, molti dei quali a piedi nudi. Ci sono anche i siriani. Sono stati raccolti, al largo di Lampedusa, dai pattugliatori “Chimera” e “Cigala Fulgosi” di Comforpat,  cioè del comando della flotta che ha la base proprio ad Augusta, in servizio per l’operazione denominata Mare Nostrum, voluta dal governo Letta, quale missione umanitaria per evitare   tragedie come quella di giorni fa, quando le acque lampedusane sono state  funestate da centinaia di cadaveri di emigranti che lasciano la loro terra d’origine, in un vero esodo epocale  di massa , come l’esodo che interessò nel secolo scorso milioni di Italiani che, morti di fame qui nella nostra terra, cercarono la speranza oltre oceano, nelle lontane Americhe e nell’ancor più remota Australia.  E non dimentichiamoci le migliaia di Italiani che, nel secondo dopoguerra, migrarono verso la Francia, il Belgio, a Germania. I migranti italiani  s’indebitavano per pagare regolari biglietti  per la traversata su piroscafi d’altura. I migranti africani e asiatici, non essendoci navi che possano portarli qui, s’indebitano per pagare gli scafisti che fanno loro rischiare la vita. Nel secolo scorso nelle Americhe e in Australia  ci fu un tempo in cui i migranti italiani potevano sbarcare tranquillamente. Poi non più. Oggi in Italia i migranti  sbarcano perché  la nostra è la terra europea di confine più vicina a loro. Moltissimi vogliono solo transitare dalle nostre parti. Vogliono andare altrove, dove possono trovare lavoro, nel resto d’Europa o altrove, dove ci sono lavori che i bianchi, i residenti, non svolgono, come quando  nei Paesi d’oltremare i nostri connazionali  delle prime ondate si sobbarcavano a svolgere i lavori più umili. Le navi hanno intercettato i barconi con mille migranti circa  e ne hanno raccolto oltre quattrocento. Gli altri seicento sono stati tratti in salvo dalle unità della Guardia costiera di stanza a Lampedusa.  “Cigala Fulgosi” e “Chimera” non sono però unità sufficienti e attrezzate per   soccorso, identificare,. Rifocillare e alloggiare tutte queste persone. Perciò i 408 sbarcati ad Augusta sono stati trasbordati  a bordo della nave San Marco, più capiente( può ospitare, infatti, i trecento uomini del battaglione San Marco) , più attrezzata  anche perché nave porta-elicotteri. Un migrante ammalato è stato, infatti, trasportato in ospedale.   Unici giornalisti presenti allo sbarco, abbiamo assistito a tutta l’operazione,  durata poco meno di due ore. Lo sbarco dei migranti è avvenuto a scaglioni, per consentire ai poliziotti a terra, dotati di inutile mascherina perché  i migranti erano stati tutti controllati dal punto di vista sanitario, tant’è che i poliziotti imbarcati e gli uomini dell’equipaggio, che hanno agevolato lo sbarco dall’interno della nave, non portavano la mascherina. Portavano la mascherina anche uomini e donne della fraternita Misericordia di Augusta. Il comandante di Marisicila, l’ammiraglio Roberto Camerini, che è salito è per primi a bordo per portare i saluti, ci ha spiegato che la mascherina è un retaggio del ricevimento dei primi migranti a Lampedusa, quando non si sapeva se potevano essere contagiosi o no. Ora questo si sa prima, a bordo della nave, dove   vengono imbarcato personale della polizia di Stato per l’identificazione di ciascuno dei migranti a ognun o dei quali viene rilasciato un biglietto con un numero prima dello sbarco. Ad attendere i migranti, oltre al cordone  “sanitario” di polizia, croce rossa, protezione civile, carabinieri, anche rappresentanti locali, come Samanta Papiro, d’un’associazione , la “Lustro di Luna”, che, con la Pro Loco, ha raccolto indumenti e  scarpe per questi migranti. Samanta Papiro, quando vedeva uomini e donne senza scarpe, porgeva loro un paio di calzature. A ogni bambino Samanta ha donato un bambolotto di pezza di colore celeste per i maschietti, di colore rosa per le femminucce.Ci è sembrato un gesto indovinatissimo per l’accoglienza di queste persone,  non pochi i gruppi familiari, quattro le donne incinte, perché il gesto di donare una bambola di pezza  ha per i bambini una forte valenza psicologica: è testimonianza  d’affetto, la stessa testimonianza che hanno dimostrato gli uomini e le donne della nave San Marco che hanno giocato con i bambini durante la traversata, “con naturalezza, come si deve fare con i bambini”, ci ha detto Andrea Serra, ufficiale d’ispezione della nave.  Il comandante, il capitano di vascello Zampano, ci ha detto che per cena, la sera di sabato a tutti è stata offerta la pizza., il cibo “veloce” che più rappresenta l’Italia.

Giorgio Càsole

AUGUSTA A PEZZI O CITTA’ FANTASMA! L’ANGOSCIA DI UN VECCHIO AMICO AUGUSTANO, PARAFRASANDO DANTE

“Ahi serva AUGUSTA, di dolore ostello, non donna di province, ma bordello!”

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Augusta. Si respira un clima innaturale! Non è più il candido e armonioso paese lindo, pulito che abbiamo conosciuto e amato. Alcuni giorni orsono, ci siamo incontrati con un vecchio amico, compagno di liceo e università, il quale appena laureato decise, a buon ragione, di incominciare la professione forense nel Nord Italia. Ritornava ad Augusta di un tempo, almeno credeva. Sono bastati, però, solo alcuni giorni di permanenza per rendersi conto di avere trovato una città spoglia, derelitta, indecente. Un governo della Città sotto commissariamento, cioè affidato alla reggenza di “Ufficiali governativi” con il compito routinario dell’ordinaria amministrazione. Nessun fermento di vita politica, come se non esistessero “figure di pregio” nel contesto sociale, capaci a farla. E ancora, sviluppo urbano stagnate, anzi stagnato, con un centro storico alla mercé, destinato all’arcaico, trascurato e fatiscente, che presto tali vestigia non apparterranno nemmeno al passato. Pezzi di popolazione che si stacca da esso per migrare al Monte, di guisa che fra alcuni anni l’isola sarà solamente pedonabile. Con rabbia, sottolineava l’amico, di come la Città sia stata impunemente spogliata e defraudata a cominciare dalla “decimazione” dell’Ospedale civile, privato da settori importanti, in dispregio delle precise norme di legge sui “necessari e imprescindibili presidi sanitari” nelle zone ad alto rischio sismico-industriale. Soppresso l’Ufficio della Agenzia delle Entrate, per cui il cittadino, novello nomade, deve recarsi a Lentini, borgo prettamente agricolo, per un semplice bollo, o una registrazione di locazione. Soppressione della Sezione del Tribunale civile e penale; è già al fischio di partenza l’Ufficio del Giudice di Pace e presto, si vocifera, lo smantellamento dell’Ufficio di collocamento. Cosa debbono toglierci più? Credo no, le mutande, perché ce le hanno già strappate. Cerco di stopparlo il mio amico, ma è irrefrenabile. Nato e vissuti gli anni più belli in questa Augusta, continua nella sua amara osservazione, allorquando volge lo sguardo all’orizzonte industriale, laddove serpeggia, già, la inquietudine di uno stravolgente spopolamento del polo in mano agli stranieri, col rischio che migliaia di lavoratori perdano il posto di lavoro. A un certo punto, mi sorprende con una esclamazione: “Ahi serva Augusta, di dolore ostello, nave sanza nocchiero in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!” Dolorosa affermazione del Divino Poeta nella sua opera magna della Divina Commedia (6° Canto del Purgatorio), allorché si rivolge all’Italia (noi abbiamo parafrasato), ma il senso non cambia, in quel TRECENTO preda e ostaggio di intrighi politici, malcostume dilagante, corruzione, prepotenze e vessazioni verso il popolo. Oggi possiamo ancora strapparci i capelli, graffiarci la faccia, gridare all’indecenza politica e sociale, e comunque costretti ad assistere a questo stato di vergognoso torpore cittadino, in cui sembra che nessuno voglia farci caso. Questo lo sfogo di un giovane augustano d’un tempo, oggi adulto in lidi migliori, che pur contento di vivere in essi, tuttavia lasciava trasparire sul suo viso corrucciato i segni di una amarezza ed intensa commozione, mentre i suoi occhi si coprivano di un lucido velo di lacrime. E sì, a ripetere, a rievocare la fiera figura dell’Aquila monetata, sormontata dalla fulgida corona degli Svevi, simbolo sublime di Augusta, ahimè, ancora “…doloroso ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!…” E sino a quando?

      Francescco Migneco